Carissimi
Mio zio Gabriele, tutto tranne che un arcangelo, per fortuna non ha avuto molto condizionamento sulla mia formazione.
Dice: “Ma quanti zii hai?”
Assai, ne ho avuti molti perché le famiglie dell’epoca erano veramente numerose e gli zii come le zie monache erano all’ordine del giorno, poi in questo caso Gabriele era uno zio acquisito e non poteva non esserlo con l’indole che si ritrovava.
Se lo avessi frequentato di più sarei diventato un uomo di grande successo, ma un “cannavazzo” come a lui.
Nella vita non aveva mai fatto una puntata non vincente, poiché era diventato un maestro a giocare solo quando la partita aveva un risultato acquisito. Si reputava pertanto un vincente e non perdeva un attimo, prima di buttarti nella spazzatura, nel momento in cui prendeva consapevolezza che tu non gli servissi più e che fossi caduto in disgrazia.
Lo trovavi in seconda fila sorridente facendo spuntare la sua faccia in tutte le foto di gruppo dei consessi peggiori, ma vincenti, della storia di questa città, foto che teneva ben custodite e mai esposte se non il tempo necessario in cui tali personaggi erano stati in auge.
Aveva una raccolta segreta di distintivi per le asole delle sue giacche, da fare invidia a qualunque rigattiere berlinese dopo il crollo del muro, ma di contro, non si era mai fatta una tessera di un partito, di una associazione, neanche quella dell’autobus per non rimanere compromesso a vita.
Se parlavi con lui di chiunque, lui o rispondeva mentendo di non conoscere o te ne tesseva le lodi, ma mai parlando male di qualcuno, finanche del più terribile criminale di questo mondo che per lui era “una gran brava persona”, almeno per come lui lo aveva conosciuto e per come con lui si era comportato.
“Un fango di uomo” direste e senza allontanarvi dalla verità, eppure ricordo che fece una fulgida carriera nella pubblica amministrazione andandosene in pensione con il massimo dei livelli retributivi, “il bravo d’ufficio“, “il burocrate ideale“, lui che non aveva mai fatto una scelta, non si era mai esposto e come diremmo noi visse come un “uomo” per tutte le stagioni mettendosi sotto i piedi la “dignità”, la “moralità” e che ve lo dico a fare, gli “ideali”.
Di una cosa sono felice, del fatto che non avesse avuto figli, almeno in famiglia o per quanto se ne seppe, visto che la moglie, la zia Ciccina morì ancora giovane ma senza potergli dare un figlio, circostanza triste che diede un grande vantaggio all’umanità non lasciando eredi con quei cromosomi.
Non so quanti soldi avrebbe potuto lasciare in quel materasso ma una cosa è certa, taccagno e maneggione, si presentò come tutti a mani nude davanti al creatore, lui che in vita era stato sempre convinto di averlo preso per il culo.
Non ci crederete, ma giornalmente, benché sia venuto a mancare da anni, a volte guardandomi intorno, vedendo la tv, seguendo le dinamiche del mondo attuale, dietro a tante guerre tra poveri, spesso mi pare di riconoscere “cugini a mia insaputa”, ma malgrado la ragione mi cerca di convincere dell’impossibilità di questa circostanza, mi rassegno alla fine a pensare che in fondo se non sono cugini, son soltanto figli di questo mondo.
Pertanto gli uomini passano, così come le loro ambizioni, ma quello che mi dispiace è il constatare che anche la memoria dei fatti passi e sempre più in fretta, facendo in modo che anche i nefandi si possano riciclare a distanza di pochissimo tempo, passando da un momento di apparente oblio e attraverso una “scientifica ricostruzione di una verginità” persa da tempo.
Ma è attraverso la conservazione della memoria che possiamo costruire un futuro migliore, un futuro che abbia imparato dagli errori e dai mostri del passato.
Un abbraccio, Epruno.