Carissimi

Vedevamo i figli dei ricchi giocare da dietro quella grata sul marciapiede nella strada, loro in un campetto con delle porte di calcio vere e le magliettine tutte uguali, persino l’arbitro ad arbitrarli.

Noi con quelle nella migliore delle ipotesi con due bande sui pantaloni a imitazione delle più famose e costose tre e tutte diverse, chi più chi meno in base alle proprie disponibilità e qualcuno anche le scarpe sfondate e qualcun altro, il più privilegiato anche con quelle scarpette di calcio che a volte era solito utilizzare la domenica per andare in chiesa, convinto com’era che subito dopo non avrebbe avuto tanto tempo per tornare a casa a cambiarsi, prima di andare a fare la solita partitella in quel campo ipotizzato per strada, in quelle aiuole ancora non completate

Eravamo lì con uno spirito francescano per formazione, l’associazione cattolica che ci dava gli insegnamenti, le basi di quello che doveva essere il nostro credo a supporto della nostra fede, dov’è tutti eravamo uguali, quantomeno davanti agli occhi di Dio anche se questo effettivamente non si vedeva.

I nostri sabati passavano a cazzeggiare e quasi sempre a correre dietro un pallone di plastica, con la possibilità di scambiare qualche passaggio, o qualche tiro verso una saracinesca ipotizzata come porta fintanto che il suo soprastante padrone di casa non ci avrebbe messi in fuga, attraverso un bel “cato” d’acqua o addirittura con il bastone.

Erano gli anni 70, gli anni di Cruijff e di Jesus Christ Superstar, gli anni della bionda Candice Bergen, credevamo che non potesse esserci nulla di meglio e non avevamo ancora nulla, ma specialmente non sarebbe dovuto passare molto tempo affinché anche noi avessimo potuto comprare con tanti sacrifici la magliettina uguali per poter sfidare quelli che per noi erano i figli dei privilegiati, quantomeno per misurarci e fare sapere che eravamo come loro se non meglio di loro, ma tutti sapevamo che qualche differenza di certo c’era.

Venne un momento in cui alcuni di noi, i più fortunati, dovettero confrontarsi con gli studi superiori, alcuni con gli studi universitari e dover constatare che il ciclomotore che per me era un lusso, altro non era che un mezzo di poveracci se confrontato con le belle motociclette con le marce di cilindrata 50 o 125, i bei vestiti griffati, le ragazze più carine a fare da corredo, ma alla fine, a chi volevate che importasse, noi non eravamo tutti uguali ma lo eravamo certamente davanti gli occhi di Dio nelle nostre aspirazioni.

Quel Dio che in quel percorso ci aveva magari tolto persone a noi care e in maniera prematura, che avrà avuto di certo il suo disegno e pronta la giusta ricompensa per chi avrebbe saputo obbedire. Addirittura in alcuni casi avrebbe motivato facendo passare tali carenze come un vantaggio, perché è vero che eravamo tutti uguali, però certe volte crescere senza un genitore era una cosa che comportava un certo impegno.

Anche allora stavamo ad osservare un atteggiamento diverso dei docenti nei confronti dei privilegiati, sarebbe bastato solo assistere a qualche ricevimento di genitori. Andando avanti, chi avrebbe avuto l’opportunità di fare l’università, avrebbe potuto assistere a qualche esame dove non sarebbe stato raro, alla fine dell’interrogazione sentir dire al professore, dopo un voto di certo importante: “mi saluti papà”!

Eh sì, mi saluti papà! Anche io avrei voluto sentirmi dire mi saluti papà per potergli rispondere “mi auguro che lo possa fare lei molto presto direttamente di presenza, pezzo di merda”!

E così ci siamo fatti una famiglia, siamo cresciuti, alcuni hanno avuto dei figli, siamo passati al vaglio di questa società perché in fin dei conti eravamo tutti uguali agli occhi di Dio e oggi che insieme a qualche amico sorseggiando un caffè al tavolino del bar, riprendo occasionalmente, l’abitudine a fare determinati discorsi, mi rendo conto e mi chiedo: “abbiamo fatto tutto?

Si abbiamo fatto tutto quello che avremmo potuto fare lecitamente e davanti agli occhi e il giudizio di Dio, ma se è vero che siamo uguali, dove è mancata quella marcia in più, certamente non visibile o certamente non confrontabile o non compatibile, affinché anche noi fossimo unti dal Signore?

Di certo l’aver creduto che le regole sono regole e valgono per tutti, e che si può essere angeli con la faccia sporca, ma mai angeli con le mani sporche senza sembrare diavoli.

Chi permette a questa società di stabilire chi sono gli unti dal Signore? Cosa ci sta dietro? Quale scuola abbiamo disertato? Che cosa non abbiamo studiato? Quale lezione ci siamo persi? Quale era il titolo del capitolo dove era scritto che malgrado siamo tutti uguali davanti agli occhi di Dio, c’è qualcuno che con Dio può fare affari, disegnarlo a sua immagine e somiglianza, potersi fare messaggero dei suoi pensieri, battersi il petto la domenica e alla fine compiere nefandezze affermando “Dio lo vuole”?

Tranquilli, siete uomini e le cose con il tempo si sistemeranno e alla fine vedrete che davanti gli occhi di Dio, saremo tutti uguali”.

Signore sono arrivato agli ultimi capitoli di questo romanzo e ormai mi dovrò ritirare perché non ho più l’età oltre che le forze per giocare, ma credimi fino all’ultimo sto vedendo che in tuo nome si continuano a fare nefandezze e allora mi viene un dubbio, che a quell’ultima lezione sulla meritocrazia e la giustizia divina, qualcuno di noi due, era assente.

Un abbraccio, Epruno.

(Dalle memorie di Eulo Varna, di Epruno)