Carissimi,

nella mia agognata ricerca di “normalità” come unico parametro “dell’essere bene” in questa società, mi sono cercato il posto dove fuggire per ritrovare tale serenità visto che qui si continua a fare discorsi persi, a vendere la Fontana di Trevi al Peciocavallo di turno e soprattutto a vendere una realtà che non esiste e promettere un fantastico e meraviglioso futuro, invitandomi nel frattempo a passeggiare tra le nuove “taverne”.

Si, l’alcol potrebbe essere al pari della realtà virtuale una via di fuga, ma io non voglio fuggire dalla realtà, voglio fuggire direttamente dai luoghi, una volta resomi conto che per il tempo che mi rimarrà da vivere staremo qui a fare chiacchiere con il “piazzista di turno”, staremo qui a gridarci “se lei mi fa parlare continuo il concetto”, ma rimarremo lontani dalle soluzioni che ci potrebbero garantire una semplice “normalità”.

E dire che di scienziati ce ne sono, “basta guardare i loro curricula e le loro lauree per corrispondenza” e che dire delle generazioni pronte in batteria, figli dei figli ma come direbbe Epruno nel suo postulato: “dietro un figlio testa di c… c’è un padre testa di c…”.

Allora nell’attesa di ritornare a casa e riportare il mio “sangue normanno” nei luoghi d’origine, dove riposare per sempre, quando posso viaggio e mi guardo intorno poiché non ho mai avuto il complesso del “cato”, quello stagno dove crogiolarmi e dire e tutto sotto controllo perché è mio.

Però mi posso incacchiare se leggo in un menu di una catena internazionale pizza mafia? No, se poi organizzo tour e visite guidate in casa mia per i turisti internazionali sui “luoghi della mafia”. Ho reverenza e pudore nel pronunciare invano i nomi degli Eroi, i veri Dottori, coloro che con il sacrificio di sé stessi per perseguire giustizia e di conseguenza quella “normalità” di cui parlavo, mi hanno lasciato nel cuore forti emozioni e grandi insegnamenti.

Io non posso aspettare, mi dispiace e non solo ho il dovere di ambire alla “normalità” ma nelle more di conoscerla, lì, dove la gente fa meno chiacchiere ed è più comunità.

Lo so, mi farò del male, sapendo già della sofferenza personale nel momento in cui ritornerò e mi chiederò perché?

Non mi devo chiedere perché fuori lo spazzino pulisce tutte le strade, un esempio di normalità e qui c’è sempre una “marziana scusante” per cui ciò non può avvenire.

Non mi devo chiedere perché fuori ho una metropolitana e servizi di superficie (treni, tram, autobus, taxi, battelli …idrovolanti) che mi portano da qualunque parte, in qualunque momento e in poco tempo, perché è normale, mentre qui ciò non può avvenire con l’ennesima “scusante marziana”.

Non mi devo chiedere perché lì le auto possano arrivare dove vogliono, trovando parcheggio a pagamento e le isole pedonali sono “isole attrezzate” e qui ho un bollo di circolazione, un pass per attraversare e pass per posteggiare in zone blu e l’unica cosa che hanno in comune con “lì fuori” è il pagamento.

Mi sono ridotto a fotografare questi episodi di “normalità” più che i monumenti e le bellezze panoramiche, poiché per me oggi è questo che mi meraviglia e voglio testimoniare per raccontarlo.

Di contro ormai (questo forse è l’unico neo delle metropoli), provo da esteta e cultore del bello un certo “sussulto” nel vedere rovinate quelle belle viste da fotografia paesaggistica o monumentale, dalla tarchiata e sformata e a volte anche brutta famigliola che viene “dal buco del mondo”. Si anche questo fa parte della maledizione di Steve Jobs che ha dotato il mondo intero di iPhone che permette a tutti di posare togliendo la visuale agli altri davanti a qualcosa che neanche loro sanno cosa cavolo sia, che storia abbia, ma che sarà importante immortalare affinché tornando a casa possa dirsi: “non so che ca… fosse, so soltanto che c’era tantissima gente e pure noi”.

E così tanta bellezza, tanta ricerca delle proporzioni vitruviane finirà mortificata e dimenticata, insieme all’omone con i baffi scuri, il chador o la pelle gialla dell’orientale, nella sua SIM card battezzata: “Viaggio in Europa in sette giorni”.

Un abbraccio, Epruno