Carissimi

Il largo è stretto” come si dice da queste parti con un ossimoro contraddittorio, lo “spazio è stretto”, ma per il palermitano poco importa poiché qualunque siano le condizioni climatiche, in qualunque fila, qualunque spazio, “t’avi a stari incapu” (ti deve stare di sopra, attaccato, appoggiato facendo diventare qualunque fila una tragedia).

Figuratevi la depressione e quanto tempo per abituarsi quando le poste (ad esempio), tolsero la fila fisica per introdurre il numerino e figuratevi ancora quale trauma aggiuntivo nel momento in cui oltre al numerino aggiunsero la lettera dell’alfabeto di davanti nel pizzino della prenotazione, pensate che c’è ancora qualcuno che gira sala, sala da anni non avendo capito a quale sportello bisognasse rivolgersi.

Ma torniamo allo spazio, è più forte di lui, la necessita di dover stare sempre ncucchiato.

Ad esempio, da tempo, perché prescrittomi, sono tornato in palestra, una di quelle “fighette” (ma non voglio fare alcuna pubblicità), pensate che è così grande che ci saranno negli spogliatoi almeno 1000 armadietti, ebbene appena ne scegli uno tutti gli altri ti scelgono quelli accanto a ridosso, ppi strisciarsi non c’è nulla da fare, cosi come per le file alle casse dei supermercati, a matula che la cassiera mette sul nastro trasportatore la barra separatrice, chi viene dopo ti deve stare incugnato per non perdere la priorità acquisita.

Non ci avevate fatto mai caso? Forse perché ancora non c’era stato tanto caldo, guardate adesso e poi fatemi sapere.

Io sono diventato intollerante ai luoghi con le prescrizioni del silenzio, dove c’è sempre il “manager dei poveri” con gli auricolari di ultima generazione che parla in continuazione forse nella speranza che qualcuno gli chieda un autografo dopo essersi fatto dare il nome per sapere chi egli fosse, o molto più semplicemente una pedata nel sedere.

Non riescono neanche a godersi i posti del momentaneo silenzio o del relax, in più a Palermo terra di grandi aziende e multinazionali del “pititto” ……. Se ci fosse vivo il grande Totò, li manderebbe a quel paese dicendo ……….. “ma mi faccia il piacere”.

Da sempre, fin da quando in gioventù viaggiavo, ero alla ricerca dello spazio come sinonimo di libertà e guardavo a quei paesi nordici, al verde sconfinato e mi “accollavo” qualunque disagio e con pochi soldi per viaggiare.

Oggi tutti viaggiano con la freccia rossa, i treni super comodi o di grande velocità.

Noi compravamo l’interrail perché non potevamo permetterci un volo areo e stavamo chiusi come sardine per 24 ore se non 36 in uno scompartimento di treno, al caldo e ventilato in qualche modo, per raggiungere le capitali europee dal punto più basso dell’Europa ancora senza Schengen, tanto da dover fare una rieducazione articolare una volta giunti alla meta.

Ricordo in una di queste avventure che rimasi traumatizzato da un viaggio di ritorno da Monaco di Baviera verso Palermo, nel quale in compagnia di altri 4 amici ci illudemmo di poter godere dello spazio lasciato libero dal sesto passeggero che seppur prenotato non si era presentato alla partenza. L’illusione durò pochi minuti, fin quando la vetrata dello scompartimento non si oscuro di botto all’arrivo di “LUI”, un enorme Bavarese tutto sudato, con cappello tradizionale con le piume, vestito di panno pesante e camicia a quadrettoni, a metà agosto.

Credetemi fu lo stesso stato di angoscia che forse provò Mozart quando apri la porta a quella figura in maschera vestito tutto di nero che gli commissionò il requiem, pensate che pur non conoscendolo ancora nelle nostre orecchie risuonava il “confutatis“.

Piombò il silenzio e dopo aver occupato con le sue valigie tutti gli spazi possibili dello scompartimento si sedette comodo (lui), mentre noi cinque ci rannicchiamo costipati e dopo pochi minuti l’enorme contadino teutonico piombò in un profondo sonno russando.

Terrore! Non si può capire se non si è vissuto, ma il solo pensare di dover condividere con costui il piccolo spazio per diciotto ore, nell’ipotesi che anche lui (l’armaluzzo) fosse destinato a Roma, era alquanto angosciante.

Ogni tanto apriva gli occhi e vedeva noi flesciati davanti a cotanta invasività e poi riprendeva a russare. Le pensammo tutte, ma l’apoteosi fu quando verso mezzanotte si tolse gli scarponi.

Ci fu un tentativo di fuggi, fuggi, poi per disperazione tornammo nello scompartimento e prendemmo sonno, fin quando a tarda notte, giunti già in territorio italiano e svegliati dal controllo di frontiera, non scoprimmo che l’omone era già sceso destinato probabilmente in Tirolo.

Ma da quel pericolo scampato, un solo convincimento in me si radicò. Mai più!

Raccolsi soldi per tutto l’anno pur di partire, una volta laureato, con un volo areo di quelli belli, ai tempi dell’Alitalia e delle sue eleganti hostess e del pasto a bordo con tutte le comodità.

Tempi che furono, siamo stati meglio, perché ce lo siamo dimenticati, ma intanto io voglio “spazio”.

Un abraccio Epruno.