Lorenzo, latino Laurentius, (Huesca, 225 – Roma, 10 agosto 258), fu uno dei sette diaconi di Roma, dove venne martirizzato nel 258 durante la persecuzione voluta dall’imperatore romano Valeriano nel 257. La Chiesa cattolica lo venera come santo. Le notizie sulla vita di Lorenzo, che pure in passato ha goduto di una devozione popolare notevole, sono scarse. Si sa che era originario della Spagna e più precisamente di Osca, in Aragona, alle falde dei Pirenei. Ancora giovane, fu mandato a Saragozza per completare gli studi umanistici e teologici; lì conobbe il futuro papa Sisto II. Questi, che era originario della Grecia, insegnava in quello che era, all’epoca, uno dei più noti centri di studi della città e, tra quei maestri, il futuro papa era uno dei più conosciuti ed apprezzati. Tra maestro e allievo iniziò un’amicizia e una stima reciproche. Entrambi, seguendo un flusso migratorio allora molto vivace, lasciarono la Spagna per trasferirsi a Roma. Quando il 30 agosto 257 Sisto fu eletto vescovo di Roma, affidò a Lorenzo il compito di arcidiacono, cioè di responsabile delle attività caritative nella diocesi di Roma, che beneficiavano 1500 persone fra poveri e vedove. Al principio di agosto 258 l’imperatore Valeriano aveva emanato un editto, ordinando che tutti i vescovi, presbiteri e diaconi dovevano essere messi a morte: « Episcopi et presbyteri et diacones incontinenti animadvertantur » . L’editto fu eseguito immediatamente in Roma. Sorpreso mentre celebrava l’Eucaristia nelle catacombe di San Callisto, papa Sisto II fu ucciso con quattro diaconi il 6 agosto; quattro giorni dopo fu la volta di Lorenzo.
A partire dal IV secolo Lorenzo è stato uno dei martiri più venerati nella Chiesa di Roma. Costantino I fu il primo ad edificare un piccolo oratorio nel luogo del suo martirio. Tale costruzione fu ampliata e abbellita da Pelagio II (579–590). Sisto III (432–440) costruì una grande basilica con tre navate, con l’abside appoggiato all’antica chiesa, sulla sommità della collina dove Lorenzo fu seppellito. Nel XIII secolo Onorio III unificò i due edifici, che costituiscono la basilica che esiste tutt’oggi. Papa Damaso (366–384) scrisse un panegirico di Lorenzo in versi, che fu inciso nel marmo e posto sulla sua tomba. Il contemporaneo poeta Prudenzio scrisse pure lui, in toni più poetici, un inno a san Lorenzo. Le vicende più note del martirio di Lorenzo sono descritte, con ricchezza di particolari, nella Passio Polychromì di cui abbiamo tre redazioni (V–VII secolo); che in questo racconto siano contenuti elementi leggendari è un dato di fatto anche se talune notizie qui presentate sono note anche da testimonianze precedenti come quella di Ambrogio nel De Officiis. La prima menzione del 10 agosto come data del martirio risale alla Depositio martyrum, uno scritto dell’anno 354. Per il martirio di Lorenzo abbiamo la testimonianza particolarmente eloquente di Ambrogio nel De Officiis, ripresa, in seguito, da Prudenzio e da Agostino d’Ippona, poi ancora da Massimo di Torino, Pier Crisologo, Leone Magno, e infine da alcune formule liturgiche contenute nei Sacramentali romani, nel Missale Gothicum e nell’Ormionale Visigotico. Ambrogio si dilunga, dapprima, sull’incontro e sul dialogo fra Lorenzo e il Papa, poi allude alla distribuzione dei beni della Chiesa ai poveri, infine menziona la graticola, strumento del supplizio, rimarcando la frase con cui l’arcidiacono della Chiesa di Roma, rivolgendosi ai suoi aguzzini dice: Assum est,… versa et manduca, “Sono cotto da questa parte, girami dall’altra e poi mangiami”.