Carissimi
Cambiamento non necessariamente significa miglioramento.
Ecco perché i due termini devono essere espressi congiuntamente per dare una idea completa di quanto noi vogliamo descrivere (cioè “cambiare in meglio”).
Siamo rimasti in pochi a esprimere concetti liberi da preconcetti e slogan e questo già dovrebbe esser un serio argomento di dibattito, qui continuiamo a volare basso, o meglio continuiamo a dare l’impressione di volare basso per evitare di essere intercettati dai radar dei facinorosi e dei prezzolati amanti della polemica ad ogni costo. Qui vogliamo cazzeggiare.
Ma anche per cazzeggiare seriamente dobbiamo avere dei punti fermi per impostare un dibattito dialettico e il primo assioma è certamente quello che aldilà delle aspirazioni e degli interessi di Peppino Garibaldi, noi non siamo mai stati un “popolo” perché il voler ricondurre al sogno geografico dell’impero romano, l’unione di stati feudali cresciuti all’ombra dei propri campanili e dire di colpo voi siete una nazione è stato un fallimento. Ancora oggi ritroviamo diversità non soltanto comportamentali man mano che passiamo da un territorio geografico della nazione ad un altro, riconducibile a regni o granducati pre-risorgimentali.
Altro assioma è quello che da sempre questo insieme di persone che chiamiamo italiani sono divisi in due fazioni di pensiero e su qualunque argomento ci si divide al 50% e risulta impossibile, faticoso e oltremodo inutile tentare di convincere l’interlocutore, un po’ come nel gioco dello “zero-per” dove se si sa giocare non vince nessuno.
Ecco perché in alcune parti di questo paese (e mi riferisco alle mie parti) non si può mai fare sistema davanti ai grandi problemi e fare squadra, poiché ognuno si trincera dietro il suo schieramento d’interesse e da lì non si muove, fino al punto di negare l’evidenza.
Poi siamo ipocriti e barocchi, ci incontriamo e ci baciamo, siamo tutti “compari e amici” ma davanti all’interesse comune ognuno si fa “i fatti suoi”. Se osserviamo i popoli nordici europei costoro non nutrono alcun interesse per chi abita nella casa accanto (fanno finta nel senso che non entrano nella privacy del vicino) e neanche si salutano ma se c’è un problema comune diventano subito una squadra.
A tutto ciò si somma la devastante legge per la scelta diretta del sindaco e dei governatori che anche con minime percentuali di votanti regala al ballottaggio tutti i poteri a chi prende un voto in più dandoti l’opportunità per cinque anni di ignorare qualunque dissenziente o minoranza.
Con questa lunga premessa e questo atavico atteggiamento come potremo affrontare seriamente i problemi se la metà di chi si esprime dice che tutto va bene e l’altra meta dice che tutto va male? Dovremmo confrontarci su fatti oggettivi e l’oggettività non è una dote della politica, ma lo sarebbe di un popolo. Se fossimo un popolo nessuno potrebbe negare l’esistenza di città sporche e di strade e marciapiedi in condizioni trasandate, perché chi ha la vista, veda.
Se fossimo un popolo non dovremmo continuare a trincerarci dietro slogan del tipo “siamo la quinta città d’Italia” perché non è vero, perché le città non si misurano e si valutano per il numero di abitanti, ma per i servizi, per la qualità della vita e alla fine e solo alla fine per le offerte ludico-turistico-monumentali.
Non solo ma queste peculiarità non vanno messe in concorrenza per cui ti do più divertimenti e taverne, basta che ti dimentichi di “munnezza” e servizi. Non funziona così! So che molti di voi hanno vissuto con dispiacere le vicende del pallone in città e si sono sentiti offesi dalla probabile declassazione della squadra alla serie “D”, certo un po’ troppo, ma in qualunque classifica a partire da quella del “sole 24 ore”, siamo tra le prime 40 città d’Italia (dimenticate il numero di abitanti)? Se la città oggi è una “città di serie C” che ammetto fa grossi sforzi per migliorare, perché dovrebbe emergere giusto proprio nel calcio, mondo strettamente legato alla finanza, imprenditoria e grandi interessi?
Allora un personale consiglio da affidare alle suppliche a Santa Rosalia, mettiamo da parte gli slogan, i “nemici da cuntintizza”, gli specchietti per le allodole, prendiamo consapevolezza per una volta che siamo nella merda, continuiamo a lavorare tutti insieme in sinergia per coprire il gap che ci separa dalle grandi città e un domani sarà tutto consequenziale, anche il pallone, anche gli investitori stranieri verranno ad investire seriamente nella nostra terra, ma non se i primi noi ci illudiamo di essere i migliori e di non aver nulla di cui invidiare alle altre città, perché la città sta cambiando.
Viva Palermo e Santa Rosalia. Un abbraccio, Epruno