Carissimi
“Mi portaste a mala strada pure i tedeschi”
E dire che per me i tedeschi, fin dal nostro primo incontro avvenuto nel 1982, avevano rappresentato sempre un popolo da prendere come esempio.
Lo so a cosa state pensando, ma loro a differenza nostra hanno “inertizzato” e sepolto il passato per andare avanti, io ero solo innamorato di quei posti da fiabe più vicini ai paesaggi dei plastici dei trenini elettrici che alla nostre soleggiate realtà mediterranee e avevo sognato fin da sempre di mettere piede in una di queste rinomate località.
Fu così che una mattina dopo uno di quegli interminabili viaggi biblici in treno, con la sosta obbligata di nove ore a Roma prima di riprendere il treno di pomeriggio e giungere a qualunque altra destinazione nordica la mattina dopo. Ovviamente non esisteva una tratta diretta se non quella che da Palermo collegava a Torino o Milano (quella degli emigranti 24 ore), ma per andare nei paesi nordici per arrivare in Germania, in Inghilterra, a Parigi, era necessario fare la sosta tecnica e quindi ci volevano in totale 36 ore.
Fu così che quella mattina d’Agosto giunto in quella grande stazione che come tutte le stazioni importanti avevano quelle gigantesche coperture in ferro e vetro che già ti evocavano film mitici. Giunto al binario di destinazione il primo approccio fu di soddisfazione, di meraviglia. Si sentiva parlare solo in tedesco con quegli annunci dagli altoparlanti che ti spingevano in automatico ad alzare le mani in segno di immotivata resa.
Ma pure loro ci mettevano del proprio per darti quell’impressione, la stessa “polizei” aveva i cappelli della forma analoga a quelli degli ufficiali delle “staffette di difesa” e poi quei cani pastori, precisi, spiccicati …..
Ma anche con un poco di timore pur essendo in una stazione entravamo in quello che per me era un salotto dov’è tutto brillava, dove tutto era organizzato, dove tutto sembrava bello. Bella la Germania, belle le loro città, bella le loro tradizioni e costumi, bella la loro modernità, bella quella mentalità che non permetteva deroga all’organizzazione. Se uno avesse chiesto “ma perché non lo fai” la risposta sarebbe stata ovvia “perché non si può fare”.
Un popolo di grandi lavoratori, molto chiusi in se stessi che si scioglievano nel fine settimana, la sera, come bambini davanti a boccali di birra e a risate fragorose fatte a seguito di qualunque battuta anche la più stupida e io pensavo “che bello vivere qua”, sarebbe stato “bello lavorare qua” e magari la sera tornare a dormire a Palermo.
Ho continuato a coltivare questo sogno per tanti anni e ogni qualvolta tornavo lì mi sentivo di casa, ho anche iniziato a studiare la loro lingua, a comprenderli nel loro dialetto, li ho ammirati vedendo non solo ripagare i debiti di guerra, ma addirittura accollarsi i costi di una anacronistica riunificazione, ma era destino che io crescessi invecchiarsi in questa terra, perché amavo la mia terra e speravo che con gli esempi altrui sarebbe potuto crescere e migliorare.
Il tedesco non permetteva deroghe e io ho trovato sempre una certa empatia in ciò perché volendo nella mia vita ho mantenuto sempre un certo rigore e serietà, non ho cercato scorciatoie e quindi sono certo che vivendo in una società del genere mi sarei fatto valere, forse molto di più di quanto lo abbia fatto qui.
Questo rigore teutonico lo abbiamo dovuto necessariamente condividere (nelle intenzioni) sin dal momento in cui abbiamo deciso di aderire alla comunità europea e alla moneta unica, e ci ha visti più volte oggetto delle loro censure nelle nostre politiche di bilancio.
Abbiamo avuto un grosso debito pubblico e l’Europa ci ha imposto dei paletti di rigore e ci ha chiesto di blindare quelli che erano i nostri conti e ci sono stati momenti in cui abbiamo dovuto accettare le sentenze dello “spread” senza “pipitiare” senza alcuna deroga, passando tempi duri prepandemici, dovendo rispettare certi rigidi parametri per la spesa pubblica che ci imponevano grande rigore, così come i “mitici tedeschi” e i paesi nordici più in salute di noi avevano fatto.
Ma anche il tedesco, Il mitico “Otto di Germania” una volta conosciuto “lo spaghetti e mandulino”, una volta venuto in contatto con altri 26 paesi, in questo grande sogno europeo, dall’occidente all’oriente, resosi conto lì come gli altri paesi fossero in grado di fare le cicale mentre lui portava avanti il suo lavoro bovino, fermatosi a riflettere a un certo punto si sarà chiesto; “Aber was ist mein Hund?” (Ma che è mio u cani?)
Oggi che meraviglia scoprire, andata via la leader tedesca che conosceva un solo modello di pantalone e giacca, replicato in tutti i colori dell’arcobaleno, che anche la Germania in passato ha truccato i conti pubblici.
“La Germania del rigore trucca i conti di bilancio?” Questa notizia per me, ma anche il solo dubbio, mi ha fatto crollare un mito, e ho nel mio immaginario iniziare a pensare a Goethe che scappava dalle locande nel viaggio in Italia senza pagare, Beethoven che come Michael Jackson plagiava la musica di Albano, Kaiser Franz Beckenbauer che si vendeva le partite in campo, la Bayerische Motoren Werke (BMW) che all’insaputa di tutti ha costruiva i suoi motori in Corea ………… no, un incubo, non ci crederò mai poiché se così dovesse essere “Mi portastivu a mala strada pure i tedeschi”.
Un abbraccio, Epruno.