Carissimi,
ciclicamente, conoscendo la storia, si finisce per fare sempre gli stessi errori. C’è una metodicità nell’affrontare i problemi che si ripete con la stessa costanza, come un “giorno della marmotta”.

Ah se solo sapessimo utilizzare la memoria! In Europa siamo conosciutissimi per quella che loro chiamano “mancanza di stabilità” ma che io chiamerei “stato precario organizzato”. Votiamo in continuazione e per tutto. Un anno votiamo per le elezioni politiche, quello dopo per le europee, il successivo ancora (dove non sono state abolite) per le elezioni provinciali.

Continuando con la stessa cadenza voteremo ancora per le comunali e poi per le regionali, ma così facendo sono passati cinque anni e bisogna ritornare a votare per le politiche. Abbiamo costruito un sistema dando la sensazione di permanente precarietà con continue periodiche verifiche elettorali che potrebbero rimettere in discussione il tutto togliendoci qualunque possibilità di programmare il sistema nazione e da qualche tempo quel che è peggio, anche di sognare, per chi ama ancora farlo.

Dice: “Si, ma che c’entra, parliamo di amministrazioni e contesti diversi.”
Rispondo io: “Sì, ma i parenti da zita sono sempre gli stessi.”

Ma quanto sarebbe bello fare un unico “election day” e il giorno dopo sedersi e lavorare tranquillamente per cinque anni di seguito, avendo rinnovato contemporaneamente le istituzioni, avendo stabilito le interlocuzioni tra gli enti, programmato le squadre operative e insediato le burocrazie.

Purtroppo non è così e ogni grande decisione, ogni programmazione è sempre subordinata da ciò che potrà accadere nella prossima elezione. Ci siamo inventati i rimpasti, frutto della ridistribuzione delle deleghe alla luce dei nuovi equilibri di forza di volta in volta.

Immaginate un leader europeo che continuamente vede cambiare interlocutori, abituati come sono a trattare o con leader forti di mandati multipli o con leader forti di stabili consensi in patria (certo non dico che sia tutto oro ciò che luccica).

Non siamo neanche in grado di far prevalere la nostra atavica furbizia di fronte alle grandi battaglie che vedono implicato l’interesse nazionale, perché riusciamo a rappresentare le nostre divisioni anche in quei contesti, mentre i nostri competitor fanno blocco. Detto ciò cosa potrà cambiare domenica sera alla chiusura delle urne?

Anche se qualcuno dei contendenti riuscisse ad ottenere la maggioranza assoluta siamo certi che potrebbe cambiare il sistema? E soprattutto il sistema di chi? Cosa ci resterà in mente di tutto quanto promesso in campagna elettorale? Ma soprattutto quale sarà stata la proposta più interessante e pertanto vincente?

Avremo il coraggio, lunedì, di aprire il frigorifero senza la paura di trovare anche lì uno dei leader politici pronti a farci un comizio politico personalizzato?

Ammettiamolo, questa volta ci hanno preso per stanchezza. Non abbiamo visto faccioni nè volantini elettorali in giro, ma la continua presenza a ciclo ripetitivo dei leader, a testimonianza di come palesemente questa legge dica vota il partito perché ci abbiamo già pensato noi a scegliere per te i deputati e i senatori.

Abbiamo visto candidature trapiantate in collegi improponibili sol perché questi ultimi erano blindati e pensate che tutto ciò abbia fatto tornare la passione all’elettore?

Che peccato, dopo aver concepito una tale legge elettorale sarebbe bastato fare un piccolo sforzo e avrebbero potuto scegliersi oltre i deputati anche gli elettori ma, purtroppo per loro, il voto rimarrà un diritto per tutti, voteranno belli e brutti, buoni e cattivi, voteranno anche gli idioti, voteranno anche i balordi, si voterà nei salotti buoni e si voterà anche nei quartieri malfamati e i voti avranno lo stesso peso.

L’unica vera rivoluzione potrebbe essere il ritorno al voto degli elettori, l’azzeramento degli astensionisti, perché come votano coloro (sempre gli stessi, gli pseudo militanti) che fino ad oggi lo hanno fatto, lo sappiamo e con loro la partita non si sposterebbe dalla parità.

Interessante sarebbe sapere come darebbero la loro preferenza chi fino ad oggi è rimasto a casa. Pertanto, rammentando cosa accadde alla viglia “dell’anno mille”, ci sentiamo di credere in chi paventa la “fine del mondo” o in chi sotto la minaccia di una tale paura sta rappresentando di sé la migliore immagine nella speranza di restare in paradiso?

L’unica certezza per me è quella che “all’alba del giorno dopo” non troveremo “rivoluzioni” perché la gente sta mediamente ancora troppo bene, non troveremo benché evocati redivivi “ducetti” o “Iosif baffoni” (al limite soltanto qualche “baffino”), perché come giustamente diceva qualcuno, costoro per il contesto e per l’epoca, erano dei giganti.

Oggi, guardandomi intorno non vedo giganti, ma nani le cui ombre si proiettano lontano soltanto per effetto di questa luce del tramonto, ma certi che qualunque cambiamento in condizioni democratiche non potrà arrivare all’istante.

Non lo vedremo certo lunedì, pertanto, dormiamo tranquilli.

Un abbraccio, Epruno.