Carissimi
Quando si parla di pazienza spesso si parla di Giobbe, perché?
La nostra religione annovera nell’Antico Testamento, nel “libro di Giobbe”, un uomo molto “pacinziuso”, ma no di poco? Giobbe, questo era il suo nome, era una persona che aveva una fede smisurata in Dio e tutti gli amici lo conoscevano, ne parlavano bene, in vita e non come si fa in genere rispondendo ai giornalisti quando intervistano le persone che hanno conosciuto la vittima o l’autore di efferati delitti, definendola persona da tutti conosciuta come “tranquilla, riservata e gentile”.
Con chiunque ne parlavi, Di Giobbe, normalmente ti veniva detto che era un “uomo saggio, onesto, sincero, ricco e molto devoto a Dio” (pure ricco, ma “molto devoto di Dio”) e come spesso capita, è proprio per questa devozione che ti attiri l’attenzione del diavolo che ci vuole mettere il suo zampino per capire se trattasi di “devozione vera a qualunque costo” o delle solite devozioni di noi cristiani che ci battiamo il petto la domenica in chiesa e di settimana facciamo un sacco di nefandezze, tanto poi ce le confessiamo e veniamo assolti. Con questo sistema rischiamo di trovarci accanto in paradiso (per chi avrà la fortuna di andarci) Adolf Hitler il quale alla fine si è pentito e ha chiesto scusa, come Johnny Stecchino a Cozzamara, e noi che ne sappiamo? Mica c’eravamo?
Quindi nella sua grande malvagità fa bene il diavolo ad indagare per vedere se questo Giobbe era migliore di lui o comu a tutti l’atri, e quello che gli fa accapitare per fargli vacillare la fede, credetemi, nun si ci cridi.
La prima cosa che puoi fare per sventare un falso santo qual è? Colpirlo nella cosa che più conta per un uomo e per la quale si venderebbe anche la madre legittima e cioè il “denaro”, per il quale ci si prostituisce, si spergiura, si uccide ed è così che su Giobbe il male scatenò tutte le catastrofi naturali che lo privarono delle ricchezze.
Oh, signori miei, può capitare che per una serie di concomitanze negative e molti di noi ne saprebbero parlare, si possa giungere a perdere tutto quanto di materiale possediamo e finire per strada a dormire nei cartoni, tanto da pensare che più che del diavolo si tratti di sfortuna, sempre che questa esista, poiché più che nella sfortuna io credo fermamente nell’esistenza della fortuna, avendo conosciuto tanti “cugini Gastone” il cui motto di vita sarebbe stato “contro u culu mancu a scienza” (cit. c.).
E no, se avete nemico il diavolo vi dovete aspettare di tutto, poiché la cattiveria non ha limiti. Ecco che subito dopo il “male assoluto” privò, attraverso la morte, Giobbe, di sette figlie e poi tre figli.
Perdere dieci figli, direbbe il mio Amico Sergio, “viditi che è brutto!” Eppure Giobbe rimaneva fermo nella sua devozione in Dio poiché lui era “il prediletto del Signore” e ce ne vuole, però, entrate nella testa di Giobbe se ne siete capaci e ancora più difficilmente in quella del diavolo che aveva tutto questo tempo da perdere (diciamo l’eternità).
Come se questo non bastasse il demonio mandò a Giobbe la cattiva salute, una atroce malattia, la lebbra ed in preda a forti dolori, quando chiunque il primo io, si sarebbe fermato per chiedere “Signuri l’’ha cu mia”, il nostro eroe della fede, credette con grande pazienza e sopportò anche questo
Il momento in cui la Bibbia si divide con la legenda e quando si narra secondo alcune fonti che Satana gli porto “i mastri dintra” (i muratori dentro casa, poiché narrasi che nella saggezza popolare si dica “vuoi male a qualcuno, auguraci i mastri dintra”) fu a quel punto che a Giobbe c’acchianaru i cinque minuti e accuminciò a dare bastonate a destra e a sinistra, e a “scendere tutti i santi dal calendario”, grazie anche al fatto che non solo gliene capitassero di tutti i colori, ma che dovette pure subire le critiche i rimproveri di amici e conoscenti, mentre il demonio se la rideva e godeva delle sue disgrazie.
Nasce da questa esperienza il detto “sazio a nuddru” (soddisfazioni a nessuno) e il suggerimento davanti a qualunque accadimento negativo, di sfoggiare sempre il miglior sorriso e dire “tutto bene mi va”.
Le scritture sacre ufficialmente non riportano questo finale dei fatti, forse anche per il desiderio della Santa Chiesa di non inimicarsi l’associazione costruttori” e si limita a saltare l’episodio e a raccontare che malgrado tutti questi accadimenti negativi Giobbe non vacillò mai nella sua fede, ebbe pazienza, in silenzio, non bestemmiò ed alla fine il Signore lo premiò, poiché il buon Cristiano anche se la sua fede vacilla non cede mai alle tentazioni.
La sua resistenza fu premiata perché Dio, nella sua infinità bontà, gli ridiede tutto quello che ha perduto per colpa di Satana, premiando la sua fede.
Beh qua poi tutto proprio, chi sa come avrà fatto con i figli morti, ma trattandosi di fede bisogna anche credere ai miracoli.
È vero, questa storia nella versione ufficiale tramandataci ha una sua morale, “le difficoltà fanno parte della vita, come le tribolazioni e le ingiustizie ma se si persegue un fine, che sia spirituale o materiale, non bisogna mai scoraggiarsi e disperarsi, spesso il premio è vicino e la sofferenza è al suo termine”.
Lo ammetto ho una fede pura e intatta ma non arrivo a questi livelli di santità per cui quando parlo di pazienza non penso mai a Giobbe, ma a Johann Nikuradse, la sua “arpa” e le migliaia di granelli di sabbia dello stesso diametro, incollati ad uno ad uno, all’interno del suo tubo per dimostrare la sua teoria.
Questa si che è pazienza ed è pure comprovata, ma questa è un’altra storia. Un abbraccio, Epruno.