Carissimi

Giorni addietro in un programmato passaggio in Ateneo ho avuto modo come sempre mi accade in questi ultimi anni di verificare il veloce cambiamento da un punto di vista dei costumi dei nostri studenti, ormai costantemente accompagnati dai loro cellulari e connessi ad una realtà che di certo starà da qualche parte, ma non in quell’aula.

Mi sono guardato in giro e mi sono chiesto, che ne è stato di quei lunghi corridoi monastici frequentati in prevalenza di uomini (parlo della facoltà a me più familiare, quella di ingegneria), dove incontravi il “fuori corso”, mitica figura che spesso veniva scambiata per il professore o l’assistente, tanto era fisicamente matura e perché no, autorevole, vettore di informazioni vissute e non per sentito dire, consigliere di strategie didattiche che finivano per agevolare tutti tranne lui stesso.

Chi non ha studiato sulle dispense clandestine del fuori corso, i mitici esercizi appresi durante le ore di esercitazione e i frequenti casi di esami, dove tu ti facevi la croce, e pensavi “come finisce si cunta” poiché chi ti avrebbe dato certezza della correttezza di quelle pagine di appunti?

Il dubbio si sarebbe insinuato, pensando che l’autore di tali appunti aveva dovuto sudarsela la materia o peggio, non ancora l’aveva superata.

4Ma che bignami di esperienza dietro questa confortante figura, spesso proveniente dai paesi della provincia o dalle province limitrofe, di frequente da una famiglia benestante che pur di investire su un figlio ingegnere, tollerava il permanere in facoltà, qualche anno in più del dovuto o del previsto, mettendogli a disposizione il piccolo appartamentino, l’automobile e le risorse per vivere nel capoluogo, non facendo proprio una vita di stenti.

Guardavi con ammirazione tanta libertà, tu che dovevi trovare conforto e rimedio nella tua piccola 500L o spesso F evitando danni permanenti a causa dell’ingombrante freno a mano, mentre lui godeva di un appartamento, spesso condiviso con altri studenti, ma ognuno con la propria autonomia di stanza e con la propria, chiameremmo oggi, privacy.

Un mondo a parte per noi studenti cittadini che dopo le lezioni tornavamo a casa nelle nostre famiglie, serviti e riveriti.

Dove saranno finiti costoro che sapevano tutto sui professori e ti davano consigli sui corsi da seguire, altro che Facebook e WhatsApp, le loro informazioni erano impeccabili e tu prima di andarti a discutere il piano di studi in segreteria te lo discutevi con il “fuori corso”, colui che, nella sua saggezza è a conoscenza di tutti i “cortili” della facoltà, relazioni ufficiali e clandestine, nepotismi e quant’altro di ufficioso, era il primo punto di ascolto e di accoglienza degli studenti, ancor prima che nascessero le associazioni universitarie e tutti gli attuali strumenti a supporto per gli allievi.

Non esistevano algoritmi, ma la consapevolezza che lui c’era già passato e gli era andata male e quindi con grande generosità avrebbe desiderato una migliore sorte per te. Dove è finito oggi tanto altruismo?

Il primo io, non avendone capito nulla della vita, figuratevi allora, andavo dietro pensieri idealistici che mi facevano augurare un mondo migliore, meritocratico nel quale certamente chi giungeva a laurearsi dopo quindici anni o soltanto con una sfilza di diciotto, avrebbero avuto grosse difficoltà ad inserirsi professionalmente nel mondo del lavoro.

Oggi, mi viene soltanto da ridere, nel vedere le responsabilità e i posti di prestigio che costoro a differenza mia hanno ricoperto, grazie anche alla politica, a quel benessere che gli permetteva di divertissi all’epoca, mentre io facevo bile e continuare a farlo oggi da posti di prestigio mentre io continuo fare a bile.

Voi direte che forse erano quelli i modelli vincenti e io vi rispondo di no, poiché una cosa ho imparato, la qualità paga sempre, e ti garantisce, se la cerchi, la libertà, qualunque siano i vagli, anche corrotti, o falsati ai quali ognuno di noi dovrà sottoporsi.

Non dimenticate che il perpetrarsi di questi costumi hanno fatto si che ormai il nostro paese non abbia molte chance nella competizione e i freschi cervelli sono ambiti dalle realtà estere nel campo della ricerca, perché noi non siamo un paese serio, chiunque giunga al governo, poiché in un paese che affonda ritardando serie riforme strutturali amministrative e sociali il far diventare primario il dibattito su “l’utero in affitto”, mentre tra poco buona parte della popolazione avrà la preoccupazione delle “case in affitto”, è un paese che continua a non saper fare i conti con le priorità, certo che alla fine, ognuno in modo furbo riuscirà a trovare il modo di sopravvivere.

Un abbraccio, Epruno.