“Non si può non comunicare!” e caro Watzlawick quante volte lo abbiamo detto! Aldilà di questa necessità siamo certi di essere in condizioni di farlo? Siamo certi di sapere come farlo? Siamo certi di volerlo fare?
Ci chiudiamo quella porta di casa alle spalle senza sapere se quando vi faremo ritorno, le condizioni saranno sempre quelle di prima e noi saremo ancora le stesse persone.
E’ capitato a me, una mattina ho chiuso una porta alle mie spalle e non l’ho più rivisto, eppure avevamo ancora tante cose da dirci, avevamo tante cose da raccontarci, dovevamo ancora conoscerci meglio, avevamo un lungo percorso da affrontare insieme, ma dietro quella porta al mio ritorno, Lui non c’era più!
E proprio quando si conosce il concetto di “assenza” che si sente sempre di più l’importanza del “comunicare”, per non rimanere con il rammarico ed il rimorso di aver potuto comunicare.
Non sempre chi tace lo fa perché non ha nulla da dire, molto spesso lo fa perché non siamo riusciti a trovare la giusta codifica per comunicare.
A volte viviamo accanto ad una persona senza sapere chi esso sia. Altre volte riversiamo un mare di parole su questa persona e ne riceviamo altrettante, eppure non siamo riusciti a comunicare. Certe volte basta una carezza, uno sguardo dato in una maniera particolare, per trasmettere tante di quelle emozioni che un intero vocabolario di parole, non sarebbero state in grado di esprimere.
Andando avanti prendiamo consapevolezza di cosa sia la noiosa comunicazione “dell’ Io” ancora più violenta della comunicazione “urlata” televisiva.
Certe volte per dovere o per educazione stiamo ad “ascoltare o far finta di ascoltare”, chi preso da deliri di onnipotenza e della cultura del suo “ego”, pronuncia la parola “Io” con una frequenza imbarazzante.
Dopo ore ed ore, prendiamo coscienza di aver ricevuto tante di quelle parole, ma di non aver comunicato un cazzo!
Ecco, mi viene in mente che oggi la gente ha bisogno di essere ascoltata più che di comunicare, lo dico da tempo, siamo sempre più diventati delle “isole”! Sentiamo la voglia di raccontare o raccontarci, senza necessariamente sentirci interrompere immediatamente, qualunque sia l’oggetto del nostro discorso, dall’interlocutore che ci dica “pure io” e cambi argomento!
Siamo pronti a fare sfoggio della nostra ampia coda di pavone, senza riuscire realmente a farci conoscere, senza permettere che alcuna emozione altrui abbia potuto attraversare il nostro scudo di protezione, senza aver comunicato nulla ed aver lasciato nulla al nostro interlocutore, rimanendo isole in un arcipelago di isole, fin quando rimarremo nelle rotte di navigazione altrui ….con il rischio di finire nell’oblio quando non saremo più una meta interessante.