Archivio per la categoria: Epruno – Il meglio della vita (ilsicilia.it)

“La vita” lasciamola fuori da ciò

Carissimi, certe volte “la vita” ci si siede accanto e rimane in silenzio a osservarci, così come faceva quando eravamo dei bimbi nella culla e si chiedeva cosa saremmo diventati.
Siamo cresciuti e lei con noi, siamo stati sempre insieme nei momenti che contavano, ci ha aiutato ad alzare dei trofei, ci ha sostenuto quando avremmo voluto piangere e stata difronte a noi a fissarci quando abbiamo dovuto prendere decisioni difficili.
“La vita” è stata sempre accanto a noi come una presenza discreta eppure spesso abbiamo addossato a lei i nostri errori, le nostre scelte anche quando siamo stati dei salmoni impazziti ad andar controcorrente.
Eppure ci fu un tempo in cui lei era giovane come noi e noi eravamo per necessità già più matura di lei e facevamo sport perché quella era l’età dell’agonismo, studiavamo perché quello era il momento nel quale dovevamo costruire il nostro futuro, quando avremmo potuto divertirci un po’ di più come la stragrande maggioranza dei nostri coetanei, avremmo potuto vivere passando da una festa all’altra, da una ragazza all’altra, da una bottiglia all’altra e perché no, drogarci e non mi dite che mancavano le occasioni.
Così nell’attesa di crescere, avremmo potuto anche avventurarci in imprese balorde, mettere insieme più famiglie, spargere figli di qua e di la e poi buttarla da tergo alla “vita”, come causa di tutte le cose che non sono andate come sarebbero dovute andare.
Che strano, io sono qui appesantito, con le cicatrici che una crescita razionale mi ha prodotto e la mia “vita” è in perfetta forma difronte a me e mi guarda aspettando istruzioni per fare cose folli, con tanta voglia ancora di scoprire cose nuove e io vorrei dirle: “Amica aspettami, non ce la faccio”.
Io correvo nell’età dell’agonismo, i miei coetanei, al tempo “paccheri” reduci stremati dall’ora di educazione fisica scolastica, corrono tutti adesso, ora che non c’è nulla da vincere, quasi a voler esorcizzare l’età che passa e non volersi arrendere al fatto che crescendo s’invecchia e come ho detto più volte, “invecchiare non è una cosa tragica, ma è soltanto vivere una stagione diversa con spirito diverso e risorse diverse.”
Costoro con fisici apparentemente perfetti, a volte stirati che ricordano lontanamente quello dei ventenni, sono li alla ricerca di energie e di surrogati mentre la loro “vita”, seduta difronte è invecchiata con le cicatrici di tutte le scelte frettolose sbagliate, del danno che per incoscienza è stato lasciato nelle “vite altrui”, di tutto quel peso degli errori che zavorrano l’animo, vorrebbero esorcizzare tutto ciò attraverso una iperattività fisica, come se gli errori potessero andare via come i chili superflui.
Chi ha avuto ragione? Prima che truccassero le regole, le tappe del nostro crescere e le metodologie dell’ingresso in società erano risultate giuste e di qualità, adesso siamo figli di una società livellata verso il basso che va appresso ad effimeri esempi del momento non avendo più ideali in cui credere.
Guardiamoci, adesso che potremmo essere determinanti, ci ritroviamo ancora davanti al dilemma: “indossare gli scaldamuscoli o resistere ancora al panem et circenses”.
Potrebbe essere una grande strategia per livellarci e distrarci dal problema, ma ricordate che saremo noi i responsabili delle nostre scelte, “la vita” lasciamola fuori da ciò, poiché o in perfetta forma come la mia o con gli scaldamuscoli ma usurata come quella di altri, giunto il momento ci lascerà in tredici allo stesso modo.
Un abbraccio, Epruno.

Siamo Strani? No è Impressione Mia

Carissimi,
Che volete che vi dica? Siamo strani. Mi direte: “Ora te ne accorgi?” Ammetto, non me ne accorgo adesso, ma quando decido di fare maggiore attenzione a ciò che mi circonda, ho quasi la sensazione di vivere in un grande set cinematografico dove la mia vita è soltanto qualcosa di recitato in compagnia di tanti altri attori che intorno a me recitano alla grande, poiché pur avendo davanti ai loro occhi scenografie montate e dietro grandi ponteggi, con tubi e giunti, si muovono in scena con tanto agio, senza uscire fuori dallo spazio delimitato, senza fare attenzione a ciò che è lo spazio delimitato, ma concentrati nel loro ruolo, parlando, proferendo frasi senza senso spesso, facendo finta di crederci.
Ne hai voglia a tentare di richiamare la loro attenzione per fargli notare che è tutta carta pesta e che alla fine spegneranno i riflettori, uscirà il “ciak” dal campo e il “regista” andrà via e tutti ritorneremo alle nostre vite di “merda”.
Loro, nulla, concentrati, spesso pieni di se per il ruolo assegnato, convinti della validità della “sceneggiatura” e soprattutto convinti di essere dei grandi “attori”.A quel punto ti verrebbe di distribuire a destra e a manca “boffe” ma poi anche tu ti rendi conto che nel dubbio, prima o poi la scena finirà e che nella prossima ti potrebbe capitare un copione migliore, una sceneggiatura più soddisfacente, addirittura nella “fiction” successiva potresti invertire i ruoli con chi oggi ha avuto da recitare ruoli dominanti e pensi: “che sa da fa ppe campà!”
Stai tranquillo, ti reciti la particina da comparsa, cerchi di non fare incazzare la produzione (loro si sempre gli stessi e con il pallino in mano) e speri che alla prossima recita ti chiamino ancora, poiché se sei comparsa, continuerai a fare delle comparsate senza che il pubblico a differenza di chi ha ruoli in cartellone, decreti il tuo successo.
Allora nel dubbio, pure io a volte mi metto il “prosciutto davanti agli occhi” seguendo pedissequamente la sceneggiatura e muovendomi a mio agio tra le scenografie e sono colui che sorregge “Giulio Cesare” dopo che è stato pugnalato a morte dai congiurati, sono quello che è abbattuto dal primo colpo di mitraglia accanto al protagonista dello “sbarco in Normandia”, sono chi collabora nel front-desk dell’albergo il portiere nel film “Pretty Woman”.
Sono un attore (parola grossa), sono una comparsa che per pochi euro al giorno riempie la scena senza proferire parola, nessuno attenzionerà il mio volto, faccio soltanto “folla”, avendo cura di passare giornalmente a ritirare e riconsegnare a fine giornata il mio costume di scena (a meno che non mi lascino “recitare” con i miei stessi abiti) e non dimenticando mai a pranzo il mio “cestino” che mi permetterà di potermi vantare con coloro che mi diranno: “Beato te che almeno ……”.
A che serve avere fatto “i giganti della montagna”? Chi ci pensa più ormai. E si siamo strani. Non so se realmente la “vita è un film” o “il film sia la vita”, lascio a Marzullo tali considerazioni, una cosa è certa, quando sul “set” sento spari, io per si o per no mi butto a terra, non sapendo se trattasi di veri colpi di pistola con vere pallottole o colpi sparati a salve per fare scena.
In attesa che cambi il “film”, quantomeno il “soggetto”, cerco di portare a casa la pellaccia ed è quello il momento nel quale invidio coloro che fanno le comparse nei “film porno”, ma sono certo che anche in quel caso, “oggi” il mio ruolo si esaurirebbe nelle prime scene, ancor prima che inizino “i fuochi d’artificio”, ma quanto meno non rischierei la vita. Un abbraccio, Epruno.  

(Pubblicato Venerdì 21/04/2017 su www.ilsicilia.it)

Il Due in Schedina

Carissimi, un giorno usci inaspettatamente il “due in schedina” e ne vedemmo delle belle.
Fino a quel momento i più forti e i tracotanti sbattevano in faccia a tutti la loro presunzione perché mai e poi mai ci si sarebbe potuto aspettare un “due” e poi proprio in quel campo così forte dove tutto per loro sembrava sotto controllo, dove tutto si immaginava esser concesso, dove non soltanto i “giocatori” ma tutto il contesto era forte e sicuro di se. Tutto era vincente finanche le porte e certi della propria “potenza” spesso e volentieri qualcuno si lasciava andare a gesti di poco stile e mortificanti per i “rivali”.
Ma che volete, come dargli torto, tutto girava da tempo per il verso giusto e anche il sistema si era abituato all’idea che costoro fossero invincibili e anche quando nasceva un “dubbio” era più saggio e più conveniente non essere “pro reo” e così facendo si alimentò il mito.
Ma quando tutto ti va bene e naturale che ti venga la voglia di “andare fuori misura”, spinto anche da chi ti “sostiene” che nulla può sapere dei tuoi limiti e in modo spesso subdolo ti fomenta e ti invita a “andare sempre oltre” dando la sensazione che ti sia “bevuto il cervello”.
Diciamolo francamente, gli spettatori vogliamo vedere sempre “spettacoli cruenti” fin dai tempi delle “arene”, perché i miti, dopo averli creati e esaltati, godono immensamente nel distruggerli poiché ciò li tranquillizza nella loro dimensione di mediocri.
Però, come dicevamo, un giorno usci il “due” e fu eclatante non solo per la circostanza che fece “felici” quei pochi (ed erano quanto le dita di una mano) che speravano e avevano scommesso che ciò potesse accadere, non prima o poi, ma in quel determinato momento, ma grazie al fatto che oltre che eclatante fu devastante per chi non abituato a perdere, subendo una “defaillance” nel momento di massimo sforzo finisce per perdere la concentrazione, la tranquillità e alla fine la certezza.
E fu così che dopo quel “due”, giunsero altri “due” e il giocattolo si ruppe, anzi crollò come un castello di carte, poiché anche i “sostenitori” non proprio fidelizzati trovarono non più conveniente il loro sostegno, anzi si guardarono in giro in cerca di altri modelli in quel momento vincenti.
Chi “se ne sentiva” (come si dice dalle nostre parti) disse “alla scordata” che il grande errore non fu subire un “due” ma non chiedersi come e per quale motivo questo “due” si fosse subito, continuando imperterriti nello stesso atteggiamento, senza prendere consapevolezza della scarsezza del progetto iniziale basato non su un collettivo, non su “campioni” ma su quelli più “convenienti”.
Quel “due” rimase soltanto oggetto di chiacchiere nel tempo dietro un bicchiere di vino nelle “taverne”.
Morale della storia: se sei veramente forte, se ti sarai “allenato bene”, saprai dosare le tue energie e misurare i tuoi comportamenti così facendo sarà tutto sotto il tuo controllo, ma se non sei veramente così forte e i tuoi successi sono frutto di compromessi, di protezioni, debolezze altrui o peggio di furbate, basta una “folata di vento” in un momento di distrazione, basta un “episodio dimenticato” e anche il più insignificante dei giocatori, anche la squadra più scarsa ti farà “goal” quando meno te l’aspetti e si porterà a casa la partita.
Quindi attenzione non fare troppo gli “sbruffoni e i superficiali” mentre si vince, perché un “due” è sempre in agguato. Ma voi mi direte: “che significa il totocalcio non esiste più!”
Si è vero, ma i “due” non escono soltanto in schedina. Un abbraccio, Epruno.

Il Salumiere

Carissimi, ricordo da bambino la mia via disseminata di negozi di alimentari, una sorta di ipermercato all’aperto. Ricordo il salumiere con la mitica penna dietro l’orecchio pronto a fare i conteggi su un pezzo della stessa carta che utilizzava per avvolgere gli alimenti. Ricordo il bel fruttivendolo con le sue casse di frutta e verdure multicolori esposte sui marciapiedi, il pentolone con l’acqua calda con dentro i carciofi bolliti, la carta di giornale che avvolgeva gli alimenti. Ricordo il macellaio con il suo camice tutto fuorché bianco che nel retro bottega si tagliava e conservava nelle proprie celle frigo i quarti carne. Ricordo il pescivendolo con l’inconfondibile tanfo (per me) dell’acqua di pesce sotto le “balate” espositive, sul pavimento.
Oggi tranne qualche sparuto esempio di negozi di alimentari, divenuti più che altro “gioiellerie”, tutto ciò è andato perso come i rapporti umani e fiduciari che stavano dietro questo commercio.
Ricordo di quando non esistevano e date di scadenza degli alimenti riportate sulle confezioni senza che ne morisse lo stesso nessuno.
Mi manca il rapporto con il pizzicagnolo, il macellaio o il fruttivendolo che mi avevano visto crescere essendo sul percorso che giornalmente facevo a piedi per andare a scuola con la cartella a tracolla e si affacciavano sui marciapiedi dove giocavo nel pomeriggio con i miei amici.
Oggi c’è l’ipermercato, il supermercato, il centro commerciale. Oggi ci sono scaffali e banchi di roba dai quali devi servirti tu da solo per far presto e per economizzare i costi di gestione. Gli operatori non necessariamente hanno competenza dei prodotti che vendono. Con il passar del tempo si stanno ricostruendo all’interno di queste mega strutture, degli angoli che ricordano la bottega del pescivendolo, la bottega del macellaio o il mitico banco della salumeria dove oggi mediamente troviamo dietro tre “intrattenitori”, più che “pizzicagnoli” che intrattengono, mentre affettano i salumi, le clienti con battute e confidenze date e prese senza alcun motivo. Così mentre attendi, con lo scontrino del turno in mano, ti devi obbligatoriamente sorbire i discorsi di famiglia di questi interlocutori, conoscere particolari della loro vita privata, cosa hanno fatto lo scorso fine settimana. Siamo passati dalla consueta domanda “chi viene adesso” al tabellone elettronico con il numero del turno con annesso talk-show d’intrattenimento.
Difatti è provato che se un uomo e una donna fanno da soli la spesa al supermercato, una donna riesce a impiegare fino a tre volte più del tempo che impiega l’uomo che certamente non si sofferma a disquisire con il Sig. Attilio a meno che questi tra un provolone e una mozzarella non chieda che cosa farà il Palermo la domenica successiva, come se il cliente fosse un indovino.
Ma ciò che disturba di più e il corridoio che ci separa dalle casse, a mio parere da percorrere alla Bolt per uscire da tanta “organizzata confusione”, il tratto nel quale le donne si perdono, avendovi da prima dato l’illusione di aver terminato la loro spesa, mentre vi lasciano subdolamente con una montagna di prodotti nel carrello davanti alla cassa, mentre cercate la carta fedeltà, le buste portate da casa e i soldi per pagare, in balia di una cassiera che presa dal ritmo e aiutata dal lettore ottico, vi fa sentire una cosa inutile poiché non riuscite ad aprire una semplice busta di plastica.
Abbiamo distrutto il commercio al dettaglio e antiche professioni creando queste grandi strutture per guadagnare soltanto tempo alla cassa? Può darsi, ma per cortesia, eliminate quei pericolosi corridoi che convogliano alle casse, si racconta di donne che percorrendoli non sono più tornate a casa. Un abbraccio, Epruno.

Il Voto è Segreto

Carissimi, è passato un altro mese e quindi appare opportuno andare all’appuntamento con il barbiere, inutile spendere ancora parole su questa mia cadenzata abitudine specialmente se mi avete seguito in queste settimane trascorse, ma vi ricordo solo che questo per me è un “momento sacro” al quale non intendo rinunciare.
Giunto davanti alla barberia mi accorgo subito del grande manifesto attaccato accanto alla vetrina con, in primo piano, un faccione sorridente di un uomo corpulento, scarabocchiato con un paio di baffi aggiunti con un pennarello e una scritta anch’essa aggiunta a dileggio, recitante “A facci da saluti! Se acchiana quantu n’avi a custari?”
Salvatore agitato più che mai era intento a litigare davanti alla soglia con il Sig. Michele, portiere custode dello stabile accanto, il quale ne voleva come si dice in gergo “cento per davanti” e accusava l’amico barbiere di aver voluto macchiare volutamente il manifesto del Cavaliere Pampinilla candidato e capo condomino da venti anni dello stabile soprastante, per far ricadere su di lui la colpa, mettendolo in difficoltà.
Ovviamente la “vile mano anonima del dissenso” aveva voluto scherzare sulla fisionomia e i vizi del Cavaliere ben conoscendolo, il Pampinilla di fatti basso e alquanto tarchiato era una buona forchetta, un amministratore contabilmente molto chiacchierato e con un carattere alquanto autoritario tanto da essere soprannominato in zona il “piccolo Adolf”.
Entro nel locale e il Rag. Lo Stimolo seduto al suo solito posto aveva il giornale aperto e disquisiva con i soliti clienti abituali : “Ma quando mai? Il voto è segreto. Ma può essere mai che vi siete abituati a usare la nostra costituzione come carta igienica?”
Il signor Mario, aiuto fruttivendolo ambulante, come al solito seduto tra di noi, non in qualità di cliente, ma nell’attesa dell’orario per tornare a casa, ribatteva: “Ragioniere, questo lo dice lei? Ma me lo spiega come mai mio compare Marcello mi ha tolto il saluto dall’ultima elezione, da quando ha scoperto che non gli ho votato il suocero? Come ha fatto a capirlo?”
A mettere la chiosa al discorso ci pensa Salvatore, rientrato in bottega dopo l’alterco con il portiere: ”Ma certo, tu isti a scartari n’esempio? U Zu Giuanni il suocero di Marcello, ma unni avia a ghiri? Già in famigghia su 5 cristiani e iddru pigghiò in totale 4 voti. Già c’è un franco tiratore anche nella stessa tavola di casa.”
Interviene il Sig. Michele rientrato e calmatosi dopo il battibecco iniziale con Salvatore: ”Totò io nnu sacciu cu è stu “Franco Tiratore” ca nun ci vutò, sacciù sulu che comunque schifiu andò a finire io ci votavi certamente”.
Il sagace Rag. Lo Stimolo a questo punto tra le risate generali sentenzia: “Ma bellu candidatu. Pigghiò 4 voti, in famigghia su 5 cristiani e già si scopre che 2 di loro non lo hanno votato, se è vero come è vero che lui dichiara almeno di essersi votato personalmente. Ecco, quando il candidato non ha dove andare se u voto nun ci u vuliti dari, diteglielo, perché e vero che il voto è segreto, ma se nella sezione dove voti tu, lui non prese neanche un voto e tu ci dicisti ca u votasti è ovvio che dru cristiano si sente preso per i fondelli”.
Riprende il Sig. Mario: “ma iddru, perché si appreca con me, quando già la sua base elettorale, facia acqua di tutti i banni?”
A un certo punto mi accorgo che Salvatore teneva sul suo piano di lavoro, un innumerevole collezione di “volantini elettorali” uno diverso dall’altro e alla mia richiesta: “ma che significa tutto ciò?”
La risposta giunge immediata accompagnata da un sorriso beffardo: “Dottore, io fazzu u barbiere no il grande elettore come tutti questi signori “lobbisti” seduti qua. Io devo campare e non posso scontentare a nessuno e quindi a ognuno che viene e mi chiede io gli rispondo, i lassassi cca. Poi per quanto mi riguarda, il voto è segreto.” Un abbraccio, Epruno.

Il Santino Elettorale

Carissimi,
anche questa settimana vorrei contribuire a scrivere per voi questa sorta di vademecum di sopravvivenza a questo prossimo periodo elettorale.
Francamente con tutti i problemi seri che questo paese ha meglio parlare di politica opportunamente conosciuta come quella cosa che non affronta i problemi e spende il suo tempo scegliendo con cadenza periodica un tema e litigando in contraddittorio per tutto il periodo, ciclicamente fino alla fine del mandato elettorale e guadagnandoci pure.
In questa seconda puntata del vademecum, parliamo dell’importanza del facsimile elettorale.
Innanzi tutto perché si chiama facsimile? Perché da uno dei suoi due lati, riporta riprodotta la scheda elettorale con relativo colore identificativo, con i partiti e le indicazioni di voto e quindi con scritto in evidenza anche il nome del candidato.
Fino a qui nulla da eccepire a meno di precisazioni su omonimie, su storpiature e su nomignoli dichiarati in anticipo onde evitare l’annullamento della scheda, per esempio: Enzo Rossi detto “testa di caz..”, in questo caso votando “Enzo testa di caz..” o “Rossi testa di caz..”, l’elettore manifesta inequivocabilmente la sua volontà di voto, se voto solo “testa di caz..”, essendo in molte, lì nascerebbero problemi con il rischio che la scheda venga quasi sicuramente annullata.
Ma quello che è più importante è ciò che si mette nell’altra facciata del facsimile elettorale, quella che normalmente dedichiamo alla foto del candidato, lì la situazione si fa delicata.
Innanzi tutto stiamo attenti al formato del promemoria elettorale e alla scelta della tipografia, sono in molte ormai specializzate nella produzione elettorale, ma fate in modo che si differenzi sostanzialmente la veste grafica da altri tipi di promemoria, per intenderci, del tipo funebre (“i santini”), utilizzati per ricordare un parente che non è più con noi, ciò potrebbe indurre in un primo immediato dispiacere da parte di chi li riceve, sorpresi da un avvenuto lutto senza aver potuto presentare le loro sentite condoglianze.
Per evitare quanto sopra, evitate di mettere date di nascita, fotografie con espressioni sorridenti ed eteree più consone per l’utilizzo sulle lapidi, ma soprattutto non aggiungete frasi estrapolate dalle sacre scritture, poiché credetemi, dopo un iniziale imbarazzo ci sarebbe la corsa a liberarsi del facsimile e passare immediatamente a più noti scongiuri.
Non mettete foto con bambini, foto di gruppo, foto all’americana inneggianti al valore della famiglia, sareste poco credibili e poi non siamo in America.
Individuate foto recenti e non foto da carta d’identità o da profilo facebook o addirittura foto riconducibili al lavoro che fate, inoltre per gli uomini è gradita la giacca e la cravatta, ma in generale per donne e uomini è di rigore l’eleganza come dichiarato rispetto per il ruolo di rappresentanza che aspirate a ricoprire.
Fatene stampare un numero congruo senza lasciarvi prendere la mano da numeri riconducibili a plebisciti, potrebbero in caso di mancata elezione rimanere nei vostri armadi per anni a ricordarvi del vostro fallimento e soprattutto ricordatevi di pagare la tipografia.
Diversamente, non mettete alcuna foto e limitatevi a scrivere il solo nome e cognome eventualmente seguito da “detto” e il nomignolo con il quale siete intesi, sempre per non permettere l’annullamento della preferenza. Il non mettere alcuna foto rende più sereni molti candidati i quali soffrono alla sola idea di vedere la loro faccia pestata e messa sotto i piedi da chi per strada calpesta i volantini elettorali per terra. Certo non è una bella cosa.
Un abbraccio, Epruno.

“No, non lo Dire per Favore”

Carissimi, cosa accade quando vi giunge la notizia più ferale tra tutte le notizie?
Nessuno spera di vivere un giorno più angosciante di questo? Eppure malgrado siete stati cresciuti con gli insegnamenti di sani, morali e basilari principi, mai e poi mai a vi sarete augurati di ascoltare certe frasi del tipo: “Avrei una comunicazione da farti…”
Questo è il momento in cui a tavola ad esempio piomba un imbarazzante silenzio e finanche la TV decide in autonomia di abbassare il proprio volume. So che avete compreso benissimo di cosa sto parlando.
Già dalla partenza della frase chi è con voi presente a tale comunicazione è consapevole di cosa sta per succedere a tal punto che a molti vorrebbe da esclamare, “no, non lo dire per favore” e invece più per saggezza che per pudore continuerete a ripetervelo mentalmente, anche se c’è sempre il più sprovveduto degli uditori cui scappa l’esclamazione: “Noooooooooo!”.
Ma io dico, cosa porta un individuo normale, con una vita insignificante fatta di monotone abitudini, a fare certe scelte? Ma soprattutto chi lo porta a comunicarlo agli amici e ai parenti rovinandogli la giornata? E dire che siamo solo all’inizio.
Quanto questo vostro conoscente o familiare starà per dirvi, non solo cambierà definitivamente la sua vita, ma finirà per condizionare le vostre vite, amicizie che romperanno, promesse di matrimonio che verranno ritirate, speranze di carriera andranno a farsi benedire, aspirazioni costruite come tanta pazienza che si frantumeranno.
In un istante e in mezzo a tanta sorpresa, piomberà l’imbarazzo e la prima domanda che vi farete è: “E adesso che faccio? Come glielo dico?”.
Inevitabilmente spunterà un sorriso sulle vostre labbra proprio mentre il solito sprovveduto di prima proverà a dire uno stentato: “Complimenti”.
Mentre il vostro amico si avventurerà in un mondo attraverso la realtà aumentata fatta di un’autostima portata fino al livello maniacale, attorniato da tutti quelli che ipocritamente gli daranno le pacche sulle spalle per incoraggiarlo e si convincerà che quanto comunicatovi non solo è stato giusto ma era quasi scontato, voi rimarrete soli nella penombra con la testa fra le mani e in preda allo sconforto nel pensare: “Ma a questo coglione come ci venne in mente di candidarsi?”
Più lui stringerà mani, offrirà al bar, incontrerà persone e si convincerà che ogni persona incontrata sarà un voto in suo favore, più voi prenderete consapevolezza di essere nella merda e dire che voi prima che ciò accadesse avevate guadagnato la stima del candidato prossimo vincitore sicuro del vostro personale appoggio e che alla luce di quanto accaduto vi ha tolto finanche l’amicizia su facebook.
Il vostro amico candidato sfigato avrà un po’ di tempo in più per accorgersene ed esattamente lo farà il giorno dopo le elezioni, quando scoprirà che neanche la moglie lo ha votato, che avrà accumulato un mare di debiti consolandosi con la vostra costante presenza, l’unico fedele e sicuro supporter che di contro non ebbe il coraggio di assecondare questa nefanda idea votandolo.
Pertanto se qualcuno che non vedete da qualche tempo o ancor peggio non si fa vivo da periodi immemorabili vi dovesse cercare per comunicarvi qualcosa rispondetegli subito: “Non lo voglio sentire …..”.
Un abbraccio, Epruno.

Attenti ai Tagli Fuori Moda

Carissimi,
è passato un mese e quindi è d’obbligo l’appuntamento con il barbiere. Grazie ancora per esser tornati a trovarmi qui, facendomi risparmiare del tempo prezioso poiché come raccontatovi questo per me è un “momento sacro”, nel quale mi rilasso.
Ho soltanto cinque minuti di tempo per preoccuparmi della sua assenza prima che giunga con la sua lenta cadenza l’attempato Rag. Lo Stimolo, il quale salutati i presenti, riposto il cappello, la sciarpa, il cappotto e il bastone nell’apposito porta abiti, si accomoda indossando i suoi occhiali per la lettura da vicino iniziando a sfogliare il quotidiano.
Siamo tutti presenti, può iniziare il solito talk-show ante litteram generato dalla lettura a voce alta dei titoli e al successivo commento dei clienti in attesa (buona parte dei quali avete imparato a conoscere nei mesi scorsi) il tutto moderato da Salvatore mentre taglia i capelli alla persona di turno.
Vi ho più volte detto che gli abitudinari astanti del tradizionale barbiere sono o persone in età o gente semplice, ma di un umor superiore alla media e che sotto le forbici si è tutti uguali e quindi ci si può permettere di imbastire discussioni prescindendo da qualunque titolo di studi e ruolo nella società, perché dal barbiere tutto è permesso.
Così il Rag. Legge a voce alta il primo titolo “Kim Jong-un continua con i suoi esperimenti nucleari”, il signor Mario, aiuto fruttivendolo ambulante, come al solito seduto tra di noi, non in qualità di cliente, ma nell’attesa dell’orario per tornare a casa si rivolge a Salvatore chiedendo: “Salvatore, ma i capiddri a chistu ci i tagghi tu? Ci i tagghiasti cu u cicaruni?”
Salvatore senza alzare gli occhi dalla testa del cliente e non cadendo nella provocazione risponde: “Va bene che è testa vacanti comu a tia, ma io sti tagghi fazzu?”.
A questo punto interviene il Sig. Michele, portiere custode dello stabile accanto che redarguisce l’amico fruttivendolo dicendo: “Certo che stu gnucculuni avi a fari succediri qualche guaio. U patri si che era un bravu cristianu”.
Si intromette anche Salvatore per correggere: “U patri?” Incalza il Rag. Lo Stimolo “Il Patri”. Interviene il Sig. Michele “scusate, va bene che ho la quinta elementare fatta a tri vuoti ma in siciliano è chiaro ….. u patri”.
Risponde il ragioniere “il patri, un figghiu, nam frati”.
Il signor Mario non certo intellettuale e con poche certezze lessicali interviene preoccupato “nun ni sta capiennu più niente”.
Il Rag. a questo punto con la pazienza della saggezza abbassa il giornale e spiega “allura, in famigghia si chiamano tutti Kim Jong. U patri era Kim Jong-il, u gnucculuni è Kim Jong-un e u frati chiddru che ammazzaru l’atru iornu si chiamava Kim Jong-nam”.
Si intromette anche Salvatore per dire la propria “certo ragioniere che lei è enciclopedico, non comu dru gnurantuni di Micheli? A proposito Michè ma unni u liggisti che u patri era un bravo cristiano? Nno Selezione?”
Risponde il ragioniere “Miii u Selezione dal Reader’s Digest, avica. Ma Salvatore dunni ti viennu sti pinsieri?”
Risponde Salvatore “vassia su ricorda che arrivava ca posta senza che nessuno l’aveva ordinato e poi vulianu i picciuli?”
La discussione a questo punto si fa imbarazzante e in sala piomba per qualche istante un silenzio tombale fin quando il sig. Michele fattosi coraggio risponde: “che u patri era un bravu cristianu, me lo disse mio cugino del sindacato, u canusciti, chiddru che è ntisu comu Ciù En-lai (Zhou Enlai). E poi scusate ma sicuru che i Selezione si pagavanu? Nunn’erano gratis? Io n’aiu n’armadiu chinu e nun c’aiu datu mai na lira”.
Il caro Salvatore sempre intento a tagliare i capelli del cliente, voltatosi verso il sottoscritto mi fa un cenno senza proferire parola, del tipo “dottore non ci facesse caso”, mentre il Rag. Lo Stimolo senza distogliere gli occhi dal giornale, storcendo la bocca disfiziato sentenzia: “Minchia! Palermo Capitale della Cultura e della Legalità”.
Un abbraccio, Epruno.

La Sicilia è un’Isola……Pedonale

Carissimi,
Se sentiamo “Schottentor U-Bahnhof” chi ha viaggiato un po’ mi dirà: “Siamo a Vienna”. Ma se sentiamo “A Cala”, con tutto il rispetto mi risponderete “Simu mpaliermu” (siamo a Palermo).
Chiunque di noi comprende che pur avendo citato due belle e grandi città queste appaiono peculiarmente diverse, anche se non così tanto. I grandi viaggiatori si possono permettere di dire che queste due città hanno una similitudine nel miscelare miseria e nobiltà e dietro le imponenti quinte dei palazzi lungo le larghe strade del centro vi sono i quartieri frutto delle vecchie borgate, così dietro il Ring come dietro Via Libertà ad esempio.
Ma Vienna è Vienna e Palermo è un’altra cosa e così perché dall’alto di una presuntuosa supponenza noi “simu i miegghiu” (siamo i migliori), ancor prima di dotare o completare le infrastrutture a supporto della mobilità urbana, solo a noi poteva venire in mente di trasformare via Maqueda in un’isola pedonale come Kärntner Straße (Vienna).
Poi un giorno leggi “Palermo capitale” e te ne compiaci per questo ulteriore successo, ma poi continui “del traffico, prima nella classifica 2017 di Tom Tom Index” e ancora “Le città con più traffico al mondo
Palermo e Roma peggio di Londra, in coda per 6 giorni ogni anno” (internet) in questa speciale classifica fatta sul “tempo perso in auto”.
Certo questi “Sigg. Tom Tom” neanche sanno dove sta di casa l’allegria, figuratevi “a cuntintizza”.
Mi chiederete: “Sei anche tu contro le isole pedonali?” Ma assolutamente no, ho soltanto difficoltà a capire le cose quando a mio parere sono bizzarre.
Prendi comunque una città con un considerevole numero di macchine, in parte “rigenerate” grazie ad una campagna nazionale per la rottamazione incentivata dallo stato per favorire una nota casa automobilistica olandese. Prendi una città che sta ancora pensando a come applicare le regole di una mobilità alternativa, con le piste ciclabili disegnate sui marciapiedi alberati e le strade ancora piene di cantieri per le opere infrastrutturali in superficie e in sotterranea.
Metti che mentre ancora tutto ciò è in essere e non avendo ancora identificato parcheggi pubblici e privati sufficienti, decidi a un certo punto di chiudere l’arteria principale di attraversamento (via Maqueda) del grande centro storico dove nel frattempo hai anche spostato le sedi della pubblica amministrazione, a stretto giro chiudi la metà dell’altra principale arteria che incrocia la precedente (il Cassaro) e successivamente decidi di limitare il traffico nella parallela arteria importante di ritorno (via Roma, rendendo vana “la ratio” del precedente devastamento di un tessuto storico urbano stravolto dalla costruzione di questa innaturale arteria tra il 1894 e il 1936).
Ti meravigli pure che il traffico è divenuto caotico?
Anche in fisica, se diminuisci la portata di un contenitore non puoi pretendere che questo contenga la stessa quantità di liquido di prima. Come direbbero gli antichi: “L’acqua del fiume deve giungere al mare”.
Atteso che anche Kärntner è un’arteria di attraversamento molto elegante (che con molta fantasia potrebbe somigliare a una via Maqueda), non ti viene il dubbio che quell’attuale percorso di guerra, tra cantieri, restrizioni, triple file improvvise inversioni di sensi di marcia che parte da via Cavour, Foro Italico, via Lincoln, Corso Tukory, Papireto, via Volturno non potrà mai somigliare al bello e ampio “Ring” viennese?
Come tutti i teoremi merita una contro-dimostrazione. Ipotizziamo di trasferire il “Ring” viennese a Palermo, dopo poche ore le macchine delle mamme che accompagnano i bambini a scuola, di coloro che devono fare compere, gli immancabili TIR che scaricano roba in ora della giornata, ridurrebbero questo fantastico viale in un vicolo, ovviamente non dimenticando uno scavo per lavori ogni 500 metri, senza alcun coordinamento e chi ti vende di tutto ai semafori (Fiori, frutta, fazzolettini) e perché no, anche la faccia contrita dello zingarello che ti chiede: “signor ppi favuri un euro” (signore per favore 1.936,27 lire).
Saremmo punto e capo. La verità e che non c’entra nulla la collocazione geografica, non c’entra nulla la visione urbanistica, ma c’entra soltanto che noi palermitani siamo strani e in quanto tale unici e nulla mi toglie dalla mente che ciò derivi dall’acqua che beviamo.
Un abbraccio, Epruno.

Non Essere

Carissimi,
Mi ritrovo assorto sulla mia scrivania di lavoro a ordinare le tante carte inutili della burocrazia fatte da note tutte uguali che iniziano con frasi standard come “con la presente” o con “facendo seguito” e che sanciscono il principio “dell’io per si e per non lo scrivo affinché un domani tu non possa dire che io non lo avessi scritto” ed ecco che nel mio orecchio risuona una ciclica cantilena “io sono, tu sei, egli è …”.
Una bimba, venuta a trovare la mamma che lavora per poter tornare a casa insieme, nella stanza fa diligentemente i suoi compiti, ripetendo a memoria e a voce alta il verbo “essere”.
All’inizio mi dà soltanto la sensazione di una nenia ma a lungo andare la voce del verbo essere mi entra distintamente nel cervello cogliendone in pieno la sua essenza e soprattutto l’importanza con ciò che esso sentenzia.
“Io sono, tu sei, egli è”, chiaro poiché “io sono” e sono pochi oggi coloro che si possono permettere di presentarsi prima di affrontare una conversazione con l’affermazione del proprio “essere”.
“Io sono”, quanti al giorno d’oggi possono avere la consapevolezza dell’essere qualcuno, quanti hanno una propria storia da presentare, quanti hanno un passato che li qualifica e l’identifica immediatamente nell’atto di presentarsi?
Tutti gli altri devono spendere più parole per far capire all’interlocutore chi si trovano davanti, eppure accade ancora che molti confondano “l’essere” con il “sentirsi”, ma badiamo bene sentirsi utilizzato non per ascoltarsi, ma per identificare il livello di autostima “geneticamente modificato” a tal punto di sopravvalutarsi. Molti “si sentono”, ma non “sono”.
Siamo in un’epoca nella quale i fratelli Montgolfier farebbero grandi affari visto il numero di “palloni gonfiati” che vi sono in giro, viviamo un periodo caratterizzato da meteore sopravvalutate o da gente venuta dal nulla e senza un passato, ritrovatasi per miracolo ai vertici dei nostri contesti sociali e pronti a scomparire alle prime difficoltà, gente pronta a mandare avanti le proprie credenziali costituite da pagine, pagine, pagine curriculari piene di nulla.
Ci fu un periodo nel quale conoscere una persona che poteva dire “io sono” ci cambiava la vita e nella peggiore delle ipotesi ci rassicurava, oggi sembra che ad aver preso il campo sono una seria di personaggi che somigliano più a formiche che una volta tolta la pietra a copertura del formicaio, girano freneticamente apparentemente senza una ragione, ma pronte a organizzarsi militarmente, facendo parte di un unico disegno, nel momento in cui c’è da organizzare una lunghissima fila per portare nella tana la “grossa mollica”.
Siamo davanti alla scomparsa graduale degli “io sono”, ridotti alla dotazione minima e relegati dall’organizzazione dietro le linee a vantaggio degli effimeri che “si sentono qualcosa”.
Scoraggiando chi vuole fare, facendo partire le intelligenze e le energie migliori, scoraggiando la semplice iniziativa si è avvantaggio chi dietro le quinte opera, manovra, dispone e addirittura si sovrappone in produzione per essere certo che il suo volere arrivi a compimento.
Operando in questa maniera quando potremo avere una reale crescita di questo contesto sociale e di conseguenza economico? Può darsi che tutto ciò sia strumentale e scientificamente programmato da tempo? Può darsi che questa è l’epoca degli utili idioti in prima linea?
Con tre domande non da poco vi abbraccio, Epruno.