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Nostalgia delle abbanniate

Carissimi, inizio ad avere grande nostalgia delle “abbanniate”, quando la mattina d’estate, molto presto passava un omino che gridava: “astura v’arrifriscanu!”

Non c’era bisogno di dire altro. Watzlawick non doveva fare appello alla necessità di comunicare poiché l’omino aveva già espresso chiaramente di cosa si trattasse, senza ricorrere a trucchi pubblicitari o marketing, l’omino vendeva i “gelsi”. I gelsi a quell’ora della mattina ti rinfrescavano.

E quanti di noi, sono cresciuti con il “cocco bello, cocco” delle spiagge assolate dove un abbronzatissimo venditore con i piedi nudi adiabatici percorreva sulla sabbia rovente i cortili pieni di capanne a Mondello.

Ma “quanto è bello u sfincionello”, davanti alle scuole, con la sua cipolla digeribile alle quarantottore, per non parlare di quel brik metallico con il quale si cospargeva l’olio della cui origine controllata nessuno si è mai chiesto (poteva anche essere olio riciclato di radiatore, i nostri stomaci non avrebbero trovato alcuna differenza).

E chi ricorda le promesse del “cu mancia patate nun mori mai”? Molto presto scoprimmo che erano di false attese, come quelle del “talè comu t’arripara talè”, quel subdolo astuccio che conteneva piegato una sorta d’impermeabile in plastica, che se forse ti avrebbe riparato allo stadio da un improvviso acquazzone certamente ti avrebbe costretto a un bagno di sudore.

E che dire della fiat 850 con i fornelli in buona mostra sul tetto e il nastro registrato che continuava a ripetere: “Si riparano cucine a gassi”?

ingombranti rap palermoMa “l’abbanniata” della quale ho grande nostalgia e che certamente attraverso la sua scomparsa ha cambiato in peggio la qualità della nostra vita, era quella anticipata dal colpo di fischietto e cioè: “Amunnizza”. Nei piccoli centri ciò avveniva ancora fino a qualche anno fa.

A quella energica abbanniata un omone con un sacco nero a spalle, faceva anche sette piani a piedi, ti bussava alla porta e la massaia usciva andandogli incontro con la sua pattumiera prima di sdivacarla all’interno dell’enorme sacco nero, in una comunione di rifiuti che mescolandosi veniva dall’omone buttata nella lapa, o nel mezzo mobile per la raccolta che lo aspettava davanti al portone. Le strade erano pulite, perché non esistevano né i sacchetti, né il contenitore per la spazzatura a ridosso dei marciapiedi.

Venne il tempo dell’AMNU, azienda municipalizzata nettezza urbana, molto prima di AMIA o RAP e certo non si leggeva giornalmente di dissesti finanziari, l’omino si chiamava “spazzino” e non si offendeva visto il dignitosissimo lavoro fatto pari a tanti altri, ed erano gli anni sessanta, in una terra che veniva dal dopoguerra e sognava.
Poi venne l’epoca del “netturbino” e in fine l’epoca “dell’operatore ecologico”, come se un nome potesse cambiare la sostanza dei fatti.

Vennero gli autocompattatori sofisticati, venne la raccolta differenziata a macchia di leopardo, vennero i rifiuti ingombranti, vecchi salotti, materassi e cantarani ad arredare i marciapiedi ma nulla fu più come prima. L’urlo giornaliero “Amunnizza” è stato soppianto da un urlo ancora più disumano proferito in orari generalmente notturni, nel pieno del profondo sonno, “Vaiiiiii”, che sancisce il segnale che dall’operatore ecologico addetto a riversare i cassonetti nell’autocompattatore giunge al guidatore del mezzo per invitarlo a raggiungere l’ulteriore gruppo di cassonetti al prossimo sito.

Rimpiango anche i primi cassonetti dove dentro si buttava di tutto, finanche le persone, rimpiango il raccoglitore di ferro che prima gettava un’occhiata dentro il contenitore posteggiando la sua lapa a ridosso dello stesso e poi abbanniava “ferri viecchi n’aviemu?”

Che paese era quello, oggi guardo con nostalgia nelle mattinate l’operatore ramazzare i marciapiedi e le caditoie con la sua scopa di plastica verde, assai efficace, lavorando in solitario con il suo piccolo mezzo, svuotando finanche i cestini ancora non vandalizzati consapevole che tale pulizia non durerà neanche un’ora, poiché all’espressione “schifiu a città è ngrasciata” il cittadino continuerà a trattare le strade come una enorme pattumiera e a poco serviranno le isole pedonali.

Tra “Amunnizza” e “Vaiiiiii” si compi una rivoluzione copernichiana cambiando il “senso e la direzione” del servizio, poiché prima era l’amministrazione con il suo sacco nero ad andare porta a porta verso il cittadino, oggi è il cittadino che va verso gli autocompattatori. Magari non c’è una logica, magari era più costoso ma certamente più umano e l’immondizia passava direttamente dalle case ai camion della raccolta, senza sostare nelle strade, ma una cosa è certa, nel primo caso le città erano più pulite.

Un abbraccio Epruno.

Ingiusta media

Carissimi, riflettevo, come spesso faccio nelle mie peregrinazioni lavorative in moto, su ciò che mi circonda e sul tenore di vita nella mia città. Si dice che le cose non vanno poi tanto bene, ma ai semafori accanto al mio scooter ci sono soltanto macchine di grossa cilindrata.

Mi potreste tranquillamente dire che è banale come considerazione, perché accanto a chi sta bene, c’è tantissima gente che stenta e allora il parametro di riferimento è dato dalla “media aritmetica”.

Matematicamente sono cresciuto con criteri utili come questo, ma quando tale termine è utilizzato per monitorare la vita di ogni giorno penso che tale concetto sia quanto di più ingiusto possa esserci.

Vi ricordate quando c’erano gli economisti che facevano l’esempio del “mediamente, un uomo mangia mezzo pollo a settimana”. Bello, molto democratico, qualora il pollo si vendesse in porzioni (accade, ma non sempre), la verità è che delle due persone prese per fare la media, uno è sazio perché mangia un pollo intero, l’altro è digiuno, ma tutti siamo soddisfatti della circostanza che c’è cibo, bastevole per tutti. Vallo a spiegare a chi resta digiuno, ma contribuisce alla media.

Si dice: “La città è mediamente pulita”. I dati spesso danno tali letture, poi vai sotto casa dell’Onorevole Burbazza e potresti mangiare sul marciapiede tanto è pulito, te ne vai in periferia e scopri che dietro una “catasta” d’immondizia c’è vita, non solo ratti ma “uomini-ratti” in complessi edilizi che fiscalmente passano per abitazioni.

Si dice: “Mediamente per ogni uomo ci sono sette donne”.

Domandatelo a Peppino che non ha mai avuto una donna e per il quale avrebbero potuto scrivere “cent’anni di solitudine” che va ancora in giro alla ricerca di quell’uomo che ha quattordici donne.

Vedete, una cosa è la matematica, una cosa è la vita reale e pertanto certi criteri assoluti una volta calati nella realtà comune non danno una visione di giustizia.

Pensate al concetto di ricchezza media, pensate allo sceicco Abdul El Bardash che spende per ingaggiare un calciatore per cinque stagioni, il P.I.L. di uno stato del terzo mondo.

La ricchezza di certi soggetti e in certe aree geografiche potrebbe bastare per far vivere dignitosamente un paese, pur lasciando al soggetto ricco, ancora una vita agiata e lussuosa.

C’è chi sperpera e chi fa la fame con la speranza che un domani sarà il ricco Epulone a tornare da Lazzaro per raccomandarsi anche e solo per un po’ d’acqua.

No, il mondo non è giusto, ma “mediamente giusto”, l’importante è fare statistiche mettendo sempre insieme uno che se la passa molto bene e uno “sfardato”, affinché il risultato medio sia accettabile.

Ma se è evidente che c’è chi sta troppo bene e chi stenta ad andare avanti come si fa a tenere fermo il “coperchio della pentola a pressione”?

Con una delle trovate più geniali che abbia mai avuto l’essere umano, l’invenzione delle religioni, credere negli dei, in qualcosa di superiore a noi ogni qualvolta non siamo in grado di fronteggiare il quotidiano e speriamo che almeno ci sia qualcosa oltre questa vita che pareggia o ribalta la nostra condizione terrena.

Bello, grande rispetto per la fede e per il credo, non potrei non averne essendo cresciuto in un ambiente cattolico e in una famiglia religiosa, ma da matematico che deve applicare la “media”, devo fare una constatazione e cioè che nell’attesa che ci sia un’altra vita oltre la nostra, i benestanti, i molto ricchi nei confronti dei poveri vincono comunque in questa vita “1-0” e ancora non c’è stato nessuno, tranne un caso biblico di duemila anni fa di chi tornò dopo tre giorni e se ne parla ancora, (e ancora oggi c’è chi non ci crede) che ci possa essere dall’altro lato la rivincita.

Nel frattempo sono più i vertici religiosi (qualunque credo) che siedono nelle tavole dei ricchi Epuloni, che partecipano a eventi non necessariamente religiosi e spesso mondani, rispetto a quelli che condividono la mensa con gli ultimi, i disperati, chi non possiede neanche una casa e qui non c’è “media che tiene”.

Ci sarà un motivo? Un abbraccio Epruno.

Si può Fareeeeeeee!

Carissimi,
Seduto in attesa all’ufficio postale per ritirare la solita raccomandata a mezzo dell’avviso di raccomandata lasciata dal postino nella buca delle lettere in pieno periodo ferragostano, foriera di qualche sanzione o tassa da pagare (del resto chi ti deve scrivere a ferragosto), sudato e perso nei propri pensieri, non distingui più se sei in banca, al pronto soccorso o in salumeria, addirittura all’anagrafe tanto da chiedere all’omone basito che ti siede accanto se fosse “codice rosso”, ricevendo uno sguardo degnato prima di metter in tutti gli scongiuri.
Ormai vi è una globalizzazione anche nei tabelloni dei turni, noi amanti delle file a ventaglio, avulsi al sistema anglosassone siamo stati messi tutti d’accordo da un computer.
Come sempre accade la gente in attesa imbastisce discussioni per ammazzare il tempo e cosi accade che a un certo punto la tua attenzione si posi nei discorsi qualunquisti esagerati e comprendi in un istante che ormai il pallone è stato soppiantato da ben altri e più nobili discorsi di caffè.
Senti la matrona parlare di economia e del fatto che ormai ai limoni al supermercato “non ci si può avvicinare”, come se te lo proibisse qualcuno, semmai non si possono comprare perché costano caro.
Senti della città che è sporca e a poco a poco l’argomento coinvolge sempre più gente.
Senti la gente parlare di smog e d’inquinamento ambientale fino al punto di toccare l’argomento che come sapete a me sta a cuore, il mio tormentone preferito, “in questa città e con questo clima potremmo campare solo col turismo” ed è a questo punto che un signore smilzo sui quaranta anni che sembrava distratto dai discorsi intorno a lui, vestito dignitosamente con giacca e cravatta interviene nella discussione con un’affermazione: “Avirità!”
La signora vistosi seguita incalza: “Perché signor Lei, non è vero?”
L’interlocutore annuendo replica continuando: “In questa città e con questo clima potremmo vivere solo con i turisti. Purtroppo questa è la città del mordi e fuggi e i turisti qui lasciano poco, sono di passaggio, prenda il caso delle navi da crociera, i turisti e come se fossero blindati, neanche ti ci fanno avvicinare, cosa vuole che lascino queste persone all’economia della città”.
Preso da tanta semplicità e competenza in materia, mi viene spontaneo il chiedere: “Complimenti, analisi inappuntabile, ma Lei è del mestiere? Lavora nel mondo del turismo?”
Il signore mi risponde: “Nell’indotto” e io a questo punto ancora più curioso continuo “mi scusi se sono indiscreto, ma lei che mestiere fa?”
E il signore abbassando la voce con sguardo guardingo mi risponde: “U scippaturi!”
Io toccatomi per istinto il portafoglio, chiudo immediatamente la conversazione e cambio posto e penso tra me e me, certo non era proprio questo il significato del “vivere solo di turismo” interpretato dal mio interlocutore come “vivere solo con il turista”, avere la “campata” con ciò che si riesce a rubare ai malcapitati turisti, facendogli passare il vizio di venire in città per questa vacanza indimenticabile.
Eppure questa è una città morta che appare viva nella microeconomia fatta da un euro alla volta e in pochi secondi, ai semafori, dove ormai tra un rosso e un verde si vende di tutto, dove se non stai attento ti vendono addirittura un divano o uno dei tanti materassi che arredano la città di questi tempi, mettendolo attraverso il finestrino nel sedile posteriore.
Sto parlando degli ambulanti irregolari che oltre a tartassarti anche in piena estate, quando hai l’aria condizionata rotta e ti costringono a stare con i finestrini chiusi, ti rallentano il traffico perché l’acquirente aspetta il resto. Ma io mi chiedo: “non esiste un codice della strada? Non esistono delle rigorose norme fiscali?” Eppure il tutto passa inosservato agli occhi di chi dovrebbe controllare impegnato in ben altro di più importante. Si, qui ormai tutto è tollerato, la città è di ventata più tollerante, siamo ormai una “grande casa di tolleranza”.
Certo poi si diventa rigorosissimi quando si ferma il pischello di buona famiglia sul suo ciclomotore nuovo e lucido o quando i computer incrociando i dati scoprono un tuo errore di pagamento di una tassa, di €. 0,50.
Ma che esempio siamo? Anche lo svedese che viene a vivere qui si abitua a quest’andazzo, anche il tedesco diventa furbetto. Il “turco” che arrivato in qualsiasi modo in città da realtà di fame e oppressione, da una terra dove solo a lamentarsi del dittatore si rischiava la condanna a morte e rubando un frutto si veniva amputati di una mano, tutto ciò non gli sembrerà neanche vero.
Chiunque giunge in questo paese della libertà, dove le regole ci sono, ma le rispettano i fessi, guardatosi intorno e scoperto che tutto è tollerato (a maggior ragione se sei un brutto ceffo) ha tutti i motivi per convincersi che in “questo paradiso” come diceva il Dr. Franchestin tutto “Si può Fareeeeeeee!”
Un abbraccio Epruno.

Uno dei migliori posti in circolazione

Carissimi, considerate un grande concorso che si svolge con periodica cadenza nel quale una pletora di candidati con il solo titolo di cittadinanza e diritti civili integri partecipa per la vincita di uno dei migliori posti di “lavoro” oggi in circolazione che con un solo quinquennio di “attività”, spesso potrebbe pareggiare i trentacinque anni in media retributivi di un operaio che peraltro possiede gli stessi titoli di base, per non parlare di privilegi annessi e connessi.

Volete che già soltanto questo non possa essere di grande stimolo?

In più, per un’istituzione così “speciale” altamente politicizzata la vittoria dell’uno o dell’altro schieramento, ma addirittura dell’uno o dell’altro candidato mette in moto un vero e proprio “spoils system” a qualunque livello della burocrazia, con conseguenti attribuzioni d’incarichi di staff, di consulenze esterne, di rotazioni d’incarichi interni che considerata la “galassia” del numero degli impiegati, compreso le partecipate e i precari che intorno a ciò ruota, vi renderete conto di quanta gente “con famiglia” e in nove province di una delle regioni più grandi d’Italia in questo periodo faccia sogni poco tranquilli.

Se a ciò aggiungete illustri sconosciuti che dalla notte al giorno diventano “assessori” o che nello stesso arco temporale possono scomparire, professionisti esterni in cerca d’incarichi, dirigenti generali che sono promossi o degradati, personale di staff al “gabinetto politico” dei vari assessori, il “gioco” è grosso.

Quindi davanti a una scheda elettorale e con la matita in mano ognuno di noi ha una grande responsabilità, poiché se continuando quest’andazzo non cambierà le sorti di questa terra, certamente finirà per cambiare la vita di non so quanti burocrati.

In questa competizione non è come nelle amministrative della capitale, dove alla fine, per parafrasare un famoso giornalista che per spiegare il calcio diceva “si gioca undici contro undici ma alla fine vincono sempre i tedeschi”, qui vince uno o l’altro o l’altro ancora sono “situazioni amare”.

E allora come si fa per votare bene? Bisogna tenersi informati sui risultati ottenuti dagli schieramenti negli anni di governo? La fate facile a parlare di schieramenti, già molti di noi fanno fatica a ricordare facce e nomi di deputati, sigle di continui partiti in cambiamento e movimenti, figuratevi quanti si possono ricordare di chi prima stava da un lato e oggi sta da un altro lato, ma domani potrebbe stare da un altro lato ancora.

Potremmo affidarci ai programmi elettorali. Sono lontani quei tempi in cui nelle piazze sentivamo slogan del tipo “la Trinacria deve diventare indipendente”, oppure “il pane ai poveri e le terre ai lavoratori”, oggi quelli che vanno di moda e che personalmente adoro di più perché ne sento parlare da quando mi sono laureato sono: “con questa terra e questo clima dovremmo vivere di solo turismo” oppure “dobbiamo sfruttare meglio i fondi comunitari”.

Due “slogan-verità” che fanno sempre effetto e vanno sempre di moda e che se non hanno cambiato le sorti di questa terra ma almeno hanno dato lavoro ai conferenzieri, professori, studiosi e consulenti che ne hanno parlato.

Dice ma perché non è vero? Sì, ma quando cominciamo e soprattutto quando arrivano quelli che in nostra vece dovrebbero lavorare affinché tutti si potesse vivere di solo turismo?

Ma lo slogan che mi fa impazzire di più e il recente: “in questa terra vi è una continua fuga di cervelli, i nostri migliori giovani vanno via per cercare lavoro all’estero.”

Ovvio, no? I nostri giovani che sono migliori di noi che li abbiamo preceduti e che siamo caduti nell’inganno, guardatisi intorno, letto dai mezzi d’informazione ciò che doveva esser letto, hanno preparato la loro valigia.

I nostri giovani guardata la bella laurea con un bel centodieci, la lode, pubblicazione, bacio in fronte, inno d’Italia e battute di mano, alzato lo sguardo e già nella sola preoccupazione che qualche altro stimato “cantautore” o “uomo dello spettacolo” possa esser chiamato a governare e risolvere le sorti di questa terra, con la freschezza e la genuinità che solo un ventenne può avere (parafrasando Don Calogero) dicono: “Va pozzu diri na cosa? Iti a fari nto ……..”

Un abbraccio Epruno.

Quel Disprezzo per il Denaro

Carissimi,
Sono convinto che quanto da me oggi raccontato, è accaduto a tanti di voi.
Leggiamo i giornali e riceviamo un messaggio che suona di sentenza: “C’è crisi!”
Lo sapevamo, anzi per i seguaci di “Quelo”, potremmo anche aggiungere: “C’è grossa crisi!”
Lo vediamo nei dati relativi l’economia che stenta a ripartire, lo vediamo nei dati sull’occupazione, ma non essendo economisti riscontriamo tutto ciò durante le passeggiate giornaliere costatando il numero di saracinesche abbassate per sempre.
Personalmente questa settimana ho dovuto apprendere della chiusura del mio storico barbiere Salvatore che non ce l’ha fatta (ma su ciò torneremo in un prossimo appuntamento).
Certo se dobbiamo essere onesti, dopo aver superato gli stereotipi e i tormentoni del tipo “questa è una terra bellissima e potrebbe vivere soltanto di turismo”, ci rendiamo conto che ci sono degli esercizi commerciali controtendenza per i quali dobbiamo ammettere che “quando c’era lui”, il piccolo “lui” e non quell’altro e mi avete capito, già qualcosa era stata detta prima di fustigarlo a sangue per quanto affermato.
Si, al bando l’ipocrisia, c’è crisi ma a Palermo nei locali, dove si mangia e a maggior ragione in tutti i bar trasformati nel tempio delle specialità dello street-food, la gente fa la fila con il numerino.
Come può essere? Forse perché il palermitano preferisce qualunque tipo di morte ma non quella per fame?
Questo resterà un mistero da risolvere ma ciò che nel nostro breve appuntamento voglio attenzionare è la figura dei soggetti che in certi esercizi di grande successo siede alla cassa, normalmente più il locale spala denari, più è frequente trovare il titolare alla cassa e diciamo di più, la moglie del titolare.
Sono finiti i tempi in cui ci chiedevamo: “Come fanno le cassiere a farsi sposare dai titolari?” Ci fu un famoso cantautore che parafrasando ne compose una canzone.
La proprietaria alla cassa, ne vogliamo parlare? La vediamo crescere ed evolversi insieme agli affari dell’esercizio commerciale, inizialmente una persona normale, vestita a modo non sempre curata nei dettagli, capelli lavati in casa e smalto vistoso sulle unghie delle dita mentre timidamente ti porge lo scontrino, non sapendo se dietro il compratore si nasconde un’agente della finanza e che udite, udite, risponde al saluto.
Che bella cosa il saluto: “Sono lontani quei momenti …” in cui un buongiorno riceveva un buongiorno per risposta.
Pensate che io sono fissato con le buone maniere, abito in un palazzo dove una “gentile signora”, di nobili lignaggi, da me ribattezzata “Sig.ra Lo Porco”, da 25 anni non ha mai risposto al mio imperterrito “buongiorno” e nella migliore delle ipotesi, precedendomi al portone, mi ha sbattuto lo stesso in faccia vedendomi arrivare.
Quindi tornando alla nostra signora cassiera, ben lontana dalla simpatia strabordante della felliniana cassiera di “Amarcord”, con l’incrementare degli affari basati sul marito che si spacca la schiena h24 nei laboratori, fiorisce.
Inizia con un nuovo taglio di capelli, la ricerca nei vestiti e negli smalti, l’oro appeso a chili al collo e alle orecchie e quello che il tocco finale, l’occhialino da vicino, con la catenella utilizzato per guardare dove mettere le firme nel momento in cui il ragioniere che ne cura la contabilità la viene a trovare sul posto, mentre una fila di clienti attende, perché lei novella “animale mitologica – mezza donna e mezza cassa” è da lì inamovibile.
E quando qualcuno di noi infastidito dall’attesa alla cassa, mentre la signora è al telefono a parlare di affaracci suoi, chiede, ”posso pagare” questa novella “Dea Cali” infastidita e senza rivolgerci lo sguardo, senza proferire parola afferra il bigliettino datoci dai ragazzi ai banchi, i nostri soldi e butta lì sul posacenere il resto, con quel disprezzo tipico per il denaro da parte di chi ne ha visto tanto, tipico di chi ti fa una concessione, senza proferire un “grazie” convinta erroneamente di avere un monopolio.
Maledetta ignoranza, anche quell’euro buttato lì in quel modo, rappresenta 1936,27 lire guadagnate da qualcuno con il suo lavoro e poi un “buongiorno o un grazie” sono gratuiti, ma accendono la giornata di chi come me apprezza la cortesia per rimanere cliente.
Un abbraccio Epruno.

Il caldo, non esiste

Carissimi,
Fa caldo? No, trattasi di una vostra impressione.
Ho sentito di notte nel silenzio “guaire” i condizionatori e sentirmi provocare nei messaggi sul telefonino con la richiesta: “che tempo fa lì?”
Come che tempo fa? Fin dalla mattina il commentatore meteorologico ci prende in giro dicendo: “per fortuna la perturbazione proveniente dall’Atlantico porterà un cambiamento”. Ecco tutti pronti ad aumentare il volume della TV prima che la tombale affermazione spenga qualunque entusiasmo: “Nelle regioni settentrionali, mentre al sud e nelle isole, permane il buon tempo con temperature elevate intorno ai 40°”, ma quel che peggio e mi ricorda tanto il sadismo del colpo di grazia dato alla testa dagli ufficiali nazisti con la loro luger, è l’informazione sulla temperatura percepita.
Da q

 

 

uel momento iniziano i servizi televisivi di rito, sempre gli stessi, con il pensionato pellegrino a Roma vicino alla fontanella che si bagna i piedi e poi il fazzoletto da porre sulla fronte, le indicazioni a salvaguardia degli anziani e pensi: “Ma testa di legno di un pellegrino, non ti è mai venuto in mente che a Roma ad Agosto fa molto caldo. Non ti è mai

 

 passato per la mente che se i papi scappano a Castel Gandolfo ci sarà un motivo, ma tu inde-fesso a comprare i tour di Roma nel mese più caldo, perché costano di meno”.
Poi l’immancabile immagine da Palermo, sulla spiaggia libera di Mondello, carnaio umano dovuto al fatto che la spiaggia libera è limitata rispetto a quella un tempo attrezzata con le capanne e oggi con gli stabilimenti organizzati.
Le stesse immagini che fanno il paio con quelle della stessa spiaggia girate in febbraio dove al primo sole ci sono quattro idioti che fanno il bagno.
Fa caldo nelle isole minori, dove spesso non c’è molta vegetazione e dove l’unica attività fisica consentita è fotografare i

 

 piedi nudi a mollo. Che cosa mi fai vedere i piedi nudi, forse perché il resto durante l’anno è stato aggredito dalla cellulite?
Fa caldo anche nelle montagne, dove ci sono gli albergatori che hanno scongelato da poco il cervello così come i maestri di sci che sono tornati a fare i muratori nella bella stagione (te ne accorgi dalla loro postura a spazzaneve mentre tirano su un muro).
Fa caldo negli alberghi di montagna con annessa Spa e piscina, almeno così indicato che spesso altro non è che una “zotta” al chiuso

 dove durante l’anno non andresti neanche pagato e piena soltanto di quei simpatici bambini stranieri frutto di famiglie con parti plurigemellari, (perché i simpatici putti o non pagano o pagano ancor meno che la metà) “abbiati” a mo’ di “rompete l’anima” al prossimo e non alla mamma che è in villeggiatura.
Fa caldo anche per il receptionist simpatico che parla due parole d’italiano e che è informatissimo sulle condizioni meteorologiche grazie ad un sito altoatesino che non sbaglia mai e che è sempre ottimista nel consigliarti le escursioni a piedi per i rifugi in quota.
“Si questo segnato in rosso con il n. 9 è il più semplice, 1.000 metri di dislivello e trenta minuti circa di percorso”, le ultime parole famose prima che il soccorso alpino ritrovi gli impavidi escursionisti dopo due giorni rifugiati nel p

 

rimo anfratto naturale.
Fa caldo anche per me che rimasto a casa a scrivere consulto le statistiche che vedono la mia città primeggiare (guarda caso in tutte le cose che ci potremmo risparmiare) e che vado a caccia con tutte le finestre aperte, di un refolo di vento, fin quando non giunge la telefonata dei “deportati della seconda casa” che dopo i convenevoli di rito chiudono con la frase che mi devasta la giornata: “Ma perché non mi vieni a trovare e resti qua un paio di giorni, a Palermo fa caldo, ma qui la sera dormiamo con la copertina di lana”.
Buona estate. Un abbraccio Epruno.

(Pubblicato su www.ilsicilia.it l’ 11/08/2017)

Clausola Rescissoria

Carissimi,
“Che ve lo dico a fare.” Non siamo un paese serio e a giudicare dalle cronache, non siamo “un mondo serio”.
Il peccato di omissione è sempre stato un peccato considerato di “serie B” per chi crede, ma abbiamo avuto spesso la contezza di quanto danno abbia fatto il girarsi dall’altro lato al momento opportuno.
Quando leggeremo slogan sulle testate web, nelle interviste televisive, nella carta stampata verrà quasi spontaneo fare una domanda: “Si, ma tu dove eri quando succedeva tutto ciò? Che cosa hai fatto in tutto questo tempo?” A questo punto non ci accontenteremo della risposta frequente e possibile solo dalle nostre parti: “Stavo dall’altra parte.”
Se siamo in grado di identificare le “omissioni” e siamo in grado di conservare una “buona memoria” (e non quella biennale di default di cui vi ho spesso parlato), riusciremo certamente ad avere le idee più chiare e riusciremo a fare le nostre scelte con coscienza.
Prima l’umanità era ancora più cattiva, seminava odio con quel colonialismo che oggi ci presenta il conto con migrazioni bibliche o azioni terroristiche estremistiche o frutto di disperazione, ma noi dove eravamo? Non ne sapevamo nulla perché il foglietto stampato ci riportava di grandi imprese coloniali, le navi giungevano nei porti cariche di oro, di materiali preziosi, di spezie o di prodotti dalle colonie “certamente ottenuti a fronte di corrette transazioni”. E’ bello poter credere al valore attrattivo di una collanina con palline colorate.
Certo se qualcuno si fosse chiesto di cosa fossero fatti i sacchetti contenitori di tabacco, forse avrebbe smesso di fumare. Se qualcuno si fosse chiesto come e da dove giungessero tutti quegli omoni abbronzati in catene, in terre dove il colore della pelle era esclusivamente pallido, forse ….
Meglio non saperle certe cose, così pensava chi ci governava e ne traeva vantaggio, così finivamo per pensarla noi credendo a ciò che le fonti “ufficiali” ci raccontavano.
Poi giunse l’epoca di sua “maestà il petrolio” e li trovammo il modo dal continente antico e dal già promettente “nuovo mondo” cresciuto e educato con il cinismo anglosassone e non con i principi filosofici ellenici, di andare a “sistemare” quell’altra parte del mondo, fino a quel momento trascurato perché era fatto di sola sabbia.
Che cosa volevate ci fosse sotto la sabbia? Finimmo di cercare le oasi con le palme e l’acqua sotto e a furia di bucare, trovammo zampillanti fontanelle certamente non potabili ma remunerative al massimo tanto da trasformare sultani e popoli di pastori o nomadi nelle persone più ricche del mondo e sono certo che in quel caso non bastarono collanine con palline colorate, i nomadi conoscono il valore dell’oro e delle pietre preziose, l’arabo trova quasi religioso il contrattare nel fare affari.
Ecco che nei posti più aridi sono cresciute dal nulla isole rubate al mare, grattacieli modernissimi, lusso e ricchezza oltre ogni limite, uno sfarzo che supera spesso qualunque pudore.
Dopo il valore della vita umana abbiamo perso anche il valore del denaro.
Io, adesso che non è più il giornaletto o giornali di regime fare informazione e opinione, oggi che con internet so anche cosa accade nel più sperduto villaggio del mondo attraverso una connessione satellitare, come glielo racconto a Roberto e alla sua famiglia, che dovrà prendersi la valigia per spendere il suo titolo di studi perché è la globalizzazione che ha creato tutto ciò, ma che comunque qui noi nel frattempo “stiamo studiando il problema”.
Come glielo dico a Giuseppe che fa bene a restare e a scommettere qua perché c’è chi ha avuto un’idea geniale e nuova e cioè che in “questa terra si potrebbe vivere di solo turismo” e che per fortuna ci sono i “fondi comunitari”?
Come glielo dico a Francesco che non doveva ascoltare sua madre e non doveva salire a casa a studiare, ma continuare a giocare per strada a pallone affinché un domani un Abdul El Bardash emiro di chi sa cosa lo avrebbe ricompensato facendogli guadagnare in mezz’ora quanto da ingegnere avrebbe guadagnato in un mese, grazie a una bella clausola rescissoria?
Come glielo faccio capire ad Antonella che i turisti sono tornati a visitare le nostre città, non perché siamo stati bravi, (basta guardare la condizione dell’asfalto e la pulizia nelle nostre strade), ma perché il terrorismo ha minacciato le altre mete turistiche più ambite?
Credetemi, chi crea le offerte turistiche neanche sa se come borgomastro c’è Santa Madre Teresa di Calcutta o Pol Pot, sono altre le logiche certamente scevre dalla politica locale.
Basterebbe voltarsi dall’altro lato quando Roberto, Francesco, Giuseppe, Antonella etc.. ci porranno certe domande e fare anche noi un bel “peccato di omissione” da espiare con pochi “Pater Noster”, ma purtroppo non è il mio carattere poiché se “Pippino” di cui abbiamo parlato due settimane fa, aveva i “canuscienze” io purtroppo ho la “memoria”. Buona estate. Un abbraccio Epruno.

(pubblicato su www.ilsicilia.it il 4/8/2017)

Ferie d’Agosto

Carissimi
La Fiat 600 color grigio topo era posteggiata difronte il portone e l’omone si affannava a costipare bene i bagagli nel rispetto dello spazio lasciato per i posti a sedere. Io piccolo guardavo da dietro le persiane attendendo il momento sublime, la collocazione del portapacchi sopra la copertura dell’auto, con il posizionamento della grossa camera d’aria da camion ormai riqualificata all’uso di salvagente. Era un crescendo verticale di pacchi legati in qualche modo, una casa sopra una macchina utilitaria. Poi l’apoteosi, il momento della partenza, le ultime indicazioni date ai figli più piccoli che andavano rigorosamente nel posto di dietro, un abbraccio e un saluto dalla portiera (personaggio mitologico di quell’epoca) e via al costipamento, papà alla guida, mamma nel posto accanto, ma prima sollevato il sedile anteriore della due sportelli, il posizionamento del primo figlio, del secondo figlio e perché no un terzo ospite, lo zio, la nonna. Via verso le agognate ferie. Era lì che tutti gli accorgimenti aerodinamici di Pininfarina o Giugiaro andavano a farsi benedire e quella sorte di casa ambulante, correva (eufemismo) lungo la statale, con le sue curve interminabili, non essendo ancora stata completata l’autostrada, qualche sosta per motivi idraulici contrattata con il guidatore del tipo “o mi fai scendere o ti piscio qua dentro” ed erano ferie, delle belle ferie, più belle di qualunque last minute nei resort.

E che dire dell’arrivo, quando ad attenderci c’erano i parenti o gli amici schierati per l’abbraccio di rito nell’attesa dello svuotamento dell’utilitaria che sembrava più quello del recupero degli astronauti dalla navicella spaziale ammarrata e l’emozionante uscita dai posti di dietro, con uno scricchiolare d’ossa, dopo 120 km di statale.
Questo viaggio avrebbe comportato ai giorni d’oggi una rieducazione osteopatica per riguadagnare una corretta postura, specialmente da parte di chi aveva viaggiato dietro il guidatore, abituato alla sua guida sportiva alla John Surtees, con le ginocchia schiacciate sotto il mento e in più “pisciato”, poiché in genere quello era il posto dedicato o al più piccolo o al più secco e comunque l’ultimo ad avere diritto di parola. Ma la frase tradizionale che non poteva mancare mai e che ti faceva sognare era: “a Palermo c’è caldo, ma qua ……. La sera si dorme con la copertina di lana”.
Cosa cazzo ci facesse la copertina di lana in giro d’estate me lo chiedo ancora oggi a maggior ragione se penso a località di vacanza al mare.
Ma quali SUV o Station Wagon, quali macchine familiari, era la 500 o la 600 la macchina della famiglia, macchine con il doppio fondo di cui poteva dirsi “cape a casa quantu voli u patruni”. Vi ricordate la grandezza del portabagagli della Fiat 500? E quanto era bello ritornare nei paesi d’origine dove tutto rimaneva come una foto in un istante euleriano in attesa del ritorno dei figli prodighi, degli emigranti che per due settimane tornavano al paesello da autorità, fuggiti dalla fame in Sicilia, finiti per fare lavori umili al nord. Quanto era rilassante ascoltare seduti per strada al bar i loro racconti come quelli di vere e proprie star. Tutti a domandare se in fabbrica costoro avessero mai visto l’Avv. Agnelli o se allo stadio avessero mai incontrato Gianni Rivera. Sarà, ma in quell’atmosfera estiva anche le “minchiate” più incredibili diventavano verità per una stagione e il portierato in periferia Milano diventava la proprietà di grande immobile, il lavapiatti di Bergamo diventava il Gordon Ramsay chef stellato.
Sognavamo tutti, anche chi stava nella merda fino al collo ma si dava da fare per un futuro migliore per se e per i propri figli. L’Italia si fermava per circa un mese, come le fabbriche, i negozi passavano dal mezz’orario alla chiusura temporanea, le città si svuotavano e tutti eravamo in ferie, non esistevano i “rompi scatole” che oggi rimangono al lavoro quando gli altri sono in vacanza per tartassare con cattiveria attraverso solleciti, il mondo intero.
Tutti ci si riposava ad Agosto e poi si ripartiva con il dovuto entusiasmo frutto anche della circostanza di aver conosciuto il compaesano che era arrivato a darsi del “tu” con l’Avv. Agnelli e non come oggi dove si è perso qualunque entusiasmo ma garantiamo il “servizio” per ventiquattro ore al giorno e tutto l’anno. Al tempo avevamo le “pezze nel sedere” e sognavamo oggi che anche le pezze sono cadute, bisognerà fare molta cautela nell’abbassarsi. Un abbraccio Epruno.
(pubblicato su www.ilsicilia.it il 28/07/2017)

Dottor Cretino

Carissimi, accade spesso di partecipare a incontri di lavoro e come sempre incontrare lui, il “cretino di turno”, colui che è vero cretino, ma in qualche modo, con varie alchimie siede senza alcun “titolo professionale” al nostro tavolo.
Tutti non sapendo come chiamarlo, con molto imbarazzo lo chiamano “dottore”, perché lui, il più delle volte, preso dal suo complesso d’inferiorità è pure perfido e quando s’incazza fa danno.
Guardandolo pensate: “Non ci sono più i cretini di una volta, oggi finanche i cretini si fanno chiamare dottore”. “Che ne è stato del valore del titolo di studio?” “ Ma perché dopo anni di studio per una laurea importante non sono diventato ricco?”
E’ così che per una strana associazione di pensieri, mi viene in mente Peppino.
Peppino detto “Pippinu” era una persona umile in paese, non aveva che la quinta elementare presa chi sa Dio come e non brillava per intelligenza, diciamolo pure, era “cretino”, ma buono e se a questo sommiamo un’infanzia sfortunata, non si poteva non nutrire simpatia e affetto per lui.
Rimasto orfano e solo dopo la prima guerra mondiale i parenti lo imbarcarono sulla nave che portava in America per strapparlo a un destino di stenti e povertà.
Ormai grande e avanti con l’età Peppino un giorno tornò in paese dall’America per venire a deporre un fiore sulla tomba della madre.
Era diventato ricchissimo e ricordo ancora quella sera al Bar di Franco, quando tutti i paesani per festeggiarlo, lo invitarono a raccontare la sua vita negli States.
Lui in quell’italiano ormai stentato e con quel sorriso sornione e coinvolgente, non si sottrasse alla curiosità dei concittadini.
C’era chi gli chiese: “Peppino tu hai studiato?” “Ti sei laureato?”
Lui con la testa face cenno di no.
Gli domandarono: “Hai fatto un buon matrimonio?” “Un matrimonio ricco?”
Peppino divertito rispose di no.
Il barista gli chiese: “Non mi dire che hai rubato?”
Peppino con quel suo sorrisone, rispose “ma quando mai” e intraprese il suo racconto.
“Io sono arrivato povero e orfano e un commerciante ebreo mi prese con sé a lavorare, ma mi voleva bene come un figlio ed io ho lavorato come un mulo giorno e notte e così lui mi face mangiare e dormire in casa sua. Lui aveva tanti sordi, tanti palazzi, tanti business”.
Mi venne spontaneo dirgli:
“Ti ha adottato e ti ha lasciato erede universale?”
Peppino rispose: “No, quando mai”.
Io replicai: “Allora come è che oggi tu sei diventato così ricco?”
Peppino completò il suo racconto: “In punto di morte mentre io chiancia ed ero vicino al suo capezzale, lui mi fece cenno con la mano per farmi avvicinare e mi disse all’orecchio – Pippino, tu si cretino e te lo dice uno ca ti voli bene, t’avissi potuto lassari sordi e proprietà ma tu si troppu buono e ti l’avissi fatto futtiri, per questo lasso tutto e me niputi ca manno schifiato ppi na vita, ma a Te lasso na cosa chiù importante – e tirò fuori da sotto il cuscino…….”
A questo punto Peppino mi mostrò prendendola dalla sua tasca una piccola e vecchia agendina ormai rovinata.
Preso dallo stupore gli dissi: “E ti lasciò solo questa agendina senza valore?”
E Peppino allargando il suo sorrisone con grande soddisfazione e portandosi il dito indice sulla tempia mi disse: “A me lasso i canuscienze!”
Ora non so che tipo di conoscenze avesse ereditato e quale fosse la natura del “business” del suo padrone ebreo, e non lo voglio sapere, so solo che quando morì Peppino era un uomo tra i più ricchi e influenti di Detroit, oggi una fondazione porta il suo nome e si dice che con lui in vita, quando il partito repubblicano doveva scegliere i candidati per la presidenza degli Stati Uniti, i grandi elettori si rivolgessero a Peppino per l’ultima parola.
Si è vero, chi vi sbatte in faccia titoli e ricchezze il più delle volte sovrastimate, non è nessuno, spesso è “il cretino” di cui all’inizio che con tanta furbizia seguendo un altro cretino o un marpione a cui serviva un utile idiota, si ritrova in alta quota dove l’ossigeno è più rarefatto e bisogna dosare le energie.
Il piacere di non sporcare la propria intelligenza, di vantarsi di non essere nessuno e non avere un ruolo e un privilegio di pochi i quali però finiscono per “conoscerli tutti quelli che contano” poiché per dirla come Peppino, “la vera ricchizza su i canuscienze”.
Un abbraccio Epruno.

(Articolo pubblicato su www.ilsicilia.it il 21/07/2017)

“Orgoglio e Dignità”

Carissimi, pensavo a come Jane Austen famosa autrice di libri quali “ragione e sentimento” o “orgoglio e pregiudizio” avrebbe descritto la nostra realtà sociale, se fosse stata viva ai giorni d’oggi e avesse soggiornato a Palermo.
Probabilmente ci avrebbe regalato un altro dei suoi romanzi destinati a divenire di successo, magari dal titolo “orgoglio e dignità”.
Le storie, le fonti e i personaggi non le sarebbero mancati.
In quanto a orgoglio, il così detto “pride”, da queste parti, usando un’espressione quantitativa locale ne avrebbe trovato a “tingnitè” (in quantità smisurata) grazie alla qualità degli abitanti locali d’imparare le cose peggiori da tutte le dominazioni che si sono succedute.
L’orgoglio è palesemente il risultato della lunga dominazione spagnola e insieme a vezzi e atteggiamenti caratteriali barocchi, quali il rispetto, la reverenza, il cedere il passo, il non guardare negli occhi a mo’ di sfida e tante altre cazzate smorfiate come queste, sono stati terreno fertile per reinterpretazioni a “modo nostro” fino a creare anche una “cosa” che fosse “nostra”.
L’Onore, “la parola d’onore”. Un gentiluomo era tale perché rispettava i suoi impegni e la parola data, figuratevi come ciò si possa conciliare con la difficoltà ai giorni nostri di mantenere memoria per più due anni.
Pertanto ti posso dare la mia parola d’onore anche in lingue antiche non più parlate certo che dopo un po’ tu te ne sarai dimenticato (se non fosse per internet che mette a disposizione di tutti, ancora per poco, gli eventi senza che questi subiscano un preliminare filtro da parte della stampa orientata o “privata”).
In questa terra da sempre governata da Viceré ce ne siamo fatti una ragione e siamo sempre andati avanti con la convinzione che “buontempo e maltempo non duran tutto un tempo”! Abbiamo imparato le espressioni di circostanza indossando la fascia nera al braccio e ci siamo fatti trovare sempre pronti per il “nuovo”, “il nuovo che avanza”. Voi mi direte: “Ma questa è dignità?”
Andiamo alla dignità. Quante volte abbiamo utilizzato questo termine per descrivere una modestia rispettosa, un accettabile risultato ottenuto con gli sforzi possibili?
Quante volte abbiamo utilizzato questo termine per descrivere l’ultimo baluardo rimasto a chi non ha nulla e vuole farsi rispettare anche nella sua modestia?
Eppure sovente abbiamo sorriso nel sentire nelle risse espressioni come “si senza dignità”, riferite a chi pur di raggiungere un proprio tornaconto mette da parte la morale, i principi, il decoro, la parola data, la fedeltà, il rispetto e scodinzola.
Col tempo, ci siamo convinti che tutto ciò non ha nulla a che vedere con la condizione sociale o lo status economico. Frequentemente colui al quale diciamo “si senza dignità” non è il poveraccio, ma è chi si è costruito una posizione calpestando tutti e vendendosi finanche la madre (se questa avesse avuto mercato), ad esempio è quella feccia di persona che ti chiede la “bustarella” per mandarti avanti una pratica, non è il barbone disperato che dorme tra i rifiuti, è “quello elegante” innocuo dal quale ti mettono in guardia, nonostante la tua incredulità, dicendoti: “Chi quello? Sapessi …”
Il “senza dignità” spesso è quel genio del male che farebbe girare nella tomba finanche Giovenale. E’ anche quel custode della trasparenza e del rispetto delle regole, quel controllore che nessuno controlla. Costui è più deplorevole di chi chiede il “pizzo”, poiché quest’ultimo appartenendo a un’organizzazione criminale, a un antistato, ha già fatto le sue “scelte” sbagliate e sa di essere un criminale da perseguire, ma almeno non dispensa morale.
Quanti personaggi sui quali scrivere romanzi e pensare che il mio mito da sempre è stato il Colonnello Brandon grande gentiluomo che vive con tanto riserbo i suoi sentimenti, sempre pronto, disponibile e generoso, stando un passo indietro. Con il passare del tempo mi rendo conto che anche quei “colonnelli” si sono estinti e sono stati i “cannavazzi” (stracci per pulire) come John Willoughby a proliferare, perché sono “senza dignità”.
Meglio di no Jane, riposa in pace nella tua epoca e grazie per averci donato istanti di distrazione attraverso i tuoi libri che ci hanno deliziato di futili conversazioni legate alla meteorologia o di vicende di figlie da maritare.

Un abbraccio Epruno.

 
(Articolo pubblicato su www.ilsicilia.it 14/7/2017)