Archivio per la categoria: Epruno – Il meglio della vita (ilsicilia.it)

Amore e odio

Carissimi,

Ci siamo lasciati alle spalle l’ennesima campagna elettorale, quel frastuono mediatico di liti pari soltanto a quello messo in atto dai venditori concorrenti, con le loro urla, ai mercati generali.

Noi compratori, come sempre non abbiamo tutti trovato l’offerta soddisfacente alle nostre esigenze. Si parlava e si votava per l’Europa ma come sempre in molti sono rimasti a casa, senza far valer quel prezioso diritto frutto di conquiste che è il voto.

Molti pensano sia addebitabile o alla scarsa qualità dell’offerta (parafrasando gli ormai mitici scaffali vuoti della foto di Zingaretti e Gentiloni, al giungere dei primi exit poll), dovuta all’assenza di prodotti interessanti come avveniva nei tristi espositori dei “Magazzini GUM” moscoviti.

Ma per riallacciarci a quegli scaffali della foto e confrontandoli con pari foto del “post” di Salvini (anche io in settimana ho subito fatto le mie osservazioni su FB), mi sono fatto la mia idea di come va l’Italia adesso e soprattutto dove sta andando, verso quali strade impervie o semplicemente deserte in pieno deserto mentale.

L’idealizzazione che facciamo della cosa pubblica e della politica ci porta a dimenticare che essa si base sugli uomini, sempre uguali dai tempi di Caino e Abele, sempre meno filosofi e più legati al concetto di roba, di prestigio individuale e di potere.

Difronte loro come sempre le masse, il gregge che cerca un pastore, il popolo del Photoshop che riempie le foto delle piazze.

In una pubblica amministrazione per far scorre il tempo tra una nomina e l’altra, tra un mandato e l’altro, quando mancano le risorse, sia economiche che mentali, chi afferra la poltrona, le sedie, gli sgabelli, strapuntini organizza con alternanza e ciclicità, un rimpasto, una rotazione dei vertici e un trasloco delle sedi, tanto nelle more la colpa dei danni o dell’immobilismo può sempre attribuirsi a chi c’è stato prima.

In politica si è ancora più sottili e quando non si hanno più argomenti e ideologie per creare militanze, si va a caccia di simboli e di situazioni per poter attrarre e compattare consensi. Una volta erano i grandi temi tipo la pace nel mondo, rimasta oggi soltanto aspirazione per le candidate di miss Italia, o l’ambiente.

 

Oggi cerchiamo simboli e temi che ci possano dividere e successivamente compattare negli schieramenti, così alla pace nel mondo sostituiamo la paura per “l’uomo nero”, sia esso venuto da fuori, dal mare con i suoi misteri per invaderci e rubarci la nostra spazzatura, sia interno interpretato da sparuti nostalgici lettori di libri di storia ai quali avevano strappato le ultime pagine. L’ambiente e sostituita da Greta la bimba “cu viecchiu dintra” così profonda e lungimirante, essenziale a volte quasi banale ma a tal punto da sconfessare i decennali simposi dei professoroni sulla materia.

Così facendo, continuando a parlarci sopra, gli scaffali delle nostre librerie saccenti, sono rimaste vuote e piene solo della nostra auto-referenzialità, della nostra autostima e auto-proclamazione del vero e giusto, mentre gli scaffali di chi non stimiamo, di chi disprezziamo, del non noi, si sono riempite di “strucchioli“, di simboli, di libri eterogenei a volte impresentabili, di foto ridicole, di poster datati ma tutto quanto sopra frutto di vite vissute tra la gente, sui marciapiedi, frutto di vite non brillanti a volte perdenti, di chi si guarda bene ad auto-incenziarsi per paura di non saper mettere due congiuntivi insieme, insomma frutto della vita reale.

Secondo voi, la massa con quanto detto sopra verso dove va?

Io mi “addanno” nel costatare come le intelligenze non riescano a fare sistema per risollevare questo paese, ma si dividono su vecchi schemi, non si fa tesoro dei propri errori, si demonizza l’avversario invece ascoltarlo e contrastarlo in una leale dialettica di contenuti. Leggo sul web ed inorridisco da cattolico cristiano a pensare su come si possa trovare nel nostro cuore il giusto animo per sensibilizzarsi verso il migrante straniero che giunge da fuori e del quale non conosciamo né la genesi né la propria storia e con lo stesso cuore arriviamo ad augurare il male, uccidendo con parole affilate i nostri avversari, fino anche in alcuni casi “idioti ed estremi”, augurarne la morte e si potrebbero fare esempi a parti inverse. Con lo stesso cuore, siamo in grado di sviluppare sentimenti contemporanei di “amore e odio”.

Un abbraccio, Epruno

Per chi forse ha già dimenticato

Carissimi, quante volte di questi tempi avrei voluto scrivergli questa lettera.

“Dottore questa volta non ce l’ho fatta, non ho fatto storie, non ho permesso a loro di attaccarmi le lunghe maniche bianche dietro la schiena, non ho voluto fare il “bastian contrario” come sempre e ho preso la loro medicina. A che serviva ancora dire che non era giusto? E poi a chi? In quanti siamo rimasti? Mi sono dovuto prostrare come tutti, mi sono dovuto distrarre, avrei dovuto imparare ad essere più ipocrita, mi sarebbe bastato vendere il mio intelletto. Avrei provato ancora fastidio nell’incrociare lo sguardo di coloro che avrebbero per l’ennesima volta usato “una pesante memoria” per perpetrare la propria sopravvivenza.

Dottore no, non ce l’ho fatta, mi sarebbero tornate ancora in mente le tante parole dette su chi non si era mai conosciuto, le tante lacrime da coccodrillo di chi allora era infastidito da tante sirene al Suo passaggio e premonendo un atto tragico chiedeva il concentramento dei magistrati all’interno di una caserma.

Mi sarei dovuto chiedere dove sono coloro che brindarono in ambienti privati e dove sono i loro figli, i loro nipoti e soprattutto sapere oggi da che parte stavano.

Mi avrebbe dato fastidio stare in mezzo a chi a tutti i costi avrebbe voluto immischiare le carte, mistificare i ricordi pur di presentarsi come soluzione dei problemi da lui creati.

Dottore no, non ce l’ho fatta, perché io sono cresciuto avendo di Lei un ricordo superficiale (come tutti quelli che hanno vissuto nel suo stesso periodo), di un servitore dello stato, tra i primi ad aver bisogno di una scorta, fin quando il suo sacrificio nella ricerca di verità e giustizia non l’ha trasformato in un simbolo, un esempio di una terra che poteva cambiare.

Avrei perso tempo a nausearmi nel cercare di identificare chi erano e a chi appartenevano prima di essere lindi e redenti sacerdoti della memoria, tutti coloro che non essendoci, oggi a differenza di me, ricordavano tante cose.

Dottore no, non ce l’ho fatta, perché ho provato angoscia nel pensare che quel cratere nella nostra memoria era stato chiuso digerendo la verità e che le cose avrebbero ripreso a funzionare come sempre, come prima, peggio di prima, dimostrando di non aver imparato nulla dalla grande eredità lasciata.

Ho seguito i giovani per scoprire quali padri avessero avuto, fin quando non ho scoperto quali padri avrebbero voluto avere e sono rimasto deluso.
Non volevo vedere chi fomenta l’odio e la divisione, non volevo accettare l’idea di chi ha scambiato la Sua tragedia per un “ammortizzatore sociale”, a giovamento di coloro che organizzano eventi e cercano ribalte stimolando esigue vene artistica, narrando anche le memorie intime che per rispetto non andavano toccate.

Dottore no, non ce l’ho fatta, oggi davanti a tanto cinismo, davanti a tanta divisione, davanti alle non sopite nefandezze che sembrano andare controtendenza ai valori da Lei trasmessi, dando la sensazione di aver dimenticato il tutto, ho avuto la sensazione di non potere più distinguere chi sono i buoni e chi sono i cattivi.

Ancora peggio, il solo sospetto che i cattivi si siano riciclati appropriandosi dei valori e degli strumenti dei buoni, mi ha tagliato le gambe dandomi la personale riprova che l’aver veicolato i Suoi contenuti attraverso queste “grandi celebrazioni” ha perso di efficacia, e pertanto mi sono arreso, … non ce l’ho fatta, non ho opposto resistenza, ho preso le loro medicine e mi sono addormentato come tanti, finalmente.”

Ci sono giornate che restano impresse nella nostra memoria come quel sabato ….
In questi anni ho deciso “per non dimenticare” di dedicare una preghiera, poiché non avendo mai elaborato un lutto così grosso, avrei voluto come tanti veramente capire non il perché, ma come tutto ciò fosse potuto accadere.

Un abbraccio, Epruno

Ho Rivalutato la Dea Eupalla

Carissimi
Mi conoscete ormai per il modo libero con il quale espongo ironicamente ciò che seriamente penso.
Questa settimana i miei contatti sui social mi hanno visto molto partecipe delle vicende legate alla sorte della squadra di calcio della mia città dando l’impressione più di essere un contradaiolo che un pacifico e tranquillo ingegnere che periodicamente si passa il tempo.

Si è vero, non ci posso fare nulla, dove c’è una disputa io devo necessariamente prendere posizione, ma essendo cresciuto avendo visto giocare Gianni Rivera (seppur attraverso una TV in B/N) non potevo non aver timore a contestare lo status quo quando questo palesemente genera ingiustizia e angherie.

Questa settimana attraverso la vicenda del Palermo ho scoperto una cosa interessantissima. Da sempre affermiamo che il mondo del calcio rispecchia i mali della società e giustifichiamo le cose che in esso accadono come specchio di quanto giornalmente si verifica negli ambienti di vita dai quali provengono gli stessi utenti dello stadio.

Ciò è ormai assodato e non fa una grinza, ma mentre tentavo di scrivere o di rispondere a commenti pubblicati, a poco a poco mi sono reso conto che queste parole finivano per esser stereotipate, questi pensieri finivano per esser tutti gli stessi anche tra persone che pur non avendo alcun contatto diretto finivano per leggersi in commenti altrui.

Un’altra cosa che certamente mi ha meravigliato era la padronanza nell’uso intercalante di termini inglesi quali “closing”, “Advisor”, “information”, “incoming”, “team-Management”, “slide”, “governance”, “holding”, “asset” e tanti altri ancora nelle discussioni tra soggetti che seppur degni della mia simpatia e affetto, (vi posso assicurare conoscendoli da tempo) i più intellettuali avevano per inerzia raggiunto il diploma di terza media una volta diventati maggiorenni, avendo ripetuto tre volte ogni classe delle secondarie obbligatorie e in più come lingua stranierà parlavano appena l’italiano con qualche difficoltà.

Eppure, il calcio aveva fatto questo miracolo. Ma credetemi, quello che è risultato straordinario è stato il sentire parlare chiunque con piena comprensione, di “conflitto d’interesse”. Eminenti politici di sinistra si sono battuti negli anni per spiegare agli Italiani che cosa significasse “conflitto d’interesse” identificando i ruoli contemporanei ricoperti dallo Zio Silvio, cercando di fare capire la paura che una posizione di potere interessata inserita all’interno del gruppo di garanzia, poteva creare delle situazioni d’ingiustizia mettendo nelle condizioni l’uomo di potere di trovarsi in alcune vicende nel ruolo di “controllore e controllato”, ma ricorderete che alla gente (come si dice a Roma) “non poté fregà de meno” tanto che più si parlava di questa anomalia, più crescevano i consensi per il Cavaliere.

Oggi per miracolo anche il posteggiatore “regolarmente abusivo e con la manifesta benevolenza dell’amministrazione” mi chiedeva l’altra mattina: “Dottore lei che ne pensa di questo conflitto d’interesse nel Consiglio Federale di Lega di Serie B? Certo un po’ di cornuti ci devono essere, come si fa ad essere giudicati dal presidente della stessa squadra che se il Palermo va in C, fa i playoff?”.

L’omino era avvilito per tanta ingiustizia (dal suo punto di vista), ma aveva toccato con mano (ritenendosi vittima) il significato e il danno arrecato da un “conflitto d’interesse”, per lui che fino a quel momento “l’interesse” alla parola “conflitto” era da sempre legata al concetto di “conflitto a fuoco”, di “mettere mano al ferro” o di doversela dare a gambe per “salvamento di vita”.

Eh sì, non vi nascondo la pelle d’oca che mi venne quando il fugace colloquio toccò l’apoteosi all’affermazione del posteggiatore: “È che dovessimo fare tutti una class- action!

Perdonatemi, non mi sono potuto tenere ma a quel punto mi venne spontaneo affermare con tutti i sentimenti l’espressione universale, generica, palermitana a mò di meraviglia: “Minchia!”

Avevo capito tutto, proprio mentre attorno “al cadavere” (la squadra) si “arricampavano” costernati i vips ed i politici di ogni razza, quelli per intendere che non intervengono preliminarmente per aiutarti a far sì che certe cose non avvengano, ma giungono nell’istante in cui non c’è più niente da fare se non raccogliere visibilità personale.

Avevo capito che non avrei dovuto più dispiacermi per ciò che inevitabilmente sarebbe accaduto (perché già deciso) ma al contrario avrei dovuto gioire del fatto che ribaltando la comunicazione, da oggi attraverso questo “pallone marcio”, si sarebbe potuto spiegare a tutti, anche al più ignorante, il senso civico, cosa significa giustizia e cosa significa fare le cose con serietà e allora nulla ancora per questa nostra società civile era perso.

Un abbraccio, Epruno

Una Mattina Diversa

Carissimi
erano quasi le ore 20.00 quando al mio congestionato telefonino mi giunse una telefonata da un numero al quale non potevo non rispondere.
La voce era quella del segretario particolare del segretario del grande capo. Premesso che lavorando per la pubblica amministrazione il grande capo dura mediamente cinque anni, riconfermabili per altri cinque, ma il segretario del segretario finisci per conoscerlo perché mediamente è un collega che conosci magari da anni e che è finito per rientrare nel cerchio magico di chi governa ed anche se non hai alcuna aderenza politica, attraverso lui puoi far giungere le tue istanze in alto.

Costui a telefono mi dice: “guarda che la riunione prevista domani per le 10.00 al ‘palazzo x’ è stata anticipata per concomitanti impegni del capo a ‘palazzo y’ alle 8.30”. La mia risposta fu quella più spontanea, ricordati che io non ho auto d’ufficio a disposizione e mi muovo con il mio scooter e arrivare fin lì, non sarà semplice.

La sua risposta fu tra il divertito e il rassicurante: “Non ti preoccupare, domani è la giornata per l’abolizione delle auto blu e il capo ha disposto che tutti, lui compreso, senza eccezioni, si vada a lavoro con mezzi propri”.

Mi avessero detto che quest’anno straordinariamente ci fossero stati due feste di Natale, penso che sarei stato meno contento, finalmente chi era preposto a creare tutti i provvedimenti per il traffico, chi doveva curare le manutenzioni delle strade, per una volta almeno avrebbe constatato personalmente ciò di cui noi scuteristi e “pedonisti” ci lamentavamo da anni.

Pazienza, misi la sveglia alle 5.30 ma alle 8.30 ero presente nella sala riunione, con il bel tavolo di rappresentanza di “palazzo y”. Giunto lì, un usciere in divisa impeccabile mi accolse e mi disse: “Dott. Se vuole entrare è il primo, ancora non è arrivato nessuno”.

Entrai, mi sedetti e attesi. Dopo mezz’ora l’usciere imbarazzato mi disse: “strano, ci sarà traffico, magari una manifestazione …” Io nell’ascoltare ciò “tistiavo” e sorridevo sotto i baffi che non ho e nel frattempo passò anche un’altra mezzora. Era passato un’ora e mezza quando giunse il dirigente capo dell’ufficio intelligenze artificiose tutto sudato che faceva come un pazzo e mi disse: “ho dovuto fare il periplo della città perché non potevo utilizzare il pass per le corsie preferenziali e le zone ztl e ho dovuto lasciare la macchina dove perse le scarpe il signore” e io “tistiavo”.

Del capo e del suo staff ancora nessuna notizia, ma dopo un quarto d’ora giunse il dirigente capo dell’ufficio complicazioni affari semplici che nello scusarsi disse: “ho dovuto prendere tre mezzi pubblici, ma purtroppo da dove abito io la metro è lontana e poi fa una corsa ogni ora, il tram è lontano, l’autobus più vicino passa una volta ogni morte di Papa” e si sedette e io “tistiavo”.

Passò un altro quarto d’ora e percepii il brusio degli uscieri che a voce bassa sorridevano raccontandosi la notizia che il dirigente commissario per i provvedimenti straordinari del traffico era in stato di fermo, dopo aver tentato di superare con la sua auto un varco nella “zona proibita” all’urlo di “Lei non sa chi sono io” e io “tistiavo”.

Alle ore 12.00 seguito dal solito codazzo arrivo il grande capo, tutto sudato, pantaloni strappati, una fascia al collo che reggeva il braccio sinistro ingessato o inserito in un tutore che andava urlando “voglio sapere chi è il responsabile, mi sono permesso di prendere la moto per venire in questa riunione e dopo aver evitato tante buche, giunto nella via Roma, la mia ruota di davanti si è inserita in una sorta di canalone subdolo presente nell’asfalto facendomi perdere l’equilibrio e cadere” per un attimo incrocio il mio sguardo e “tistianno” dissi “ahhhhhhh”!

Peccato che la sveglia che suonava mi ricordò di alzarmi e fare presto perché alle 10.00 avevo una riunione del comitato per discutere quali problemi inventarci in base alle soluzioni che avevamo, come sempre era stato un sogno.

Un abbraccio, Epruno

Avido d’informazioni non faziose

Carissimi,

il 3 Maggio si è celebrata la giornata mondiale della “libertà di stampa”. Grande diritto, grande conquista che in un mondo “democratico” dovrebbe sembrare una cosa scontata e invece… Vediamo spesso come il tradizionale mestiere del giornalismo viene spesso soppiantato da quello “dell’opinionista presenzialista” in TV e sui media snaturando di fatto quello della professione basata sulle mitiche “5 W”, del giornalista che va a caccia della notizia e la espone, ma non la commenta, non dà la sua opinione, lasciando agli altri il compito di farsi una opinione su quanto da lui descritto sulla base del “chi, come, dove, quando e perché” (le 5 W in inglese), ma non è previsto un “che ne penso”, perché questo già sarebbe un altro mestiere.

Oggi si rischia di far passare la notizia in secondo piano, addirittura costruendola ad arte con “fake” (falsi) poiché diventa più importante il commentare e il veicolare l’opinione che l’attendibilità della fonte.

C’è chi è convinto che quanto sopra sia conseguenza della conquista democratica dei social, dove chiunque può dire la propria senza intermediazione, tanto che è sempre più frequente la possibilità di avere notizie non soltanto dai giornalisti o dagli addetti stampa, ma direttamente dai soggetti interessati attraverso l’immediatezza della pubblicazione di un Twitter.

Ma ciò non mi convince pienamente, penso che anche qui dobbiamo stare attenti a chi governa e gestisce i social, agli amministratori delle reti, visto che la casualità e la proposizione di attenzioni da parte di un contatto o di un altro non mi sembra soltanto frutto di un algoritmo matematico.
Chi scegli le notizie? Provate a guardare più notiziari, con linee editoriali diverse e se ne siete capaci, provate ad inserire qualche notiziario straniero a confronto.

Può essere mai che in Italia arrivino solo migranti, stuprino le donne, si seguano le vicende giudiziarie degli efferati delitti per anni e soprattutto ci si chieda quando litigheranno “Gigino e Gigetto”? Non accade nulla di altro? Ma siamo veramente un paese perso? Noi che ci reputiamo figli della globalità, ad esempio, quanto spazio dedichiamo all’informazione estera, la politica estera che non sia soltanto la critica giornaliera a Bruxelles che ci bacchetta sovente per la nostra vita da cicale?

In più, non ci sono cose belle o notizie che accadono senza che la politica abbia la sua influenza in ciò? I notiziari oltre che a rendere noti i vari paesi per esser stati sede di delitti e nefandezze ci aiuta a farci reciprocamente conoscere presentando le cose belle del nostro territorio e la brava gente che porta avanti le loro tradizioni? Aiutano a far conoscere ed accettare le reciproche differenze che esistono tra di noi, in una nazione più lunga che larga.

Provate a guardare un notiziario straniero, anche europeo, non vi dico che pure i nostri dovrebbero fare i servizi sul premio per il balcone più fiorito (anche se personalmente non mi dispiacerebbe), ma guardate quanto spazio viene dedicato alla cronaca nera che se paragonato ai nostri, ne verrebbe fuori un paese in pieno far west di metà ottocento. Ma anche la scelta dei personaggi su cui porre l’attenzione, provate a trovare un notiziario straniero dove i magistrati, non appena giunti su una scena del crimine (insieme agli avvocati) diventano star televisive rilasciando interviste.

No, continuo ancora a dire, non siamo un Paese serio, siamo di contro sempre stati un paese dove ognuno fa il mestiere che non gli compete.
Certo non soltanto ognuno dovrebbe fare almeno il proprio mestiere ma poi sarebbe auspicabile che lo facesse bene.

Nessuno dovrebbe utilizzare il proprio titolo, la propria professione, il proprio ruolo per avvantaggiare, indirizzare o favorire qualcuno. Quando chi fa informazione non riesce a mettere da parte per un momento il suo orientamento politico, religioso o sessuale, non fa un buon servizio alla verità che dovrebbe stare sempre alla base dell’informazione ma diventando fazioso e alla lunga poco credibile, si allontana per sempre da quelle “5 W” care finanche a Clarke Gable e Doris Day nel mitico film “10 in Amore”.

Un abbraccio, Epruno

Tutta colpa di Vitruvio

Carissimi,

nella mia agognata ricerca di “normalità” come unico parametro “dell’essere bene” in questa società, mi sono cercato il posto dove fuggire per ritrovare tale serenità visto che qui si continua a fare discorsi persi, a vendere la Fontana di Trevi al Peciocavallo di turno e soprattutto a vendere una realtà che non esiste e promettere un fantastico e meraviglioso futuro, invitandomi nel frattempo a passeggiare tra le nuove “taverne”.

Si, l’alcol potrebbe essere al pari della realtà virtuale una via di fuga, ma io non voglio fuggire dalla realtà, voglio fuggire direttamente dai luoghi, una volta resomi conto che per il tempo che mi rimarrà da vivere staremo qui a fare chiacchiere con il “piazzista di turno”, staremo qui a gridarci “se lei mi fa parlare continuo il concetto”, ma rimarremo lontani dalle soluzioni che ci potrebbero garantire una semplice “normalità”.

E dire che di scienziati ce ne sono, “basta guardare i loro curricula e le loro lauree per corrispondenza” e che dire delle generazioni pronte in batteria, figli dei figli ma come direbbe Epruno nel suo postulato: “dietro un figlio testa di c… c’è un padre testa di c…”.

Allora nell’attesa di ritornare a casa e riportare il mio “sangue normanno” nei luoghi d’origine, dove riposare per sempre, quando posso viaggio e mi guardo intorno poiché non ho mai avuto il complesso del “cato”, quello stagno dove crogiolarmi e dire e tutto sotto controllo perché è mio.

Però mi posso incacchiare se leggo in un menu di una catena internazionale pizza mafia? No, se poi organizzo tour e visite guidate in casa mia per i turisti internazionali sui “luoghi della mafia”. Ho reverenza e pudore nel pronunciare invano i nomi degli Eroi, i veri Dottori, coloro che con il sacrificio di sé stessi per perseguire giustizia e di conseguenza quella “normalità” di cui parlavo, mi hanno lasciato nel cuore forti emozioni e grandi insegnamenti.

Io non posso aspettare, mi dispiace e non solo ho il dovere di ambire alla “normalità” ma nelle more di conoscerla, lì, dove la gente fa meno chiacchiere ed è più comunità.

Lo so, mi farò del male, sapendo già della sofferenza personale nel momento in cui ritornerò e mi chiederò perché?

Non mi devo chiedere perché fuori lo spazzino pulisce tutte le strade, un esempio di normalità e qui c’è sempre una “marziana scusante” per cui ciò non può avvenire.

Non mi devo chiedere perché fuori ho una metropolitana e servizi di superficie (treni, tram, autobus, taxi, battelli …idrovolanti) che mi portano da qualunque parte, in qualunque momento e in poco tempo, perché è normale, mentre qui ciò non può avvenire con l’ennesima “scusante marziana”.

Non mi devo chiedere perché lì le auto possano arrivare dove vogliono, trovando parcheggio a pagamento e le isole pedonali sono “isole attrezzate” e qui ho un bollo di circolazione, un pass per attraversare e pass per posteggiare in zone blu e l’unica cosa che hanno in comune con “lì fuori” è il pagamento.

Mi sono ridotto a fotografare questi episodi di “normalità” più che i monumenti e le bellezze panoramiche, poiché per me oggi è questo che mi meraviglia e voglio testimoniare per raccontarlo.

Di contro ormai (questo forse è l’unico neo delle metropoli), provo da esteta e cultore del bello un certo “sussulto” nel vedere rovinate quelle belle viste da fotografia paesaggistica o monumentale, dalla tarchiata e sformata e a volte anche brutta famigliola che viene “dal buco del mondo”. Si anche questo fa parte della maledizione di Steve Jobs che ha dotato il mondo intero di iPhone che permette a tutti di posare togliendo la visuale agli altri davanti a qualcosa che neanche loro sanno cosa cavolo sia, che storia abbia, ma che sarà importante immortalare affinché tornando a casa possa dirsi: “non so che ca… fosse, so soltanto che c’era tantissima gente e pure noi”.

E così tanta bellezza, tanta ricerca delle proporzioni vitruviane finirà mortificata e dimenticata, insieme all’omone con i baffi scuri, il chador o la pelle gialla dell’orientale, nella sua SIM card battezzata: “Viaggio in Europa in sette giorni”.

Un abbraccio, Epruno

Perchè Nemo Profeta in Patria? Per la vecchia e malsana invidia

Carissimi
Perché “Nemo” profeta in patria? Per invidia, soltanto la vecchia e malsana invidia, ciò che porta la gente ad ostacolare e fare del male a chi ha qualcosa che loro vorrebbero avere e non hanno, o per volere stoppare sul nascere qualunque germoglio che potrebbe finire per essere incontrollato.
Ogni qualvolta l’uomo si costituisce in circoli, piccole comunità, congregazioni, associazioni e genera cariche elettive, fomenta ancor prima delle aspettative, le invidie.

Io ho già iniziato progressivamente a dismettere le partecipazioni nel mio tempo libero a quelle organizzazioni che si definivano “d’impegno”, perché “ho già dato” e adesso lascio lo spazio per chi venendo dopo vuole costruirsi il suo “personaggio”.
Dietro ad aspetti caratteriali ho finito per riguadagnare la naturale libertà di azione e di pensiero, scoprendo come sia più efficace per veicolare e mettere a disposizione idee ed esperienze a seguito di una lunga esperienza fatta sul campo, senza necessariamente annoiarmi nel sentire “discorsi del cazzo” da parte di chi deve attestare la propria presenza, nell’attesa che tocchi il mio turno.

Nessuno ha più da invidiarmi nulla o bastoni tra le ruote da mettermi e con le asole delle giacche libere, o alleggerito da toghe, mantelle e pettorine sono ritornato alla semplicità quasi risorgimentale delle priorità “Dio, Patria e Famiglia”.
Dio, in quanto unica autorità alla quale rendere conto per un credente (e non metto alcuna mediazione di organismi e associazioni che vantano contatti diretti con il creatore);

La Patria, quale unico modello di convivenza civile nel quale lavorare per sostenersi e contribuire alle esigenze della collettività per cui lavoro;
La Famiglia, unica culla degli affetti veri e rifugio dopo ogni procella.
Certo, non tutti hanno una età per essere “aventiniani” come ed è giusto che si mettano in competizione con loro e con gli altri, ma state certi che se dietro (oltre alle nostre qualità) non ci sia un vero padrino che ci orienti, ci segua e ci promuova nel nostro percorso, una volta vi avrei detto che sarebbe stato più difficile giungere alla meta, oggi vi dico, direttamente e con meno ipocrisia: “levateci mano!”.

In questi anni i cerchi magici si sono strutturati bene creandosi pure le regole affinché divenissero impermeabili ai tentativi esterni di “Nemo” a venire a fare il “profeta in patria”.
Ora come non simpatizzare con “Nemo” (inteso come “nessuno”) che vuole essere profeta in patria e che deve scontrarsi non soltanto con i muri, ma con i contenuti interni che lui sa bene essere al disotto del suo valore, ma come tali protetti dai confini della “sfera magica” e anche se per qualche scognita distrazione avesse trovato il modo di entrare si sarebbe dovuto scontrare con la vera arma di difesa interna di qualunque “sistema”, l’invidia.

È vero, la meritocrazia è una chimera, la “botta di culo” può capitare, la “piccineria dei continui tradimenti” è la prassi, poiché non è importante sforzarsi per essere più bravi degli altri (aimè non è una gara d’atletica) ma ci si deve concentrare per dimostrare che l’altro è peggiore di te, passando il tempo a fare da delatore e tramando.
Devi pertanto rassegnarti ad andare dove nessuno ti conosce perché nessuno ti può invidiare e vedere quale ostacolo per la sua crescita o i suoi disegni diabolici, anzi puoi raccogliere tutte le simpatie del caso.

Ma l’invidia non è un prodotto dei nostri giorni e se in questo periodo pasquale ci pensate, di essa si parla anche ai tempi di Giuda l’Iscariota il quale già privilegiato trovandosi nel “cerchio magico” per eccellenza e vedendo intorno a se tanta mediocrità, vi basti pensare che il “secondo” era un pescatore analfabeta, (anche se ci fu pure qualche eccezione allittrata e un esattore delle tasse), sto povero Giuda non riusciva a mandar giù la circostanza che il “leader” non lo degnasse di uno sguardo e in più qualunque cosa percepisse si sentiva chiamato in causa tanto da dire: “Signore ce l’hai con me”? Quest’ultimo stanco delle sue fisime giunse a tavola a dirgli: “Quello che devi fare fallo al più presto”.

Non avendo possibilità di competere con gli altri perché non cercare di far saltare il banco? Eppure Giuda che motivo aveva di competere con nostro Signore, avevano eguale discendenza divina? Assolutamente no, probabilmente Giuda guardava a Lui e pensava: “ma guarda se questo figlio di un falegname deve avere così successo ed essere ascoltato da tutti!”. Certamente avrà pensato di esser stato sfortunato e di non aver avuto le stesse opportunità.

Quanto fastidio nel vedere quel carisma nel trattare con la gente, quanto fastidio nel sentire quelle “parabole” che lo facevano sentire una persona inutile davanti a tale cospetto e allora ecco che da solo avrebbe potuto mettere in difficoltà tutto il sistema diventando protagonista: “Se ve lo faccio catturare, quanto mi date?” povero Giuda non seppe mai che attraverso di lui si compì il disegno e che preso dal tardivo rimorso, non avendo compreso che di lui avremmo parlato ancora non per il suo gesto, ma per il suo gesto fatto a chi veramente fu “profeta” in patria e oltre e che quei 30 denari per terra mentre penzolava da un albero, non avrebbero dato la felicità a nessuno.

Brutta bestia l’invidia, pessima scelta il tradimento ingiustificato anche quando vi si chiede di scegliere. Buona Pasqua.

Un abbraccio, Epruno

Effetto e Conseguenza

Carissimi,

Non è un romanzo di Jane Austen sfuggito alla vostra attenzione ma è soltanto la mia considerazione settimanale.

Guardo la tv, sento pareri dagli eminenti commentatori e noto sempre più che la gente si lascia trascinare nelle polemiche facendo attenzione all’effetto che si ha davanti agli occhi e non le cause che lo hanno prodotto, ossia le conseguenze che ci hanno portato a ciò.
Sembra proprio (e questo è un effetto dei social) si abbia timore anche davanti all’evidenza ad esprimere una propria opinione in senso contrario per paura di esser additato e messo da parte dal “comune pensare” dalle caste di un “emisfero auto-dichiaratosi giusto e verità assoluta”.

Ho letto quei libri che mi necessitavano e quelli che mi piacevano, ho letto di contro tanti manuali d’istruzione e per tutto quanto non ho trovato lì dentro, mi sono rifatto alla strada, il marciapiede nel quale sono cresciuto e dove non c’era tempo per interpretare le cose, non esisteva il politically correct ad ogni costo perché bisognava stare attento ai “mazzacani” che era poco trendy ma fu “salvamento di vita”.
Quindi guardo le cose e le vedo per come sono e non per come vorrebbero farmele vedere. Ma che opinione pubblica stiamo costruendo?
Non vi viene il sospetto che chi ci guarda da fuori, sfruttando queste nostre contraddizioni interne, si sia ormai convinto che siamo degli idioti da sfruttare, se la ride e in più se ne approfitta di noi? Basta fare la faccia triste che qualcuno qui subito si lascia prendere dalla commiserazione.
Di contro perché devo esser tacciato di razzismo e di poca sensibilità sui migranti se mi chiedo chi gestisce dall’altra parte del canale questa fabbrica di casi umani?

Oppure se rimango basito mentre in TV scorrono le immagini di un “campo nomadi” (ma quanto siamo ipocriti a chiamare nomadi chi è ormai stanziale) nel quale ai giornalisti era stato impedito l’ingresso per documentare una demolizione di un abuso perpetrato e accettato per anni da chi vigila su di noi? Chi ci lucra?

È così che si fa l’integrazione? Può una religione, un’etnia, un costume sessuale, un colore degli occhi dare una deroga al rispetto delle regole del vivere in comune?

Come lo giustifico con coloro a cui chiedo di rispettare giornalmente la legge per mandare avanti la nazione e in qualunque latitudine del paese?
Si può dire per una volta che la parola “regole” non ha un colore, ma che è soltanto un principio di coesistenza civile?
In Italia andiamo avanti perché c’è una percentuale di persone che rispettano le regole, pagano le tasse e mandano avanti i costi sociali dei nostri servizi e c’è la restante parte che fa ciò che cavolo vuole a disprezzo dei primi e sulle spalle dei primi e ha interesse ad alimentare il caos per restare impuniti e gettare la responsabilità del tutto sulla contingenza del momento.
Io ho un sospetto che coltivo da tempo, tutti amiamo la regola e l’ordine nel nostro appartamento, ma già dal pianerottolo di casa per molti ormai tutto diventa lecito e anzi è d’obbligo alimentare il caos purché questo rimanga lontano dal mio uscio di casa. Siamo tutti splendidi con il “posteriore altrui”.

Quanto sopra si può dire o turba la sensibilità e le letture forbite in salotto di qualche struzzo che pontifica ma tiene la testa infilata nel terreno?
Gente, il mondo e sotto casa vostra, non nell’idilliaco paese esotico descritto nelle vostre letture.
Il mio e il nostro cuore è così grande che vorremmo aiutare tutti, ma per far ciò prima ci dobbiamo attrezzare e per attrezzarci occorre che noi per primi si rispetti le regole che ci siamo dati, le nostre regole occidentali e avendo delle regole chiare possiamo venire incontro a chi vuole venire da noi per migliorare la sua condizione nel rispetto e nella condivisione delle nostre regole, senza deroghe, le deroghe gli sgravi ed i condoni hanno già fatto tanto male e in tutti i campi alla nostra terra.

Chi continua nella logica del “cape a casa quantu voli u patruni” o del “come nun ci mancianu dui nun ci mancianu tri” non vuole bene a questo paese e soprattutto si rifiuta di guardare la realtà per intero, guardando soltanto ciò che gli conviene cavalcare per sponsorizzare il proprio egoista interesse, tanto tutto rimarrà lontano dall’uscio di casa propria.

Non date la colpa alla politica. Quello che è il nostro oggi è conseguenza di ciò che c’è stato prima, se reputate un deputato, un consigliere, un sindaco o un ministro, un perfetto idiota non state a chiedervi come fa un idiota ad arrivare così in alto ma chiedetevi chi lo ha scelto, chi lo ha nominato, chi lo ha votato (effetto e conseguenza).

Un abbraccio, Epruno.

Notorietà con o Senza Colombo

Carissimi,

Mi chiedevo qualche giorno fa cosa significa essere noti, chi è noto, come si diventa noti, dove si diventa noti, quando si diventa noti e soprattutto perché si diventa noti.

Mi direte “stai per caso facendo il tuo settimanale esercizio didattico-giornalistico utilizzando la regola delle 5 “W”?”

In parte, ma la mia considerazione nasce osservando una statua di un grande statista del secolo XIX fermo, immobile, a figura intera mentre un colombo è intento sulla sua testa a defecare.

Tanta gloria oggi immobilizzata ad uso di servizio igienico per un colombo, non vi pare assurdo?

Hai fatto tanto in vita tua, la collettività ti ha dedicato un monumento, i giovani di oggi non sanno neanche chi sei se non il personaggio che da nome a quella piazza dove loro si danno appuntamento con i ciclomotori, ma l’attualità è un colombo che a sfregio di quanto sopra sta facendo i suoi comodi sulla tua testa e tu non puoi fare nulla.

Difficilmente oggi si dedicano delle statue a personaggi famosi, nella contemporaneità esistono ormai tante altre opportunità mediatiche per lasciare memoria di costoro ad iniziare dalle foto, le immagini, l’archivio vocale tutti strumenti custoditi in teche e musei nei quali difficilmente un colombo potrà entrare a fare i comodacci suoi.

Presenza mediatica e qualità o capacità, non sempre vanno a braccetto, anzi…

Per presentare ciò che siamo al nostro interlocutore dopo un biglietto da visita rimandavamo al nostro curriculum vitae, ma il nostro curriculum è lo specchio della nostra notorietà?

So che uso oggi se ne fa dei curriculum alle nostre latitudini, tanto che viene con più frequenza richiesto la loro produzione su carta riciclabile ma soprattutto morbida.

Spesso il curriculum passa in secondo piano davanti all’epitaffio o alla lapide, poiché oggi diventi noto soltanto se sei stato vittima o sei stato autore di nefandezze, poiché per i media l’idiota mono-neurale che prende un mitra e in un campus stermina una classe di allievi resterà nella memoria collettiva o rimarrà noto al prossimo più dello “scognito” professore candidato più volte al Nobel che in quella classe insegna.

Ecco una in un solo colpo la risposta al “chi e perché”.

Non è noto necessariamente chi ha merito.

Allora “dove” si diventa noti? Alle prime introduzioni delle pseudo-meritocrazie nei bandi lessi un passaggio che recitava “noto professionista”, ma dove e soprattutto quale era l’intorno nel quale bisognasse essere noto non era chiaro.

Io partecipai asserendo che nel mio condominio ero un noto ingegnere e soprattutto nel mio pianerottolo, ero il più noto, poiché l’unico.

Adesso, “come” si diventa noti? Qui il discorso si complica e certe volte può anche scadere nella volgarità, ma le strade sono da sempre solo due, l’esercizio delle proprie doti e la capacità o disponibilità a prostituirsi (prostituire la propria immagine), si volendo esercitando anche qui le proprie doti.

Quindi accade che tu sia un valido professionista e come cenerentola ti capita l’occasione della vita e diventi noto o ancora più comodamente, nell’altra ipotesi, ti sistemi all’ombra di qualcuno e certamente appena giunge sul display il tuo numero………benché parallelamente sarai sempre noto come colui che è stato all’ombra di, anche se l’ombra nel tempo è andata cambiando.

Ma infine credetemi è il “quando” si diventa noti la cosa più divertente o tragica a seconda dei punti di vista e ve lo dico per esperienza, avrete un curriculum pieno di cose fatte, siete stati impegnati in grandi iniziative, siete autorevoli nel vostro contesto di competenze, ma fin quando non andrete in TV a “parlare di pallone” quali ospiti in una delle tante trasmissioni sportive locali, voi non sarete nessuno!

La consacrazione odierna pari al monumento di una volta con annesso colombo o piccione è la domanda del custode dell’ufficio che riconosciutovi al vostro arrivo vi domanda: “Dottore, domenica che facciamo!”.

Un abbraccio, Epruno

Fatemi Ritornare a Dormire

Carissimi,

questa volta lo dico anche a voi amici miei presi da questa isteria collettiva e a tutti quelli che prima non mi hanno permesso di sognare e poi hanno ucciso i miei sogni fino ad impedirmi addirittura di dormire per riposare.

Ci vuole libertà anche a sognare facendo attenzione a non esser vittime di “sogni indotti” o vittime di “ipnosi” poiché la nostra era più che mai è piena di “maghi, prestigiatori e di illusionisti”.

In un sogno è tutto bello se vissuto dal centro e a 360°, ma se ci spostiamo dietro le quinte e viste le scenografie del set disegnate e tenute in piedi da impalcature, scopriamo che è tutto finto e che le persone plaudenti intorno a noi sono solo comparse pagate?

Quindi o è tutto soltanto un sogno o un reality con una sceneggiatura scritta.

Abbiamo sotto i nostri occhi costantemente i professionisti della costernazione, con le maschere della circostanza per le cerimonie, accompagnati da dame vestite per l’occasione, cavalcatori di disgrazie altrui sempre pronti ad usare le miserie del prossimo per presenziare e addirittura per esistere.

E che dire di coloro che sollevano i problemi e ne lasciano la gestione agli altri nascondendo tutto ciò dietro visioni ideologiche in un mondo in cui tutte le ideologie sono scomparse.

Vediamo giornalmente chi si ostina a decontestualizzarsi cercando di portare “l’orologio della storia“ secoli indietro e che spesso coincide con coloro che continuano ad essere uomini per tutte le stagioni e che non si annoiano di esserci sempre e comunque, non arrossendo nel passare da un punto ad un’altro della “rosa dei venti“.

Tutto ciò non vi da quantomeno fastidio?

Personalmente ho cercato di smuovere le mummie che studiano per l’eternità, mi sono adoperato a difendere i giovani puntando i riflettori su coloro che pensano di non avere “un ciclo” e così facendo impediscono ad altri di iniziare il “loro ciclo” essendo “l’aborto” di nuove intelligenze che non saranno mai nate grazie a costoro prossimi a diventare “concime” per le nuove piante che verranno.

Tutto ciò non vi dà la sensazione di quanto si sia lontani dalla normalità e che non sia vero che le cose siano cambiate in meglio?

Ma ci pensate ai vostri figli?

E intanto tra un sogno e l’altro il tempo passa, tra una promessa e l’altra dimentichiamo pure che la luce che oggi ci illumina e la luce prodotta dalle stelle di mille anni fa.

Avremo avuto un passato, ci illustreranno il futuro, ma che ne sarà di questo presenta che demonizza il passato e invecchia nell’attesa di un futuro?

Vivere il presente è la cosa più difficile perché il presente lo si può vedere, il passato lo si può immaginare, ma è nel futuro e nella sua visione che si può ingannare il prossimo.

Non esiste una “visione” nel presente, se non una “soggettiva visione del presente” e in quanto soggettiva a rischio di faziosità.

E se lo scavalcare il presente attraverso la promozione di un futuro “visionario” sia soltanto la presa consapevolezza di una incapacità a vivere il presente, a governare l’attualità, a fuggire dal presente come coloro che si affidano alle droghe e agli allucinogeni?

Ma se tutto ciò non genera rabbia, dissenso e indignazione, può essere che realmente “non esiste” e sia non frutto di una visione ma addirittura un sogno?

Non arriverò mai a pensare che dietro la negazione dell’affrontare il presente vi sia una lucida strategia e per tanto, affidandomi alla saggezza di Eduardo (“a da passà a nuttata”) non mi rimane che rimettermi a dormire e per favore, abbassate la voce nelle stanze accanto ogni qual volta griderete le vostre cazzate, alle quali sono certo che non crediate più neanche voi, malgrado i copioni e i gettoni di presenza vi impongono ciò.

Allora urlatori di professione, vi consiglio, vista l’ora, di andare a dormire pure voi nella speranza che la prossima volta al nostro risveglio tutto ciò che adesso stiamo vedendo sia stato soltanto la visione di un brutto sogno. Buona fortuna.

Un abbraccio, Epruno.