Carissimi,
Guardate che io vi tengo d’occhio mentre cammino con la mia motocicletta, mentre discutete tra di voi o solamente quando trovate un momento di attenzione tra più persone fisiche (sempre più raro) e lo vedo che c’è qualcosa che non mi “confinfera”.
Abbiamo parlato di “città dei like”, ma abbiamo parlato tantissimo dei social, ma questa volta vorrei parlare degli “Asocial”!
“L’Asocial” è chi di voi ha lasciato i canoni comuni per convertirsi anima e corpo all’iphone. Ha lasciato il mondo dei contatti reali per isolarsi fisicamente e gettarsi in un mondo virtuale affollato in tempo reale da “contatti”.
Sono lontano i tempi dei “pronto mamma” della mitica Franca Valeri, eppure all’epoca ridevamo nel pensare a questa persona “schiffarata” che si faceva compagnia con lunghissime telefonata alla mamma, adesso siamo noi in apparenza “indaffaratissimi” ad esser costantemente collegati al telefonino, in ogni istante reperibili e in qualunque nostra funzione.
“Indaffaratissimi”? Il pil di questa terra dovrebbe in apparenza toccare valori stratosferici a giudicare la vostra necessità di essere sempre connessi, dalle scale di casa, in auto, attraversando le strade, in ufficio alternando una sigaretta nella zona consentita ai fumatori (se ne esistono ancora) e una risposta ad una telefonata.
Quanti nuovi capitani d’azienda.
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Carissimi,
Sono sempre affascinato dalle discussioni che nascono quando il tema riguarda la trasformazione della propria città. Molto spesso si cade nella trappola di far diventare politica tutto quanto accade attorno a noi svilendo del significato la parola “politica” e mortificando di contro tutto ciò che è il percorso e l’autonomia della società civile. La politica è oggi altamente divisiva, il “sistema città” di contro è un ideale società che mette insieme risorse mentali di qualunque colore spinte alla ricerca di un minimo comune multiplo che caratterizzi un territorio, un modo di essere, una identità.
La continua ricerca di lavorare seguendo le mode appresso a chi può aumentare i nostri consensi finisce per snaturare tradizioni e contesti sociali che non devono necessariamente esser sacrificate ad una ricerca di ottusa modernità o soltanto ad un consenso nella lettura politica contingente del mondo.
Diciamolo, questo decennio che si andrà a chiudere a breve è stato l’inutile decennio dei “like”, quel distratto consenso che ha illuso tantissima gente che spara cazzate che ha costruito illusioni e gruppi di inascoltati disadattati autocompiaciuti, ma che rimane fondamentalmente lontano dalla realtà.
Come si fa a spostare un dibattito su temi di ragionevole discussione e poi affidarsi ai “like”?
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Carissimi,
Loro devono essere. Ormai ne ho le prove e dire che vorrebbero dare la colpa alla cittadinanza e a chi la pulisce.
Questa è una città che sta cambiando giorno dopo giorno, un luogo dove finalmente gli abitanti possono dare sfogo alla propria creatività, un agglomerato dove la parola “regole” è accettata soltanto se “utilizzata nel concetto di interpretazione artistica con iscrizione dei principi basilari che compongono le argomentazioni alternative”. Cioè? “Farisi i cazzi propri”.
Ci sono stati in passato artisti venuti da varie parti del mondo a reinterpretare lo spazio e i ruderi a volte ancora presenti dalle vicende belliche, fior fiore di urbanisti hanno reinterpretato la lettura di opere collettive o la nascita di nuove zone periferiche inventando modi di dire e acronimi che oggi hanno contribuito ad alimentare la fama e la visione di questa città dell’accoglienza che una volta fu solo dell’ospitalità.
Eppure tutto ciò passa in secondo piano rispetto alla genialità di un “popolo” che da solo “muta per rimanere sempre lo stesso”, dicevano i letterati e cioè il “cittadino palermitano”, colui che è in continua sfida con una amministrazione che ogni giorno a causa del recupero del ritardo infrastrutturale vede cambiare la città in continuazione e ne deve interpretare i canoni di fruizione.
A Palermo, non si vendono più piantine della città, diciamolo francamente, perché non sai se giorno dopo giorno questa continui a rimanere aggiornata, un giorno una strada è aperta e il giorno dopo trovi un muro anche se alzato momentaneamente per consentire cantieri di lavoro. Percorri la strada in un senso e il giorno dopo te la ritrovi in doppio senso o in senso inverso, i vigili urbani si sono dichiarati “prigionieri politici” e usano la paletta per difendersi più che per segnalare. Leggi il resto dell’ articolo »
Carissimi,
Si lavora per vivere o si vive per lavorare? Quante volte ve lo avrò chiesto? Questo è uno dei miei tantra che mi porto appresso da anni in special modo da quando personalmente ho compreso che non avrei fatto sempre il lavoro dei miei sogni, poiché ogni qualvolta mi confronto con quella che è la mia professione legata ai titoli per i quali ho studiato, ho sempre esercitato con piacere e allora la distinzione tra lavorare e vivere non mi è mai pesata.
La vita è di certo una accozzaglia di adempimenti che si esaurisce in sintesi tra due atti sessuali quello naturale del concepimento e quello innaturale della morte, ma tra tutti questi adempimenti, atteso che questi sono frutto delle latitudini geografiche dove a sorte nasciamo, dobbiamo necessariamente operare con discrezione e soprattutto stabilendo delle chiare “priorità” per non rimanere schiacciato dal peso degli accadimenti.
Bisogna quindi dare a tutto il “giusto peso”.
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Carissimi,
Sono cinquantanni che percorro le stesse strade nella stessa città e quello che da sempre mi salta in mente è la piena considerazione che non sono i fabbricati a cambiare in un contesto che ormai è stabile da quando venne fatto lo sventramento della via Roma ma è la gente che cambia e cambia soprattutto il loro modo di vivere.
Ricordo che da giovane laureato e da Ghostwriter di qualche politico scrissi un discorso per un consigliere comunale sul tema del centro storico, che rappresentava la piaga dell’epoca e che risentiva ancora delle ferite della seconda guerra mondiale seppur fossero passati quasi quarantanni dalla sua fine e viveva dell’abbandono dei suoi abitanti ormai “deportati” verso le zone di espansione periferica.
Bisognava riempire di contenuti un consiglio comunale, non perché fosse vacuo, tutt’altro, ma perché a fronte di grosse personalità presenti c’erano anche modesti consiglieri che magari non avevano il titolo di studio ma avevano tanta voglia di fare e soprattutto di non sfigurare.
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Carissimi,
Non ho mai creduto e soprattutto accettato i regolamenti che davano tutto il potere ad una sola persona, neanche quando da bambino giocando per strada davamo tutta questa importanza a chi portava il pallone, dando lui la possibilità di decidere chi giocava e in quale delle due squadre.
Se ci pensate, costui era sempre il più scarso e il più benestante e giocava soltanto perché era lui il padrone del pallone, ma il suo potere finiva d’incanto quando il suo pallone veniva sequestrato e tagliato dal “cattivo negoziante” stanco di vedere rimbalzare il “Super Santos” sulla sua vetrina o sulla sua macchina posteggiata in strada.
Allo stesso tempo non sopporto più le cattive leggi che negli anni partendo dai comuni e dalle regioni, dietro la falsa illusione di facilitare la governabilità, mortificano la partecipazione (in realtà molto bassa) facendo sì che chi conquista un voto in più, anche dopo un ballottaggio, diventa il padrone indiscusso del vapore per un certo numero di anni.
Ma quale necessità abbiamo di avere un unico uomo sovrano indiscusso a capo di una baracca per garantire la governabilità? Ma la governabilità di cosa? Fossimo un’azienda privata avremmo fatturati da conseguire e dividendi da spartire, ma in una collettività e poi con percentuali così basse di votanti, perché dovremmo dare i poteri ad un’unica persona che con percentuali basse lontane da maggioranze assolute o qualificate decide, a volte con arroganza, le sorti di una maggioranza schiacciante rispetto la sua (gli altri) che spesso finisce per rimanere fuori da qualunque coinvolgimento della vita sociale?
Troppo comodo il poter dire “peggio per loro”. La mia mente non permette che si possa lasciare indietro nessuno che si possa governare per i più attenti o i più plaudenti. Leggi il resto dell’ articolo »
Carissimi,
Uno degli errori dei giorni d’oggi è quello di sentire soltanto ciò che vogliamo sentire estrapolando da contesti ben più complessi, stralci attraverso i quali costruiamo le nostre verità.
Sono stato un attento ascoltatore della crisi politica appena conclusasi, come ogni volta ho voluto ascoltare le notizie (in verità molto poche e sempre le stesse) attraverso diversi canali d’informazione, molto diversi alcuni tra di loro e ho privilegiato quelli che trovavo più lontani dal mio pensare perché sono ancora tra chi vuole capire ciò che accade e non c’è occasione migliore che sentire le ragioni della controparte, prima di farsi una propria idea.
Ho seguito la politica sui mezzi di comunicazione informatica fino al suggello dell’esito della crisi attraverso la piattaforma Rousseau e mi sono posto una serie di domande sulle piattaforme social, principalmente su quella che conosco meglio e da tempo e adopero con più frequenza Facebook.
Prima considerazione.
Un sistema apparentemente democratico che si nasconde dietro questionari preconfezionati per qualsivoglia reclamo, la stragrande maggioranza dei casi che non va a buon fine, affidato ad un computer e non ad un interlocutore che vi risponde, lo vedo come un punto debole.
Si, lo sapevamo che “un gioco nato per deridere una fiamma profumiera” non poteva diventare una cosa seria se non uno dei tanti strumenti per acquisire le nostre informazioni, la nostra identità, ma avremmo accettato di prestare il nostro bagaglio di foto, di pensieri, di contatti se avessimo scoperto che davanti ad una richiesta di reclamo, saremmo stati rimandati da scheda a scheda con messaggi di scusa e di temporeggiamento standard senza giungere ad alcuna soluzione? Leggi il resto dell’ articolo »
Carissimi,
ho già scritto in passato di Ignazio tornato nella sua terra dall’emigrazione per venire a ricoprire un posto da custode-portiere di uno stabile con tutte le garanzie sindacali. Ebbene quando il taxi lo lasciò davanti il suo nuovo domicilio lui era vestito ancora con i costumi tradizionali bavaresi, un pantaloncino e calzettoni di lana spessi, le bretelle sulla camicia quadrettata e soprattutto quel cappello verde con le piume.
Era la fine degli anni 70 ma ricordo che in strada tutti si fermarono a guardarlo e lui si diede una orgogliosa area teutonica acquisita con anni di mortificazione e sacrifichi che qui non sarebbe servita più a nulla. Anche il vecchio Cav. Saputo sedutosi a riposare qualche minuto nella bottega del fruttivendolo, sollevando il volto dai pugni congiunti che tenevano fisso il bastone, disse: “Ma che arrivò carnavele? Ma chistu a cu appartieni?”
Provate a chiedere agli inglesi il motivo per cui la Regina quando va nella camera dei Lords, seduti con i loro vestiti tradizionali, manda un messaggero anch’egli in costume d’epoca a chiamare i “Commons” (i Parlamentari della camera dei comuni tra i quali i ministri e il primo ministro) e costoro dietro lo “Speaker” in silenzio la raggiungono rimanendo costipati in piedi in fondo alla sala ad ascoltare il discorso di “Sua Graziosa Maestà”.
Provate ad andare in chiesa il giorno di festa tra i Ladini delle Dolomiti e verrete catapultati in una atmosfera che si ripete la stessa da secoli apprezzabile dai variopinti costumi e l’esaltazione di una comunità montanara. Leggi il resto dell’ articolo »
Carissimi
A che servono le ferie da quando portiamo con noi l’Iphone o l’ipad?
A che servono le ferie da quando esistono le tv con il decoder satellitare?
Ricordo i tempi in cui si partiva, si abbracciava la mamma dicendole “sto tornando” e si portava con sé uno zaino con solo appuntato lo scudetto dell’Italia e la scritta “Italy” e più arditi “Sicily”.
Poi, l’epopea, un biglietto “interail”, la tessera “CTS” e via verso le capitali europee. Si stava fuori 15gg. senza sapere un “cribbio” di ciò che nel frattempo accadeva in Italia, si telefonava a casa da una cabina stradale due, tre volte al massimo e con pochi gettoni per dare “prova di esistenza in vita”. A casa, il viaggio veniva preso con grande tensione, accadeva un terremoto in Giappone e si attendeva con ansia la telefonata da Londra per chiedere se lì andasse tutto bene. Oggi siamo costantemente geo-localizzati e continuamente collegati.
Eppure oggi, fare vacanza vuol dire anche difendersi da ciò per un paio di settimane. Tenere spenta la TV in camera in albergo? (è istintivo accenderla) Anche nel peggiore dei circuiti satellitari, almeno l’ammiraglia Rai1 la trovi al canale 500 e rotti. Dimenticare il telefonino? (Anatema, Apriti cielo). Leggi il resto dell’ articolo »
Conoscevo una Signora che abitava in zona, una gran bella donna che non passava inosservata e andava in giro con il suo maggiolino cabriolet nero, occhi chiari e capelli naturali rosso fuoco.
Questa donna aveva molto cura del suo aspetto e spesso si trasformava nella ricerca di un nuovo look sempre più piacevole e interessante. Ero ancora studente delle medie e come altri ragazzi all’epoca giocavo a pallone per strada, bastava uno slargo o nel nostro caso un marciapiede un po’ più largo e quello diventava il nostro San Siro e se poi c’era una saracinesca che poteva fare da porto, non solo il sogno ma il miracolo era fatto, accompagnato dalle bestemmie di chi abitava sopra e sentiva quel fastidioso rumore del pallone che sbatteva sulla lamiera ad ogni goal.
Stavo per strada e di vista conoscevo tutti coloro che abitavano nella zona così come la Signora dai capelli rossi (non si chiamava Anna ma era conosciutissima in città) e compresi successivamente crescendo, il rispettoso lavoro che lei facesse, offrendo “professionalmente” a pagamento presso il suo studio, non in zona, prestazioni sessuali.
Dicevo non in zona perché la Signora era una inquilina in un palazzo della zona dove abitava quando non esercitava e se non fosse stato per il suo look spesso appariscente sarebbe stata una delle tante persone che abitavano in zona. Compresi ripensando a Lei a distanza di anni, l’importanza che per certe professioni assume l’apparire, il dover sembrare sempre una novità, il dover lottare con il tempo che avanza e fronteggiarlo con intelligenza e creatività. Leggi il resto dell’ articolo »