Archivio per la categoria: Epruno – Il meglio della vita (ilsicilia.it)

Se la poteva risparmiare

Carissimi

Certo da sempre si dice “fatti a fama e va curcati”.

Nel mondo delle invenzioni è accaduto un sacco di volte, ma è accaduto spesso che noi oggi ci si ricordi di chi ha fatto successo perfezionando e commercializzando brevetti altrui e non dei veri inventori.

Ad esempio, tutti guardiamo con un certo disprezzo al dottor Joseph-Ignace Guillotin, che certamente diede il nome alla ghigliottina, accusandolo di una invenzione mostruosa che fino al 10 settembre 1977, giorno in cui lo “strumento” andò in pensione, diede la morte (utilizzando il termine a volte a sproposito “giustiziare”) a circa 30.000 persone, spargendo tanto sangue, mentre pochi sanno che il vero inventore fu Maximilien de Robespierre che per circostanze che non sto qui a raccontarvi, dovette personalmente sperimentare la sua invenzione.

E che dire dell’italiano Antonio Santi Giuseppe Meucci e il suo telefono attribuito di contro a Alexander Graham Bell, ingegnere, inventore e scienziato statunitense di origine scozzese che fu il primo a brevettarne un prototipo funzionale.

Inoltre quanti conoscono Martin Cooper che ha inventato il telefono cellulare?

Tutti di contro ci ricordiamo di Steve Jobbs che ha commercializzato in tutto il mondo l’iphone. Quanti morti sulla coscienza a causa di incidenti per distrazione causati dall’incauto uso di questo innaturale e diabolico strumento (ma questa è un’altra storia).

Ci fu un tempo in cui ci sentivamo dire: “mi passi la biro?”

E noi passavamo qualcosa che oggi chiameremmo penna ma che grazie a László József Bírógiornalista e inventore ungherese di Budapest oggi possiamo chiamare penna a sfera.

Bíró, si era rotto le scatole nell’esercizio della sua professione di usare lo “cummattusa” penna stilografica, che presentava diversi inconvenienti, l’inchiostro che macchiava i fogli, che si asciugava con tempi di asciugatura lunghi e andava ricaricata spesso.

Un giorno, come accade casualmente a tutti i geni, ebbe la grande intuizione guardandosi intorno, osservò dei bambini giocare con le biglie per la strada e si rese conto che le palline, dopo aver attraversato una pozzanghera lasciavano dietro di se una riga di fango uniforme e regolare.

Detto, fatto, Bíró inserì all’interno della punta della penna una piccola pallina metallica che permetteva la distribuzione omogenea dell’inchiostro, suo fratello György socio nella ricerca di tale invenzione sviluppò un inchiostro a rapida asciugatura e di buona qualità.

Era il 15 giugno 1938 i due fratelli crearono prima penna a sfera.

Certo a Birò rimase il nome ma non troppe soddisfazioni visto che per una serie di concomitanze, la seconda guerra mondiale, l’origine ebraica della sua famiglia, le fughe in Spagna e poi in Argentina dove rimase fino alla sua morte, la mancanza di un successo industriale e commerciale, fu costretto ormai disilluso a cedere il brevetto al barone italiano naturalizzato francese Marcel Bich che intendeva creare uno strumento di scrittura, pratico ed economico con materiali poco costosi.

Così nel dicembre 1950 Bich commercializzò in tutto il mondo la penna a sfera “Bic Cristal” che tutti almeno per una volta abbiamo utilizzato per scrivere che costava cinquanta centesimi di franco, ottenendo un grande successo.

Certo una storia curiosa e personalmente sono convinto (essendone stato in gioventù vittima) che se il barone si fosse limitato soltanto a perfezionare l’invenzione di Birò, senza spingere la sua inventiva verso uno “strumento di tortura” che fa passare per un gioco di bimbi la ghigliottina e mi riferisco al primo “mono lama-rasoio usa e getta” che tanto sangue ha versato sulle nostre facce spingendoci ad imprecare prima di cospargere di allume i nostri tagli, costui avrebbe arrecato miglior servizio all’umanità.

Un abbraccio, Epruno.

Ma cu mu purtaru, i muorti?

Carissimi

“Ma cu mu purtaru, i muorti? …”

Da queste parti, abbiamo dato ai “morti” (i nostri defunti) anche questa incombenza, di mettere tra i nostri piedi persone indesiderate che ci creano problemi o che ci danno dispiaceri e fastidi.

Purtroppo i morti sono morti e quando noi ne evochiamo la loro figura nelle nostre preghiere sappiamo bene che facciamo riferimento ad assenze che hanno lasciato un vuoto spesso incolmabile nella nostra vita e per la quale cerchiamo lungamente di elaborarne il lutto.

Siamo speciali anche in questo alle nostre latitudini, cercando di tenere in vita tradizioni che consentono almeno per un giorno di ricongiungersi con chi non c’è più, trascorrendo una giornata al cimitero sulla tomba come se costoro fossero ancora vivi, qualcuno addirittura imbandendo un vero e proprio pranzo (oggi usanza scoraggiata dalle norme), chiamando finanche dolci tipici del periodo con appellativi che esorcizzano la morte.

Qui dove le nostre nonne le ricordiamo sempre vestite a nero per il susseguirsi dei vari lutti, non abbiamo mai avuto bisogno di affidarci all’invito di Ugo Foscolo a perpetrare la presenza dei nostri cari che non ci sono più mediante il loro ricordo.

Qui che abbiamo un rapporto particolare con la morte e il mistico religioso a tal punto di vedere nella esposizione dei cenacoli pasquali nelle chiese dei sepolcri, facendo all’anagrafe morire Nostro Signore un giorno prima.

Qui che il lutto e le strisce nere sono state da sempre accettate quali normali e naturali passaggi della nostra esistenza avremmo dovuto ragionare e maturare per tempo quello che molto spesso è stato la perdita del valore dell’esistenza umana, il valore della vita.

Tanto rispetto per i morti e quasi nulla la considerazione per ciò che la vita umana rappresenta, anche attraverso la sua qualità e aspettativa di vita.

Siamo stati la terra dove si sono perpetrati efferati delitti e siamo la terra che convive con tanti morti viventi, trascurandoli e voltandosi dall’altro lato.

Quanti ultimi scansiamo ogni giorno? Quanta falsa partecipazione? Quanta falsa costernazione? E dire che per loro (ancora vivi) potremmo fare qualche cosa.

Dobbiamo necessariamente attendere che la gente muore per poterla ricordare ed onorare.

Dove siamo, dove eravamo quando costoro ci chiedevano silenziosamente aiuto. Dov’era la nostra sensibilità. Siamo strani, abbiamo ben conservato il nostro abito del lutto e la “maschera tragica” pronta a fare il nostro dovere, ma non siamo in grado di vedere per la sua vera ragione la morte perché non siamo in grado di apprezzare il vero valore di una vita.

Il progetto della vita è qualcosa che mi intriga tanto perché ho sempre pensato assurdo e bestiale mettere fine ad una vita (quando sento parlare di omicidi, di incidenti mortali) senza aver pensato per un istante che questa è il risultato di un lungo progetto, nato nella quasi totalità dei casi da un atto d’amore ed atteso per nove mesi, partorito e cresciuto con tanto amore e seguito in tutte le tappe della propria crescita.

Una vita umana non è una fotografia dell’ultimo istante, essa è un album di fotografie di una intera esistenza. Anche dietro alla vita più scellerata ci saranno stati istanti d’amore.

Ecco perché trovo insignificante e spesso di pessimo gusto, le esposizioni di mummie, l’esposizione della morte, di contenitori che furono corpi oggi devastati dal tempo, fatta nei secoli dalle nostre parti.

So di turbare la sensibilità di qualcuno dicendo che anche i cimiteri altro non sono che villaggi di morte il più delle volte maggiormente rappresentate dal ricordo, da foto e da storie nelle lapidi più che dall’ostinazione di preservare ossa raccolte e spesso vilipese nel tempo.

Ecco perché mi sento di amare la vita, non avendo più nulla da fare davanti alla morte, poiché qualunque sia la nostra convinzione religiosa, la vita e la morte sono due condizioni incompatibili di dimensioni assolutamente diverse ed intangibili.

Bisogna pertanto mostrare il nostro affetto e la nostra presenza in vita in quanto dopo, qualunque manifestazione, anche la più sentita non serve a niente se non per fomentare rammarichi di istanti sprecati che sarebbero potuti valorizzarsi accanto alla persona che ci ha voluto bene ed alla quale abbiamo voluto bene e di cui oggi ne celebriamo l’assenza.

Ecco perché più che commemorare per un giorno i defunti (che sono abbondantemente presenti costantemente nel mio cuore e nella mia mente) io celebro per gli ulteriori 364 giorni dell’anno la vita e la disponibilità, senza preconcetti, con approccio di grande apertura verso il mio prossimo, verso qualcosa che è viva e vive nella mia stessa dimensione.

Un abbraccio, Epruno.

Epruno a Cuore Aperto: Leggendo Epruno 7

Dov’è Crongoli?

Questa è la seconda domanda che normalmente chi mi conosce e non mi vede da anni, mi fa, segno che in qualche modo anche se distrattamente in questi venti anni si sarà imbattuto in ciò che il venerdì scrivo, attraverso i vari strumenti della comunicazione che in questi anni ho percorso.

Non è semplice passare dal rapporto “uno-tanti” dove non sai quanti siano e chi siano come accade nelle partecipazioni radiofoniche o nella web editoria al rapporto “uno-pochi” dove difronte a te fisicamente c’è gente che è venuta a vederti e ascoltarti, nel buio di una sala.

Io me la sono cavata bene per due motivi, la passione liceale per la recita a teatro anche se mi sono dovuto cimentare in quelle poche esperienze fuori da quelle della filodrammatica di parrocchia con mostri sacri quali il Peer Gynt di Henrik Ibsen o il Crogiolo di Arthur Miller, non male per un ragazzino diciottenne.

Ma non nascondo che devo molto anche all’esperienza professionale del mestiere che ho fatto nella vita e mi ha portato spesso su una pedana, su un palco a dover parlare a centinaia di persone, dover fare il formatore, dover fare il conferenziere, dover accettare le ospitate a volte anche in TV le quali mi hanno certamente disinibito.

Si accende una luce, sei in onda e poco importa dove e come.

Questa lotta ancora in atto tra un professionista di una materia alquanto seria e razionale e lo scrittore dilettante per passione di editoriali e brani che scavano in fondo al comportamento umano attraverso gli strumenti della satira, mi ha permesso di smussare gli spigoli e le asperità che in questi ultimi anni mi si sono presentati.

Epruno ha aiutato l’ingegnere e di contro l’ingegnere si è servito di Epruno anche nel ricoprire ruoli di una certa autorevolezza.

Epruno mi ha permesso di conoscere tanti altri velati Epruno in molte persone che pur avendo un ruolo a volte alquanto serio, trovavano quella parentesi nella propria giornata per perseguire il proprio sogno, la propria passione e allora ecco che si sono create delle affinità elettive, grandi rapporti che hanno bruciato fiamme consistenti ma che come tutte le grandi fiamme si sono spesso esaurite in poco tempo.

Diceva Nino Manfredi nel film Nell’anno del Signore, interpretando Pasquino, che “diventare Pasquino non è difficile, il difficile è rimanerci” e così con le dovute proporzioni essendo Epruno stato in certi periodi un Pasquino dei giorni d’oggi, ha dovuto constatare che in molti aleggia questo spirito nascosto che se stimolato viene fuori per poi essere riassorbito dalla propria razionalità e seppellito dal contegno o dalla vergogna di mettersi a nudo con la paura di rimanere scoperto e senza scudi di protezione. Potrei farvi tanti nomi di amici autorevoli che in passato hanno voluto “cazzeggiare seriamente” insieme a noi, ma guardiamo sempre al presente e soprattutto siamo curiosi per ciò che verrà.

Non si finisce per essere Epruno perché si ha tanto tempo da perdere e non si ha nulla da fare, questa è la risposta che si danno i mediocri, posso dire che più la mia vita si è riempita di impegni professionali, più in me è nata l’esigenza di ritagliare dal mio esiguo tempo libero e perché no anche dal mio sonno, spazi per scrivere, per descrivere e a volte denunciare attraverso uno stile ironico leggero e molto personale ciò che quotidianamente ci accade.

Ecco Leggendo Epruno fa forza su questo coinvolgimento dell’attimo, ferma questo bel momento condiviso senza ambizione di voler cambiare nulla o di ergersi a momento di valore artistico, produce adrenalina nell’istante anche nei lettori da me coinvolti per leggere i miei testi che solo sul palco avranno la contezza globale dell’evento, proprio come il pubblico, avendo a differenza di quest’ultimo almeno conosciuto il proprio brano da leggere, la propria parte.

Per chi non ne ha visti neanche uno fino ad oggi, posso dare alcune cifre per fornire un’idea dell’impegno creativo.

Il format originale (insisto nel dirlo che si è evoluto nel tempo) consta di 15.000 parole divise equamente tra una narrazione che fa da filo conduttore (che quest’anno parlerà di Crongoli) letta mirabilmente come sempre da Mario Caminita, noto Dj, presentatore e voce radiofonica ma soprattutto Amico, incontrato circa dieci anni e complice ideale in questi progetti e 12 brani, in parte scritti per l’occasione e in parte presi dalla mia scrittura settimanale, correlati con l’argomento principale che quest’anno sarà la “semplicità”.

A leggere questi brani saranno Amici lettori dilettanti, come sempre, tranne una eccezione l’attrice Stefania Blandeburgo anche qui frutto di un rapporto di stima personale che per una serata giocherà insieme a noi e come sempre in quelle rare occasioni negli ultimi tempi, essendo una di noi.

Completano la lista Carmelo Castronovo, Fabio Cocchiara, Gaetano Perricone, Manfredi Agnello, Maurizio Salustri, Nadia Spallitta, Silvia Testa, Tiziana Caccamo, Tommaso Gioietta, Tony Paladino, Totò Cianciolo.

Anche per questa edizione sono riuscito a convincere e coinvolgere il “disegnatore” Franco Donarelli (anche egli ingegnere guarda caso) che ha rappresentato Crongoli in 20 splendide tavole originali che saranno di certo il valore aggiunto della serata.

Oltre ad aver scritto tutti i testi e creato il multimediale che sostiene il format, curerò la regia (parola grossa), mentre ci saranno veri professionisti alla regia audio e luci quali Roberto Fontana di AVL Produzioni e il suo staff.

Se in fine mettete il tutto dentro un contenitore magico come il Real Teatro Santa Cecilia di Palermo riconsegnato da pochi anni alla città e alla Fondazione The Brass Group avremo l’onore di “cazzeggiare seriamente dove gli altri lavorano”.

Come al solito l’evento è in unica serata, chi vorrà condividerlo con noi non dovrà fare altro che andare direttamente su http://www.bluetickets.it/ o attraverso il sito della Fondazione The Brass Group e presentarsi domenica 28 Ottobre in teatro perché alle ore 18.00 si comincerà puntualmente ……

Per tutti gli altri, potrete continuare a leggermi fin quando avrò voglia di scrivere, il Venerdì. Che volete è gente semplice.

Un abbraccio, Epruno

Il Dirottamento dell’Autobus

Chi ricorda i tempi dei “Gufi” rammenterà il brano sul dirottamento del 18 e non DC8 come frequentemente accadeva di quei tempi.

Analoga esperienza ho fatto io oggi ma non sul 18 ma sul 102 perché da noi gli autobus iniziano con il 100.

Accade che un motorista come il sottoscritto, in una giornata di pioggia, dovendo recarsi al lavoro per partecipare a un evento pubblico, nel ruolo, scelga di non avventurarsi come sempre sulla sua moto incurante dell’acqua che cade dal cielo e di non sottoporsi agli schizzi di fango provenienti dalle auto che ti corrono accanto.

Allora. Il panico. Che fare?

un giorno di ordinaria follia

Prendere l’automobile, non se ne parla se non si è disposti a fare come Douglas (in “Un giorno di ordinaria follia”) e lasciare l’auto in mezzo al traffico non appena giunti alla zona pedonale e consegnare le chiavi al vigile in servizio all’incrocio.

Andare a piedi, sarebbe una malsana e poco salubre idea, ascoltare chi ti dice: “Io vado a piedi al lavoro e mi tengo in forma”. A costoro direi: “Ma hai mai fatto caso al feto di sudore che emana il tuo corpo quando giungi in ufficio”?

Non venitemi a dire che voi in ufficio oltre agli armadietti personali avete il ricambio e soprattutto la doccia con relativi spogliatoi?

Non restano che i mezzi pubblici, memori di chi ci fa la morale giornalmente dicendoci che usa questo servizio che è comodissimo.

Bene, perché fare i “sconza iuocu”, i “nemici da cuntintizza” e così sotto la pioggia e con l’ombrello ho deciso di raggiungere la nostra Gare de l’Est, la nostra Victoria Station o più in piccolo la nostra Shottentor U-Bahn, la Stazione Notarbartolo dove purtroppo l’unico treno utile per la stazione centrale era appena partito e abituato male con le metropolitane del nord Europa mi sono dovuto arrendere all’idea che il prossimo convoglio sarebbe passato mezz’ora dopo e per giungere a destinazione avrei dovuto attendere altri 23 minuti, totale più di cinquanta minuti.

Non me lo sarei potuto permettere e malgrado avessi trascorso tutta la mia adolescenza sull’autobus, il solo pensiero di affidare sotto la pioggia, il raggiungimento della mia meta a questo mezzo pubblico mi terrorizzava fortemente.

bus

C’era poco da fare o bere e bagnarsi o affogare.

Raggiunta la fermata di via Libertà a piedi e sotto la fastidiosa “pioggiolina nzuppa viddrani” non vi nascondo di aver avuto un mancamento quando a Piazza Croci ho visto due gradevoli vigilesse con la loro macchina messa di traverso, deviare il traffico da via Libertà e alla mia domanda “perché?”

La risposta è stata: “corteo”.

Ora in moto ciò mi accade una mattina si e una no, ma gli autobus? Rassicurato dalle stesse che il mezzo pubblico avrebbe anch’esso seguito la deviazione, mi reco nella prima fermata della piazza, dove altra gente si “rummuliava” per l’accaduto, ma quando a un certo punto in lontananza ho visto un autobus superare lo sbarramento e introdursi in via Libertà ho temuto i nuovi Vespri Siciliani, in quanto la gente in attesa con me alla fermata si e messa a correre per ritornare verso via Libertà e aggredire verbalmente le due vigilesse al grido di “ma comu iu a finì” o “non c’è più serietà” e ammetto che anche io mi sono lasciato prendere da questi moti che se fomentati rischiavano di giungere fino a palazzo di città.

vigilesse

 Solo la professionalità e la freddezza delle vigilesse è riuscita a sedare la folla gridando che trattavasi di un mezzo fuori servizio e proprio mentre ci si stava calmando ecco che il 102 sopraggiungendo alle nostre spalle, invece di entrare in via Libertà (chiusa) girava verso la Piazza Croci e conseguentemente tutta la folla urlante invertendo il senso di marcia si è affannata a ritornare alla fermata di prima, me compreso, per prendere al volo l’autobus dove nel mentre i passeggeri si erano messi ad urlare visto il tracciato mutato.

Persino tre turisti che seguivano su un navigatore satellitare il percorso del bus sembravano cadere dalle nuvole, fin quando l’autista dal suo posto di guida ci ha urlato: “Tranquilli l’autobus è stato dirottato causa una manifestazione su via libertà”.

Eravamo nel pieno di un dirottamento. Una rubiconda matrona intenta ad aggiustarsi il prosperoso petto con entrambe le mani, ha esclamato: “Vo viriri che nni puortano a Cuba!

Tra le risate di tutti un vecchietto con la coppola e l’espressione di colui che ne sa tante, le rispose: “Se a Via Cuba! Signora stamu iennu a stazione ma dobbiamo fare u giru du Foritalico. Fussi a prima vuota!”

Ho capito che questo sarebbe il mio primo e anche se sfortunato, ultimo uso dei mezzi pubblici, giunto lo stesso in ufficio bagnato fradicio ancor peggio che se avessi usato come sempre la moto.

Ora infine mi chiedo: ma con tutta questa grande zona pedonale, c’era bisogno di chiudere ulteriori strade per fare svolgere un corteo e danneggiare l’uso dei servizi pubblici? Lo so, siamo a Palermo!

Un abbraccio, Epruno.

Cosa Fotograferà John?

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Carissimi

“Ti scatterò una foto. Ricorderò …”.

Pensavo a questa frase fermando la mia moto, per permettere l’attraversamento di un gruppo allo “stato brado” di croceristi in pantaloncini tutti dotati di macchina fotografica a tracolla.

Pensavo ad una visione cartesiana fotografata della mia città in un preciso istante, legato alle poche ore di permanenza di un crocerista, sceso dalla nave tra una colazione e una “pizza marghereta” ciclicamente offerta sul “ponte 11” da un pizzaiolo rigorosamente mauriziano.

Mi rivedo io calato in uno dei quei viaggi organizzati in epoche e contesti particolari. Era caduto un muro da poco e la parte est era tutto un cantiere, ma percepivo chiaramente l’atmosfera di qualcosa che stava crescendo a Berlino, dopo averne viste tante.

John ha poco tempo e scende dalla nave tenendo i soldi nelle mutande perché per anni gli hanno raccontato che questa è la città del padrino e che si spara per strada, ti scippano e ti violentano addirittura sulla scaletta della nave se non stai attento.

I suoi preconcetti vengono confermati all’uscita del porto quando viene “allapazzato da apini-taxi”, carrozze, gente che offre tour magnifici, ma con tutte le accortezze lui preferisce fermarsi per una foto davanti alla lapa tutta agghindata con decorazioni siciliani riconducibili al compare Turiddu mascagnano con coppola e baffi (gli manca solo la lupara), poi spintosi nel suk, la grande taverna a cielo aperto del centro pedonale, trova i magneti con l’omino con la coppola e il mitico grembiule da cucina con la foto del padrino.

Tutto ciò gli basta per confermare le sue certezze poiché con tutta probabilità lui non arriverà alla cattedrale

perché a piedi è distante e fa caldo, e non spenderà un euro per un biglietto di qualunque bene artistico-monumentale visitabile, è sfuggito all’intruppamento “istituzionale a pagamento extra” e ha poche ore se vuole tornare sulla nave e trovare una sdraio libera, perché il barista di Bali lo aspetta sul ponte a bordo piscina per servirti un altro spritz.

In questo preciso istante cosa fotograferà se non la superficiale evidenza di cantieri o di immondizia non raccolta, cose che con tutta probabilità ci saranno in tante altre città ma che qui rimangono più evidenti poiché alimentate da preconcetti.

Mi perdonerete ma con le dovute proporzioni con Berlino e Barcellona, non riesco a vedere ancora un progetto città e una reale rinascita se non attribuita a tutti coloro che vogliono di volta in volta tirare la corta coperta dalla loro parte. Allora cosa fotograferà John?

Vedo solo qualche realtà isolata dal resto del contesto che vive spesso di luce propria.

Vedo distintamente una cosa non raccontata, il ritorno di un’attenzione turistica non dovuta ad una nostra capacità di attrazione, ma alla paura che il terrorismo internazionale ha creato nelle location dei nostri competitor, una volta ritornati dopo che li avevamo fatti scappare sta a noi ora seppur con un procedimento inverso strutturarci affinché non se ne rivadano un’altra volta.

Io e chi di voi si è tolto gli occhiali abbiamo visto soltanto cose presentate come grandi innovazioni che domani finiranno per esser cancellate con un colpo di spugna, con un provvedimento spot, nulla ancora di seminato in loco che domani darà i frutti di un cambiamento, soltanto gli effetti di un cambiamento globale che come mode e tendenze giunge fino a noi per condizionarne costumi ma come tutte le mode si esaurirà.

La mia città come la mia terra non avranno mai una vera identità in grado di fare sistema davanti ai grandi obiettivi e i grandi appuntamenti, lo scrivevo quando c’era la “palude” e lo scrivo ora che c’è la “visione”, percepisco tanto egoismo in tante minuscole fazioni.

Saremo sempre terra di conquista e di sperimentazione per idee altrui confezionate chi sa dove? Saremo come sempre spettatori di sperimentazioni che nulla hanno a che vedere con una governance autoctona e una reale programmazione.

Ecco John, durante la sua crociera senza saperlo, fotograferà l’egoismo, la mediocrità e anche un pizzico di cattiveria che bloccano questa terra da secoli.

Un abbraccio, Epruno.

Quanto vi manca alla pensione?

Carissimi,
Ntuonio non la smetteva mai di dire non vedo l’ora di andare in pensione. Lavorava in un ufficio della pubblica amministrazione e il suo ruolo era quello di tenere la sua scrivania piena zeppa di pratiche composta da lettere dove nella maggior parte dei casi potevi leggere “vengo con questa mia a dirle.”

Con il passare del tempo gli furono attribuite nuove “mansioni”, gli venne data oltre una scrivania anche un armadio metallico da chiudere a chiave e per lui le preoccupazioni si fecero sempre più pressanti tanto che oltre alle lettere di domande “vengo con questa mia a dirle” iniziò a fare anche lettere di risposte costantemente del tipo “non è di mia competenza”.

Eppure Ntuonio era stressato. Se non fosse esistito Kant di cui lui ignorava certamente l’esistenza, qualcuno lo avrebbe potuto scambiare per un novello “orologio di konigsberg” con il quale regolarsi il proprio orologio, poiché giungeva in ufficio perfettamente alle ore 7,30 e usciva regolarmente alle ore 14 senza la possibilità di un minimo errore, tanto che nella sua carriera non si era neanche reso conto della circostanza che avessero tolto il foglio firma e fosse giunto il badge.

Ntuonio strisciava il tesserino alle 7,30 e alle 13,50 si posizionava davanti alla macchinetta conta ore nell’attesa che si digitalizzasse il numero 14.00, per chiudere la giornata. Eppure Ntuonio era stressato.

Negli anni le sue abitudini erano state sempre le stesse, ma aveva dovuto fare i compiti con l’arrivo della tecnologia, appena entrato era stato “informato” dai colleghi di stanza su quelli che erano i suoi doveri e soprattutto sul dogma “non è di mia competenza”.

Ntuonio imparò presto il concetto di definizione di spazio personale e di proprietà e cominciò a mettere il suo nome negli strumenti del potere, ad iniziare dalla spillatrice, il nome scritto su una striscia di carta all’interno della sua penna Bic trasparente, la gomma, la sua colla “coccoina” e soprattutto il temperamatite, ma i veri strumenti di programmazione per lui erano le tovagliette di carta e principalmente il rotolo di carta igienica che teneva sotto chiave. Tutto quanto sopra gli dava costanti preoccupazioni.

Eppure Ntuonio era stressato. Giungeva a lavoro con le evidenti cispe sotto gli occhi, ma ritualmente apriva la finestra della stanza, qualunque fosse stato il clima fuori, appendeva il suo borsello nell’appendiabiti, scendeva al bar a fare colazione e prendere un caffè, passava dall’edicola per comprare il quotidiano sportivo, risaliva in ufficio, apriva a chiave il suo cassetto, prendeva la carta igienica istituzionale (diventata sua) e andava nel gabinetto dell’ufficio a defecare e vi rimaneva chiuso per circa mezz’ora.

Alle nove in punto, dopo aver letto la prima pagina del quotidiano e qualche notizia di dettaglio, controllava la posta della giornata portatagli dentro una carpetta e posata sulla scrivania metallica e iniziava a scrivere a penna le sue risposte su un foglio:” Non è di competenza dello scrivente ufficio”.

Quale fosse lo scrivente ufficio era stata fino a quel punto l’attenzione maggiore posta da Ntuonio, poiché pur essendo rimasto per 35 anni sempre nello stesso stabile e nella stessa stanza, aveva visto periodicamente cambiare la dicitura del suo servizio al giungere di un nuovo dirigente o un nuovo assessore, ma la vera sostanza rimaneva quella che “non era di sua competenza”.

Eppure Ntuonio era stressato e non vedeva l’ora di andare in pensione perché come diceva lui avrebbe avuto tanto di quelle cose da fare che veniva strano pensare a tutta questa attività frenetica d’un colpo.
Nella sua stanza vi erano le foto di rito alle proprie spalle relative alle cene con i colleghi nella bettola vicina all’ufficio in occasione del pensionamento di qualcuno di loro ed ecco gruppi “fraterni” fatti con colleghi anche di altri piani o trasferiti negli anni in altri settori, quelli con cui la mattina si era fatta colazione prendendosi cura di stare lontano dalla cassa attardandosi per non correre il rischio di pagare per gli altri.

Dubito che Ntuonio avesse mai offerto una colazione ai colleghi, benché nei gruppi delle stanze limitrofe ci fosse chi tenesse il conto di una regolare turnazione alla romana, oppure chi essendosi accertato che non fosse il proprio turno tornava al banco a due e tre volte o ancor peggio chi dichiarasse di non voler prendere nulla per non pagare e poi passasse da ogni collega per dire, “mi fai assaggiare un pezzo, solo la punta del cornetto”.

Che vita stressante, specialmente il giorno in cui La Prof.ssa Fornero annunciò in Tv la sua proposta di legge e dalla stanza di Ntuonio si sentì un urlo quasi disumano “nooooooo” frutto della presa constatazione che non sarebbero mancati più due mesi all’alba, ma altri cinque anni.

Se ne prese una malattia prima depressiva e poi fisica, ricordo quella mattina d’inverno, pioveva a dirotto, ma nella chiesetta c’eravamo tutti a dare l’ultimo saluto a Ntuonio caduto durante l’adempimento del suo lavoro a soli due anni dal nuovo traguardo.

Il Rag. Fischetti dell’ufficio mutui seduto accanto a me mi disse “Abbiamo risparmiato i soldi per l’orologio del pensionamento”, ma ad attrarre la mia attenzione fu una discussione tra i colleghi nella fila di banchi difronte che visto il diluvio all’esterno della chiesa, litigavano per chi dovesse portare la bara, quando uno di loro disse “con questa pioggia, io lo conoscevo da meno tempo e quindi …… non è di mia competenza”.

Un abbraccio, Epruno.

La perdita delle certezze

Carissimi,
Vi ricordate quando tornati a casa avvisavate dicendo: “A Mamà, io sugnu cca!
La risposta nel novantanove per cento dei casi era: “E u Papa è a Roma!”
Na vuota (una volta), ora ti devi tenere informato per sapere dove è il Papa.
Prima era una delle certezze assolute, la Chiesa è lo stato Vaticano e il Papa, il tutto a Roma e per noi che abbiamo anche nel curriculum un passato di chierichetto, l’andare a vedere il Papa, figuratevi il servire la messa al Papa era una di quelle aspirazioni massime, ma erano altri tempi.
In quegli anni in cui la gioventù era divisa tra destra e sinistra, stare al centro ed essere cattolico praticante era qualcosa da esercitare quasi in clandestinità perché se prendevi la parola in assemblea ti fischiavano, a scuola venivi trattato come un “nerd” che si vestiva all’Upim e se parlavi prendevi bastonate da destra e da sinistra.
Le ragazze impegnate politicamente che occupavano le scuole e professavano l’amore libero ti guardavano con il disprezzo che si ha verso qualcosa di viscido e anzi facevano di tutto per provocare la tua cecità.
Fatto sta che come accade nella vita noi che fummo “bravi ragazzi di chiesa” crescendo abbiamo fatto il percorso inverso di San Paolo, diventando ribelli, ipercritici e alla soglia dell’agnosticità, loro, i rivoluzionari, i sessantottini, i settantottini e quant’altro si sono imborghesiti, hanno tolto la maglietta del Che e come diceva Venditti, mettendosi la giacca e la cravatta, “sei entrato in banca pure tu”.
Porca la miseria, ma può essere mai che l’incoerenza è sempre quella qualità che ti fa prendere il meglio della vita?
Costoro quando c’era da fare sacrifici e stare intruppati, si divertivano, avevano donne di tutti i tipi, mentre tu, “pio” venivi tenuto buono da promesse del tipo stai “stai tranquillo perché i tuoi sacrifici quando crescerai saranno ripagati”, oppure “non guardare loro, è gente persa” (con il senno poi esagerando e non poco).
Siamo cresciuti e loro si sono rifatti una verginità, hanno messo la giacca e le cravatte e mentre tu stai oggi dopo tutti quei sacrifici a chiederti tanti perché e a contestare i dogmi, loro non solo sono la classe dirigente del paese e continuano a divertirsi, ma mi sono diventati anche “cattolici osservanti”.
Il danno e la beffa, c’è chi si è divertito tutta la vita sposando ideali a convenienza e c’è chi ha tentato di essere coerente e oggi rimane con la sola coerenza nelle mani e si deve turare le orecchie quando sente parole del tipo io sono “catto-comunista” …. Orrore, come si fa?
Va bene che il mondo ci ha abituati alle situazioni di mezzo, anche nel sesso, ma negli ideali no!
Che significato avrebbe dire io sono “intero-milanista” oppure sono “cata-palermitano”, l’olio e l’acqua non diventeranno mai un tutt’uno eppure c’è chi per rimanere a galla e non sto qui a rammentarvi quali “corpi organici” galleggiano sempre, si è inventato questi “ibridi”.
Che mondo è? Non lo so, come dicevo dovendo stare tranquillo da piccolo le domande me le sto facendo tutte adesso e non posso sapere tutto, ma rimango perplesso quando la sinistra oggi sta spesso con la chiesa e la destra vi fa opposizione, ma qui ci addentreremmo in discorsi “seri” per gente “seria” tipo gli analisti di politica che potrebbero dirmi, ma la Chiesa in quanto istituzione è stata sempre al fianco di chi vince, ma io sono persona semplice e come chi viene da Crongoli appartengo a gente semplice.
Io la Chiesa non l’ho mai vista come stato o potere, a me è rimasto grazie a preziosi insegnamenti materni, la visione del rapporto tra “l’Io e u Signuruzzu”, perché quel che resta della mia fede è il rapporto tra noi e qualcosa di sovrannaturale che si chiama Dio per me, per altri sarà Allah, Budda e quant’altro.
La fede è qualcosa che ti porti dentro e ti aiuta ad andare avanti, certo a volte ti distrai nel pensare che al Signore bastava una barchetta di pescatori o una spiaggia per predicare, oggi non ci sono infrastrutture gigantesche, impianti straordinari, papamobili o aerei che bastano, e ti chiedi il perché di tanto spreco, poi pensi al “Signuruzzu” di cui sopra e ritorni a concentrarti e sai che le domeniche quando vorrai e ti andrà di andarlo a vedere e ad ascoltare, “u Papa è a Roma”.

P.S. Per quelli un po’ meno praticanti. Guardate che imprecare perché la visita del Papa porterà chiusure straordinarie e tanti divieti per tre giorni è considerato “peccato doppio” e mi sa che dovrete passare dalla “Porziuncola” per le indulgenze plenarie.
Un abbraccio, Epruno.

Ritrovarsi e dirsi addio

Carissimi,
l’estate è uno di quei momenti in cui potete uscire da voi stessi, osservarvi dal di fuori per avere certezza che tutto vada per il verso giusto e soprattutto per procedere con un esame di coscienza approfondito su quelli che sono i vostri convincimenti.
Se siete cosi fortunati da prendervi quei quindici giorni di ferie a vostro piacimento che per contratto non si negano a nessuno potete sperimentare quanto di seguito. Mettevi su un mezzo che vi porta fuori confine, in Europa se proprio volete tenervi informato su ciò che succede al mondo, guardate i notiziari stranieri e tenetevi lontani dai canali italiani.
Per prima cosa, scoprirete che se un ponte crolla, diventa la prima notizia di tutti i notiziari per tre giorni, con inviati sul posto che vi raccontano la notizia e non intervistano i parenti dei defunti per chiedere: “signora come si sente dopo che è morto suo figlio?”
viadotto Morandi GenovaScoprirete che dal quarto giorno non se ne parla più perché sono tutti a lavorare per ricostruire il ponte, accertare le responsabilità, pensare ai parenti delle vittime e nessuno, neanche i politici hanno tempo per andare in tv a fare chiacchiere e polemiche e a discutere su cose che neanche capiscono. Leggi il resto dell’ articolo »

Testamento d’estate

Carissimi
Non venite a chiedere ad un ingegnere che cosa sono i “gradi di libertà”, fareste una pessima figura.
Non venite a chiedere ad un uomo libero che cosa è la “libertà”, dovreste avere analoga pazienza per ascoltare la risposta, poi se volete surrogati ipocriti di libertà ne troverete a iosa, sono certo che anche l’affetto da sindrome di Stoccolma si sentisse libero, basta avere la giusta dose di ipocrisia per ammetterlo e siamo tutti liberi.
Sapete che non mi intendo di politica e che preferisco parlare del nostro modo di essere raccogliendone gli spunti ironici dove ce ne siano. La politica purtroppo divide, io opero da sempre per unire la gente, in più non avendo eredi da accontentare non ho imperi da costruire ne vanagloria da coltivare, quindi ciò che faccio nel mio lavoro, nelle mie passioni, nel mio tempo libero lo faccio perché lo voglio, perché mi convince e perché una volta fatto il mio dovere della mia vita non debbo rendere conto a nessuno.
Tutti dicono così, ma poi, cedono sempre ad intruppamenti, zerbinaggi, associazioni e adulazioni, libertà è tutt’altra cosa, altro che stare sopra un albero o partecipare. Leggi il resto dell’ articolo »

Anche io giro in maglioncino blu

Carissimi,
siamo certi che ognuno di noi lavori per costruire qualcosa? Vogliamo negarci l’esistenza dei demolitori dei progetti altrui? E tra questi costruttori, quanti lavorano per costruire qualcosa che sia oggettivo e non soltanto soggettiva vanagloria?
Parole come “leader” o “manager” di ceppo inglese, sono state spesso mal associate a termini locali come “capo”, “padrone”, addirittura “tiranno”. Sono vive in noi le memorie di frasi del tipo: “si fa come dico io, finché comando io”.
Purtroppo ci sempre tante pecore che hanno bisogno di seguire un cane che abbaia, ma non tutti i cani che abbaiano, sono leader o manager, anzi…
Prendete un signore di mezza età con un maglioncino blu chiamato da chi ha i “soldi da generazioni” e che oggi si trova con le “pezze nel culo” e costretto a socializzare le perdite, questo signore avendone la possibilità, giunge dietro la propria scrivania e dice: “stiamo fallendo, o diamo una svolta drastica e seguiamo un percorso virtuoso o me ne torno a leggere i miei libri di filosofia”. Leggi il resto dell’ articolo »