Archivio per la categoria: Epruno – Il meglio della vita (ilsicilia.it)

Decidere in quale corteo sfilare

Carissimi,

Il 19 Luglio commemoreremo un’altra strage, quella che più fa male alle nostre coscienze, perché non giunta a sorpresa ma annunciata in una lunga agonia di silenzi, nel quale il ricordo di un uomo solo, non al comando e con la sua maglietta verde, con quei suoi occhi pieni di rabbia, dolore, delusione ci rammenterà che cosa significa essere servitore dello Stato anche quando questo sembra dimenticarsi di te e non ti rimane che “il rispetto delle regole e delle leggi quale ultimo credo” e scenderemo in piazza, faremo dibattiti, fiaccolate, addirittura monteremo palchi, scriveremo commedie, troveremo la nostra visibilità perché è giusto stare da questa parte, sotto i riflettori.

Di contro, scenderemo in piazza ancora prima per solidarizzare con chi a un certo punto dice, io “me ne frego” delle regole perché “per me sono sbagliate” e quindi disobbedisco.

Grande ammirazione per un comandante che fa il suo dovere e va avanti per il suo credo nella sua rotta.

Basterà sovrapporre le foto senza utilizzare il Photoshop e troveremo le stesse autorità in prima fila, gli stessi intellettuali a dibattere, il solito circo mediatico.

Come cambiano i tempi, una volta il “me ne frego” era una frase il copyright era dell’uomo nero con la mascella, oggi sta da tutt’altra parte.

La disobbedienza per le leggi sbagliate, i provvedimenti sbagliati, le circolari sbagliate, gli ordini di servizio sbagliati è una tentazione che abbiamo in molti e vorremmo esser visti come eroi mandando a quel paese il potere ma non ce lo possiamo permettere, manderemmo un sistema all’anarchia pagandone le conseguenze.

Se il nostro capo è un idiota ce lo dobbiamo sorbire, perché il sistema sta dalla sua parte. 

Le leggi sono sbagliate? Ma le fanno i nostri parlamentari. Perché noi snobbiamo sempre di più il momento elettorale per poi piangerci addosso?

Io mi sento come quell’assessore che chiudendo un giorno alla mia presenza una telefonata in lacrime mi disse: “io non so a chi dare ragione, siete entrambi persone preparate e perbene”.

02Esatto, non lascerei mai morire un essere vivente (non soltanto umano) se posso dare il mio aiuto, non distinguo inoltre gli uomini per il colore della pelle o la provenienza, le migrazioni vanno affrontate con grande serietà e non soltanto perché per il momento può tornare utile nel dibattito sociale accendere i riflettori, ma nel dubbio io devo rispettare le regole, anche quando mi sembrano ingiuste, perché nell’esercizio della mia funzione devo rispettarle, anche se non stimo il mio capo.

Distogliete un attimo l’attenzione dal magistrato che sa di essere ucciso a breve, ma cosa porterebbe la sua scorta ad accettare la morte, con quale logica, quale giustizia umana e divina, quali ideali?

Il dovere, il rispetto delle disposizioni e delle leggi, a telecamere spente. Decidiamo quindi non con chi stare, ma a quali principi aderire. Le leggi sono sbagliate, cambiamole, ma sino a quando esistono vanno rispettate.

Quindi non potrete sfilare in entrambi i cortei a meno che il vostro unico fine non sia quello di fare attività motoria.

Personalmente io il 19 luglio vorrò non dimenticare, vorrò fare mio l’insegnamento senza spettacoli, ma solo con una preghiera verso servitori dello stato che in un mondo sbagliato e alla deriva morale, scelsero di diventare eroi loro malgrado.

Un abbraccio, Epruno

Non morirò mediorientale

Carissimi

Ero molto giovane e decisi di intraprendere a viaggiare, stimolato dall’idea di conoscere il continente europeo nella parte che giudicavo all’epoca più visitabile, quella occidentale e soprattutto più vicina alle mie ambizioni di vita.

Scoprii le capitali europee, mi feci una idea delle diversità che c’erano tra le grandi città del continente e la mia Palermo, la mia Sicilia.

Sono stato da subito sostenitore di una Europa unita quale unico continente di scambio culturale e di mutuo stimolo per il miglioramento reciproco.

Guardavo a queste nazioni e ne invidiavo il senso civico, ne studiavo il modo di vivere vivendo in mezzo a loro e tessendo amicizie, guardavo ai loro servizi e pensavo a come questi si potessero importare nella mia città piena di potenzialità e allora come tutti dicevo che la Sicilia avrebbe potuto vivere di solo turismo (crescendo corressi il tiro dicendo… se non ci fossero i siciliani ad abitarla).

Il mio modello di vita era occidentale e middle-europeo, speravo che da questa unione avremmo potuto copiare le cose migliori e in realtà i fondi e le opportunità furono date ma noi non sapemmo approfittarne al meglio, quante grosse infrastrutture rimaste a metà, quante truffe alla comunità economica europea, quanta formazione inutile di figure professionali giurassiche.

Io non ero e non lo sono mai stato attratto da paesaggi esotici e pittoreschi, da umidità tropicali, da deserti, da commestibilità di insetti (seppur da queste parti abbonderebbero e come), non me ne poteva fregare di meno che fare una esperienza mistica in India, non ero uno dei Beatles, mi bastava la mia mal praticata religione cristiana di famiglia, non volevo andare in Nepal e non mi appassionava la vita dell’America Latina. Insomma non avevo nessuna necessità di apparire alternativo creandomi un personaggio, ero soltanto un giovane che prima o poi voleva giungere a Capo Nord, voleva conoscere le ragazze olandesi, le ragazze tedesche, le ragazze svedesi, ero segretamente innamorato della bionda della birra Peroni, volevo andare in posti dove si stava certamente come o meglio di casa propria, non volevo cercarmi disaggi per avere qualcosa da raccontare, mi bastavano soltanto i due giorni di treno quale fatica per raggiungere qualunque capitale del nord Europa, ero un “Erasmus ante litteram”.

Immaginate oggi, alla mia età, essendomi girato tutto il continente più volte, avendo sconfinato nell’Est e avendo scelto come base delle mie vacanze l’Austria, come mi possa sentire mortificato nei miei sogni, nel momento in cui qualcuno mi vuole convincere che Palermo è una città del Medio Oriente, l’ultima città e avamposto del continente africano.

Comprendo che c’è chi sa venderci le sconfitte della propria politica quali opportunità, ma se il binario e rimasto unico e lento che cosa ne abbiamo fatto dei soldi che dovevano potenziarlo, se abbiamo deciso di non fare il ponte perché non abbiamo valorizzato la nostra insularità evidenziando le nostre tradizioni e la nostra storia, la nostra unicità?

Perché devo accettare il messaggio che la mia regione perso il contatto con il resto dell’Italia e di conseguenza con l’Europa debba “soltanto” diventare un grande ed immensogommone dove accogliere tutto quello che scappa dal loro mondo.

E anche se fosse questa la volontà popolare perché distrarre la gente concentrandola sulla circostanza che le migrazioni dall’Africa siano il nostro unico problema?

Io parto dal concetto che costoro provenendo da situazioni più disastrate troveranno sempre soddisfacente la nostra condizione, non si preoccuperanno per niente della sporcizia, delle strade ridotte a piste per diligenze, della disorganizzazione a tutti i livelli, per loro, per i più disperati, per i meno ambiziosi che decideranno di fermarsi in questo immenso gommone chiamato Sicilia, tutto ciò sarà paradiso, la terra dove “tutto si può fare” a differenza dei regimi teocratici di loro provenienza.

Ma per me, per tanti come me, per la stragrande maggioranza degli abitanti di questa terra (e non parlo di quella che esce dalle urne) ciò non va bene e non va bene neanche per i tanti disperati che ambiscono a migliorare la loro vita e che giungono con un piccolo gommone, in questo immenso gommone, si guardano intorno e fuggono verso il nord Europa, quell’Europa che io da sempre sogno. Vedete che alla fine siamo tutti uguali (quelli che abbiamo sale in zucca) a prescindere dal colore della pelle?

Un abbraccio, Epruno

La città dei gabbiani

Carissimi

E’ storia di ogni giorno, continuano a ripetermi:

“Guarda quel castello?”

Ed io: “Non lo vedo”.

Loro: “È Tuo”.

Allora io: “Ah grazie, ma io continuo a non vederlo.”

Quindi insistono: “Da oggi quel castello è tuo con tutto ciò che ci sta intorno e dentro. Ma devi credermi.”

Io ringrazio, ma continuo a non vedere un ‘accidente, sarà il caldo, ma io non vedo nulla.

E andiamo così avanti da anni, ma ve lo giuro, mi sarò lavata la faccia un mare di volte, avrò cambiato non so quanti occhiali, mi sono pure rifatto la visita oculistica ma io non vedo nulla.

E voi mi direte: “Sei preoccupato?”

Si sono preoccupato, ma non perché non vedo nulla, ma perché attorno a me c’è gente invasata che vede il castello “vede la luce”. Ora dico, potrà essere tutto frutto di una allucinazione collettiva o c’è chi ci sta prendendo per i fondelli e recita?

Non vi viene il dubbio che come il gioco delle “tre carte” siamo attorniati da “compari” di chi muove le “tre tazze”?

Tanta sveltezza di mani. Tanta rapidità di pensiero, ma può essere che si sbagli sempre nel puntare? Non può darsi che tra il “rosso e il nero qualche volta esca pure lo zero”?

E molto raro, ma sarebbero “cazzi”.

Il pallone è avvelenato, la terra dei fuochi è avvelenata, la magistratura è avvelenata.

Questa è l’epoca del grande inganno. Ma anche se si volesse. Come si potrebbe accontentare tutti se non attraverso una illusione, una visione di una realtà che non esiste se non nella testa del pensatore?

Truccare il tutto, tirare una linea e poi richiuderla su sé stessa per creare un cerchio.

Oggi sembra tutto più difficile e ciò grazie anche alla circostanza che i popoli occidentaliabbiano fatto di tutto per non creare disastrosi conflitti mondiali come quelli della prima parte del secolo scorso o alla sconfitta di quelle grandi pandemie che decimavano le popolazioni e ri-immischiavano le carte periodicamente.

Siamo in molti, siamo stretti perché interpretiamo male il concetto di densità e basta soltanto la mattina avere l’ardire di dare il buongiorno al nostro vicino per sentirsi mandato a fanculo.

Siamo nervosi insofferenti, ma siamo ubriachi perché diminuiscono le prospettive di lavoro, chiudono i negozi e sorgono le taverne e così le grandi vie chiuse sono luoghi dove andare ad annegare e dimenticare le nostre sconfitte, il padre accanto al figlio e malgrado ci sforziamo di sembrare diversi non avremo neanche compreso il modo disciplinato nordico di bere nel fine settimana per poter tornare efficiente il lunedì mattina a produrre.

Non possiamo costruire moderni colossei anche se i nuovi stadi gli somiglino, ma gli spettacoli seppur cruenti sono ancora distanti dal modello imperiale.

E intanto beviamo, ubriachiamoci e la mattina in dormiveglia sentiremo i versi degli innumerevoli gabbiani che ci fanno sognare di esser cittadini nordici di una meravigliosa isola.

Non so se dare ragione al mio collega Murphy ma io per il momento, fin quando c’è vino sorrido e mi ubriaco cercando allegria, cercando “a cuntintizza” e non dispiacere nessuno.

Sarà l’effetto del vino ma vi volevo rassicurare, adesso il castello lo vedo anche io.

Un abbraccio, Epruno

Galeotto fu messere consigliere e la sua donna

Se non fosse successo, quella domenica in spiaggia e non avessi subito quel torto, se non avessi provato quella condizione di impotenza davanti all’autorità che si fa giustizia privata utilizzando il suo ruolo (seppur piccolo nella scala gerarchica) Epruno non sarebbe esistito.

Quella immeritata multa sul parabrezza del ciclomotore, mi lasciò pieno di rabbia e impotenza, malgrado la solidarietà e il disagio di chi era costretto ad operare, come i VVUU chiamati appositamente dal “Solerte Consigliere” di quartiere che vedeva impedita alla sua strabordante signora di espandersi nello spazio urbano per transitare con la propria carrozzella con bambino, in un posto penalizzato dalla mancanza di regolari parcheggi e per lo più in mano a indisturbati posteggiatori abusivi.

Capii che affidare le mie esternazioni al quotidiano locale sarebbe stata una perdita di tempo, figuratevi il giornale locale che avesse scelto di parteggiare per me e allora decisi di fondare un appuntamento settimanale chiamato Epruno, attraverso una mail list di 500 utenti per una ridotta e selezionata classe di “autorevolezze mentali”.

Il primo editoriale di protesta fu una vera e propria ode intitolata “Tu solerte consigliere”.

L’unico ricordo oltre “l’ode” di quell’episodio è conservato nella ricevuta di pagamento di quella multa, appesa nella bacheca del mio studio a futura memoria delle ingiustizie e della nostra facoltà di ribellione.

Sì, dovetti pagare lo stesso quella multa in un periodo in cui avrei voluto farne a meno, ma come spesso mi è capitato di costatare in questi anni, anche del “solerte consigliere” non ne è rimasta traccia, dopo aver vissuto un momento di gloria che probabilmente tocco l’apice in quella retata di motorini di ragazzi e di gente che dopo una difficile settimana di lavoro, avrebbe voluto godersi quattro ore di meritato riposo e non a caro prezzo.

La soverchieria e prepotenza esercitata da certi “personaggiucoli” che per un attimo vedono il sole prima di ritornare nel “cato” è una cosa che mi dava estremamente fastidio.

Pertanto come tanti italiani anche io decisi di affidare i miei pensieri a un foglio (seppur virtuale), per mitigare incazzature o per elaborare dispiaceri, decidendo anche di denunciare ove possibile attraverso l’ironia convinto che questa rappresentasse l’asticella oltre la quale gli idioti non riescono ad arrivare.

Pensavo che un ventennio di picconature potevano sorbire il loro effetto e invece siamo ancora qui a fare gli stessi discorsi, meravigliato dalla circostanza che questa continua lamentela dell’uomo qualunque non avrebbe portato alcun effetto.

Mi sono chiesto anche se la causa di tutto ciò potesse addebitarsi ai nostri leader, ma ciò sarebbe stata una falsa giustificazione da talk-show e non intellettualmente onesta. Cosa volete che siano gli effetti di una sindacatura della stessa persona perpetratasi per 19 anni, se non la naturale costruzione di una nuova aristocrazia come tante altre prima, poiché non dobbiamo dimenticarci che i politici sono il nostro specchio e vivono di consensi, ma questi consensi li diamo noi da sempre abituati alle monarchie per volere divino o solamente democraticamente elette e quindi un sindaco o un altro che differenza avrebbe fatto?

Una cosa è certa, se la maggioranza delle persone stesse male o fosse arrivata al limite di saturazione certamente avremmo fatto tutto per sovvertire lo stato delle cose, qualunque esso sia.

Appare evidente che tutti ci si lamenta di qualche cosa poiché lamentarsi è diventato uno sport nazionale e a poco prezzo, pertanto in fondo ci lamentiamo o ci beiamo di ciò che ci viene raccontato, spesso frutto di una realtà e a volte soltanto frutto di una accurata propaganda e poi la sera andiamo a dormire tranquilli.

In fondo, ognuno di noi trova il suo giusto compenso (no per favore non sentitevi offesi, ma fatevi prima un sereno esame di coscienza).

Siamo molto ipocriti, contestiamo il più delle volte perché non siamo riusciti ad ottenere, perché ci sentiamo trascurati e messi da parte, perché qualcuno ci ha sottovalutato, ma sono certo che non appena troviamo l’amico dell’amico pronto ad aiutarci ad avere anche noi la nostra briciola, a prestare attenzione alle nostre istanze, anche se ciò avrebbe comportato il danneggiare altri, sono certo che qualunque nostra perplessità nei confronti di chi ci regna sopra, cadrebbe.

Ammettiamolo, in molti non si vendono perché nessuno li compra, o perché sono andati fuori listino.

Quanti Don Chisciotte da strapazzo con l’etichetta attaccata sulla giacca una volta ottenuto l’osso decidono di vivere tranquillamente sotto la benevolenza del sistema, votando e dormendo. Un abbraccio

Amore e odio

Carissimi,

Ci siamo lasciati alle spalle l’ennesima campagna elettorale, quel frastuono mediatico di liti pari soltanto a quello messo in atto dai venditori concorrenti, con le loro urla, ai mercati generali.

Noi compratori, come sempre non abbiamo tutti trovato l’offerta soddisfacente alle nostre esigenze. Si parlava e si votava per l’Europa ma come sempre in molti sono rimasti a casa, senza far valer quel prezioso diritto frutto di conquiste che è il voto.

Molti pensano sia addebitabile o alla scarsa qualità dell’offerta (parafrasando gli ormai mitici scaffali vuoti della foto di Zingaretti e Gentiloni, al giungere dei primi exit poll), dovuta all’assenza di prodotti interessanti come avveniva nei tristi espositori dei “Magazzini GUM” moscoviti.

Ma per riallacciarci a quegli scaffali della foto e confrontandoli con pari foto del “post” di Salvini (anche io in settimana ho subito fatto le mie osservazioni su FB), mi sono fatto la mia idea di come va l’Italia adesso e soprattutto dove sta andando, verso quali strade impervie o semplicemente deserte in pieno deserto mentale.

L’idealizzazione che facciamo della cosa pubblica e della politica ci porta a dimenticare che essa si base sugli uomini, sempre uguali dai tempi di Caino e Abele, sempre meno filosofi e più legati al concetto di roba, di prestigio individuale e di potere.

Difronte loro come sempre le masse, il gregge che cerca un pastore, il popolo del Photoshop che riempie le foto delle piazze.

In una pubblica amministrazione per far scorre il tempo tra una nomina e l’altra, tra un mandato e l’altro, quando mancano le risorse, sia economiche che mentali, chi afferra la poltrona, le sedie, gli sgabelli, strapuntini organizza con alternanza e ciclicità, un rimpasto, una rotazione dei vertici e un trasloco delle sedi, tanto nelle more la colpa dei danni o dell’immobilismo può sempre attribuirsi a chi c’è stato prima.

In politica si è ancora più sottili e quando non si hanno più argomenti e ideologie per creare militanze, si va a caccia di simboli e di situazioni per poter attrarre e compattare consensi. Una volta erano i grandi temi tipo la pace nel mondo, rimasta oggi soltanto aspirazione per le candidate di miss Italia, o l’ambiente.

 

Oggi cerchiamo simboli e temi che ci possano dividere e successivamente compattare negli schieramenti, così alla pace nel mondo sostituiamo la paura per “l’uomo nero”, sia esso venuto da fuori, dal mare con i suoi misteri per invaderci e rubarci la nostra spazzatura, sia interno interpretato da sparuti nostalgici lettori di libri di storia ai quali avevano strappato le ultime pagine. L’ambiente e sostituita da Greta la bimba “cu viecchiu dintra” così profonda e lungimirante, essenziale a volte quasi banale ma a tal punto da sconfessare i decennali simposi dei professoroni sulla materia.

Così facendo, continuando a parlarci sopra, gli scaffali delle nostre librerie saccenti, sono rimaste vuote e piene solo della nostra auto-referenzialità, della nostra autostima e auto-proclamazione del vero e giusto, mentre gli scaffali di chi non stimiamo, di chi disprezziamo, del non noi, si sono riempite di “strucchioli“, di simboli, di libri eterogenei a volte impresentabili, di foto ridicole, di poster datati ma tutto quanto sopra frutto di vite vissute tra la gente, sui marciapiedi, frutto di vite non brillanti a volte perdenti, di chi si guarda bene ad auto-incenziarsi per paura di non saper mettere due congiuntivi insieme, insomma frutto della vita reale.

Secondo voi, la massa con quanto detto sopra verso dove va?

Io mi “addanno” nel costatare come le intelligenze non riescano a fare sistema per risollevare questo paese, ma si dividono su vecchi schemi, non si fa tesoro dei propri errori, si demonizza l’avversario invece ascoltarlo e contrastarlo in una leale dialettica di contenuti. Leggo sul web ed inorridisco da cattolico cristiano a pensare su come si possa trovare nel nostro cuore il giusto animo per sensibilizzarsi verso il migrante straniero che giunge da fuori e del quale non conosciamo né la genesi né la propria storia e con lo stesso cuore arriviamo ad augurare il male, uccidendo con parole affilate i nostri avversari, fino anche in alcuni casi “idioti ed estremi”, augurarne la morte e si potrebbero fare esempi a parti inverse. Con lo stesso cuore, siamo in grado di sviluppare sentimenti contemporanei di “amore e odio”.

Un abbraccio, Epruno

Per chi forse ha già dimenticato

Carissimi, quante volte di questi tempi avrei voluto scrivergli questa lettera.

“Dottore questa volta non ce l’ho fatta, non ho fatto storie, non ho permesso a loro di attaccarmi le lunghe maniche bianche dietro la schiena, non ho voluto fare il “bastian contrario” come sempre e ho preso la loro medicina. A che serviva ancora dire che non era giusto? E poi a chi? In quanti siamo rimasti? Mi sono dovuto prostrare come tutti, mi sono dovuto distrarre, avrei dovuto imparare ad essere più ipocrita, mi sarebbe bastato vendere il mio intelletto. Avrei provato ancora fastidio nell’incrociare lo sguardo di coloro che avrebbero per l’ennesima volta usato “una pesante memoria” per perpetrare la propria sopravvivenza.

Dottore no, non ce l’ho fatta, mi sarebbero tornate ancora in mente le tante parole dette su chi non si era mai conosciuto, le tante lacrime da coccodrillo di chi allora era infastidito da tante sirene al Suo passaggio e premonendo un atto tragico chiedeva il concentramento dei magistrati all’interno di una caserma.

Mi sarei dovuto chiedere dove sono coloro che brindarono in ambienti privati e dove sono i loro figli, i loro nipoti e soprattutto sapere oggi da che parte stavano.

Mi avrebbe dato fastidio stare in mezzo a chi a tutti i costi avrebbe voluto immischiare le carte, mistificare i ricordi pur di presentarsi come soluzione dei problemi da lui creati.

Dottore no, non ce l’ho fatta, perché io sono cresciuto avendo di Lei un ricordo superficiale (come tutti quelli che hanno vissuto nel suo stesso periodo), di un servitore dello stato, tra i primi ad aver bisogno di una scorta, fin quando il suo sacrificio nella ricerca di verità e giustizia non l’ha trasformato in un simbolo, un esempio di una terra che poteva cambiare.

Avrei perso tempo a nausearmi nel cercare di identificare chi erano e a chi appartenevano prima di essere lindi e redenti sacerdoti della memoria, tutti coloro che non essendoci, oggi a differenza di me, ricordavano tante cose.

Dottore no, non ce l’ho fatta, perché ho provato angoscia nel pensare che quel cratere nella nostra memoria era stato chiuso digerendo la verità e che le cose avrebbero ripreso a funzionare come sempre, come prima, peggio di prima, dimostrando di non aver imparato nulla dalla grande eredità lasciata.

Ho seguito i giovani per scoprire quali padri avessero avuto, fin quando non ho scoperto quali padri avrebbero voluto avere e sono rimasto deluso.
Non volevo vedere chi fomenta l’odio e la divisione, non volevo accettare l’idea di chi ha scambiato la Sua tragedia per un “ammortizzatore sociale”, a giovamento di coloro che organizzano eventi e cercano ribalte stimolando esigue vene artistica, narrando anche le memorie intime che per rispetto non andavano toccate.

Dottore no, non ce l’ho fatta, oggi davanti a tanto cinismo, davanti a tanta divisione, davanti alle non sopite nefandezze che sembrano andare controtendenza ai valori da Lei trasmessi, dando la sensazione di aver dimenticato il tutto, ho avuto la sensazione di non potere più distinguere chi sono i buoni e chi sono i cattivi.

Ancora peggio, il solo sospetto che i cattivi si siano riciclati appropriandosi dei valori e degli strumenti dei buoni, mi ha tagliato le gambe dandomi la personale riprova che l’aver veicolato i Suoi contenuti attraverso queste “grandi celebrazioni” ha perso di efficacia, e pertanto mi sono arreso, … non ce l’ho fatta, non ho opposto resistenza, ho preso le loro medicine e mi sono addormentato come tanti, finalmente.”

Ci sono giornate che restano impresse nella nostra memoria come quel sabato ….
In questi anni ho deciso “per non dimenticare” di dedicare una preghiera, poiché non avendo mai elaborato un lutto così grosso, avrei voluto come tanti veramente capire non il perché, ma come tutto ciò fosse potuto accadere.

Un abbraccio, Epruno

Ho Rivalutato la Dea Eupalla

Carissimi
Mi conoscete ormai per il modo libero con il quale espongo ironicamente ciò che seriamente penso.
Questa settimana i miei contatti sui social mi hanno visto molto partecipe delle vicende legate alla sorte della squadra di calcio della mia città dando l’impressione più di essere un contradaiolo che un pacifico e tranquillo ingegnere che periodicamente si passa il tempo.

Si è vero, non ci posso fare nulla, dove c’è una disputa io devo necessariamente prendere posizione, ma essendo cresciuto avendo visto giocare Gianni Rivera (seppur attraverso una TV in B/N) non potevo non aver timore a contestare lo status quo quando questo palesemente genera ingiustizia e angherie.

Questa settimana attraverso la vicenda del Palermo ho scoperto una cosa interessantissima. Da sempre affermiamo che il mondo del calcio rispecchia i mali della società e giustifichiamo le cose che in esso accadono come specchio di quanto giornalmente si verifica negli ambienti di vita dai quali provengono gli stessi utenti dello stadio.

Ciò è ormai assodato e non fa una grinza, ma mentre tentavo di scrivere o di rispondere a commenti pubblicati, a poco a poco mi sono reso conto che queste parole finivano per esser stereotipate, questi pensieri finivano per esser tutti gli stessi anche tra persone che pur non avendo alcun contatto diretto finivano per leggersi in commenti altrui.

Un’altra cosa che certamente mi ha meravigliato era la padronanza nell’uso intercalante di termini inglesi quali “closing”, “Advisor”, “information”, “incoming”, “team-Management”, “slide”, “governance”, “holding”, “asset” e tanti altri ancora nelle discussioni tra soggetti che seppur degni della mia simpatia e affetto, (vi posso assicurare conoscendoli da tempo) i più intellettuali avevano per inerzia raggiunto il diploma di terza media una volta diventati maggiorenni, avendo ripetuto tre volte ogni classe delle secondarie obbligatorie e in più come lingua stranierà parlavano appena l’italiano con qualche difficoltà.

Eppure, il calcio aveva fatto questo miracolo. Ma credetemi, quello che è risultato straordinario è stato il sentire parlare chiunque con piena comprensione, di “conflitto d’interesse”. Eminenti politici di sinistra si sono battuti negli anni per spiegare agli Italiani che cosa significasse “conflitto d’interesse” identificando i ruoli contemporanei ricoperti dallo Zio Silvio, cercando di fare capire la paura che una posizione di potere interessata inserita all’interno del gruppo di garanzia, poteva creare delle situazioni d’ingiustizia mettendo nelle condizioni l’uomo di potere di trovarsi in alcune vicende nel ruolo di “controllore e controllato”, ma ricorderete che alla gente (come si dice a Roma) “non poté fregà de meno” tanto che più si parlava di questa anomalia, più crescevano i consensi per il Cavaliere.

Oggi per miracolo anche il posteggiatore “regolarmente abusivo e con la manifesta benevolenza dell’amministrazione” mi chiedeva l’altra mattina: “Dottore lei che ne pensa di questo conflitto d’interesse nel Consiglio Federale di Lega di Serie B? Certo un po’ di cornuti ci devono essere, come si fa ad essere giudicati dal presidente della stessa squadra che se il Palermo va in C, fa i playoff?”.

L’omino era avvilito per tanta ingiustizia (dal suo punto di vista), ma aveva toccato con mano (ritenendosi vittima) il significato e il danno arrecato da un “conflitto d’interesse”, per lui che fino a quel momento “l’interesse” alla parola “conflitto” era da sempre legata al concetto di “conflitto a fuoco”, di “mettere mano al ferro” o di doversela dare a gambe per “salvamento di vita”.

Eh sì, non vi nascondo la pelle d’oca che mi venne quando il fugace colloquio toccò l’apoteosi all’affermazione del posteggiatore: “È che dovessimo fare tutti una class- action!

Perdonatemi, non mi sono potuto tenere ma a quel punto mi venne spontaneo affermare con tutti i sentimenti l’espressione universale, generica, palermitana a mò di meraviglia: “Minchia!”

Avevo capito tutto, proprio mentre attorno “al cadavere” (la squadra) si “arricampavano” costernati i vips ed i politici di ogni razza, quelli per intendere che non intervengono preliminarmente per aiutarti a far sì che certe cose non avvengano, ma giungono nell’istante in cui non c’è più niente da fare se non raccogliere visibilità personale.

Avevo capito che non avrei dovuto più dispiacermi per ciò che inevitabilmente sarebbe accaduto (perché già deciso) ma al contrario avrei dovuto gioire del fatto che ribaltando la comunicazione, da oggi attraverso questo “pallone marcio”, si sarebbe potuto spiegare a tutti, anche al più ignorante, il senso civico, cosa significa giustizia e cosa significa fare le cose con serietà e allora nulla ancora per questa nostra società civile era perso.

Un abbraccio, Epruno

Una Mattina Diversa

Carissimi
erano quasi le ore 20.00 quando al mio congestionato telefonino mi giunse una telefonata da un numero al quale non potevo non rispondere.
La voce era quella del segretario particolare del segretario del grande capo. Premesso che lavorando per la pubblica amministrazione il grande capo dura mediamente cinque anni, riconfermabili per altri cinque, ma il segretario del segretario finisci per conoscerlo perché mediamente è un collega che conosci magari da anni e che è finito per rientrare nel cerchio magico di chi governa ed anche se non hai alcuna aderenza politica, attraverso lui puoi far giungere le tue istanze in alto.

Costui a telefono mi dice: “guarda che la riunione prevista domani per le 10.00 al ‘palazzo x’ è stata anticipata per concomitanti impegni del capo a ‘palazzo y’ alle 8.30”. La mia risposta fu quella più spontanea, ricordati che io non ho auto d’ufficio a disposizione e mi muovo con il mio scooter e arrivare fin lì, non sarà semplice.

La sua risposta fu tra il divertito e il rassicurante: “Non ti preoccupare, domani è la giornata per l’abolizione delle auto blu e il capo ha disposto che tutti, lui compreso, senza eccezioni, si vada a lavoro con mezzi propri”.

Mi avessero detto che quest’anno straordinariamente ci fossero stati due feste di Natale, penso che sarei stato meno contento, finalmente chi era preposto a creare tutti i provvedimenti per il traffico, chi doveva curare le manutenzioni delle strade, per una volta almeno avrebbe constatato personalmente ciò di cui noi scuteristi e “pedonisti” ci lamentavamo da anni.

Pazienza, misi la sveglia alle 5.30 ma alle 8.30 ero presente nella sala riunione, con il bel tavolo di rappresentanza di “palazzo y”. Giunto lì, un usciere in divisa impeccabile mi accolse e mi disse: “Dott. Se vuole entrare è il primo, ancora non è arrivato nessuno”.

Entrai, mi sedetti e attesi. Dopo mezz’ora l’usciere imbarazzato mi disse: “strano, ci sarà traffico, magari una manifestazione …” Io nell’ascoltare ciò “tistiavo” e sorridevo sotto i baffi che non ho e nel frattempo passò anche un’altra mezzora. Era passato un’ora e mezza quando giunse il dirigente capo dell’ufficio intelligenze artificiose tutto sudato che faceva come un pazzo e mi disse: “ho dovuto fare il periplo della città perché non potevo utilizzare il pass per le corsie preferenziali e le zone ztl e ho dovuto lasciare la macchina dove perse le scarpe il signore” e io “tistiavo”.

Del capo e del suo staff ancora nessuna notizia, ma dopo un quarto d’ora giunse il dirigente capo dell’ufficio complicazioni affari semplici che nello scusarsi disse: “ho dovuto prendere tre mezzi pubblici, ma purtroppo da dove abito io la metro è lontana e poi fa una corsa ogni ora, il tram è lontano, l’autobus più vicino passa una volta ogni morte di Papa” e si sedette e io “tistiavo”.

Passò un altro quarto d’ora e percepii il brusio degli uscieri che a voce bassa sorridevano raccontandosi la notizia che il dirigente commissario per i provvedimenti straordinari del traffico era in stato di fermo, dopo aver tentato di superare con la sua auto un varco nella “zona proibita” all’urlo di “Lei non sa chi sono io” e io “tistiavo”.

Alle ore 12.00 seguito dal solito codazzo arrivo il grande capo, tutto sudato, pantaloni strappati, una fascia al collo che reggeva il braccio sinistro ingessato o inserito in un tutore che andava urlando “voglio sapere chi è il responsabile, mi sono permesso di prendere la moto per venire in questa riunione e dopo aver evitato tante buche, giunto nella via Roma, la mia ruota di davanti si è inserita in una sorta di canalone subdolo presente nell’asfalto facendomi perdere l’equilibrio e cadere” per un attimo incrocio il mio sguardo e “tistianno” dissi “ahhhhhhh”!

Peccato che la sveglia che suonava mi ricordò di alzarmi e fare presto perché alle 10.00 avevo una riunione del comitato per discutere quali problemi inventarci in base alle soluzioni che avevamo, come sempre era stato un sogno.

Un abbraccio, Epruno

Avido d’informazioni non faziose

Carissimi,

il 3 Maggio si è celebrata la giornata mondiale della “libertà di stampa”. Grande diritto, grande conquista che in un mondo “democratico” dovrebbe sembrare una cosa scontata e invece… Vediamo spesso come il tradizionale mestiere del giornalismo viene spesso soppiantato da quello “dell’opinionista presenzialista” in TV e sui media snaturando di fatto quello della professione basata sulle mitiche “5 W”, del giornalista che va a caccia della notizia e la espone, ma non la commenta, non dà la sua opinione, lasciando agli altri il compito di farsi una opinione su quanto da lui descritto sulla base del “chi, come, dove, quando e perché” (le 5 W in inglese), ma non è previsto un “che ne penso”, perché questo già sarebbe un altro mestiere.

Oggi si rischia di far passare la notizia in secondo piano, addirittura costruendola ad arte con “fake” (falsi) poiché diventa più importante il commentare e il veicolare l’opinione che l’attendibilità della fonte.

C’è chi è convinto che quanto sopra sia conseguenza della conquista democratica dei social, dove chiunque può dire la propria senza intermediazione, tanto che è sempre più frequente la possibilità di avere notizie non soltanto dai giornalisti o dagli addetti stampa, ma direttamente dai soggetti interessati attraverso l’immediatezza della pubblicazione di un Twitter.

Ma ciò non mi convince pienamente, penso che anche qui dobbiamo stare attenti a chi governa e gestisce i social, agli amministratori delle reti, visto che la casualità e la proposizione di attenzioni da parte di un contatto o di un altro non mi sembra soltanto frutto di un algoritmo matematico.
Chi scegli le notizie? Provate a guardare più notiziari, con linee editoriali diverse e se ne siete capaci, provate ad inserire qualche notiziario straniero a confronto.

Può essere mai che in Italia arrivino solo migranti, stuprino le donne, si seguano le vicende giudiziarie degli efferati delitti per anni e soprattutto ci si chieda quando litigheranno “Gigino e Gigetto”? Non accade nulla di altro? Ma siamo veramente un paese perso? Noi che ci reputiamo figli della globalità, ad esempio, quanto spazio dedichiamo all’informazione estera, la politica estera che non sia soltanto la critica giornaliera a Bruxelles che ci bacchetta sovente per la nostra vita da cicale?

In più, non ci sono cose belle o notizie che accadono senza che la politica abbia la sua influenza in ciò? I notiziari oltre che a rendere noti i vari paesi per esser stati sede di delitti e nefandezze ci aiuta a farci reciprocamente conoscere presentando le cose belle del nostro territorio e la brava gente che porta avanti le loro tradizioni? Aiutano a far conoscere ed accettare le reciproche differenze che esistono tra di noi, in una nazione più lunga che larga.

Provate a guardare un notiziario straniero, anche europeo, non vi dico che pure i nostri dovrebbero fare i servizi sul premio per il balcone più fiorito (anche se personalmente non mi dispiacerebbe), ma guardate quanto spazio viene dedicato alla cronaca nera che se paragonato ai nostri, ne verrebbe fuori un paese in pieno far west di metà ottocento. Ma anche la scelta dei personaggi su cui porre l’attenzione, provate a trovare un notiziario straniero dove i magistrati, non appena giunti su una scena del crimine (insieme agli avvocati) diventano star televisive rilasciando interviste.

No, continuo ancora a dire, non siamo un Paese serio, siamo di contro sempre stati un paese dove ognuno fa il mestiere che non gli compete.
Certo non soltanto ognuno dovrebbe fare almeno il proprio mestiere ma poi sarebbe auspicabile che lo facesse bene.

Nessuno dovrebbe utilizzare il proprio titolo, la propria professione, il proprio ruolo per avvantaggiare, indirizzare o favorire qualcuno. Quando chi fa informazione non riesce a mettere da parte per un momento il suo orientamento politico, religioso o sessuale, non fa un buon servizio alla verità che dovrebbe stare sempre alla base dell’informazione ma diventando fazioso e alla lunga poco credibile, si allontana per sempre da quelle “5 W” care finanche a Clarke Gable e Doris Day nel mitico film “10 in Amore”.

Un abbraccio, Epruno

Tutta colpa di Vitruvio

Carissimi,

nella mia agognata ricerca di “normalità” come unico parametro “dell’essere bene” in questa società, mi sono cercato il posto dove fuggire per ritrovare tale serenità visto che qui si continua a fare discorsi persi, a vendere la Fontana di Trevi al Peciocavallo di turno e soprattutto a vendere una realtà che non esiste e promettere un fantastico e meraviglioso futuro, invitandomi nel frattempo a passeggiare tra le nuove “taverne”.

Si, l’alcol potrebbe essere al pari della realtà virtuale una via di fuga, ma io non voglio fuggire dalla realtà, voglio fuggire direttamente dai luoghi, una volta resomi conto che per il tempo che mi rimarrà da vivere staremo qui a fare chiacchiere con il “piazzista di turno”, staremo qui a gridarci “se lei mi fa parlare continuo il concetto”, ma rimarremo lontani dalle soluzioni che ci potrebbero garantire una semplice “normalità”.

E dire che di scienziati ce ne sono, “basta guardare i loro curricula e le loro lauree per corrispondenza” e che dire delle generazioni pronte in batteria, figli dei figli ma come direbbe Epruno nel suo postulato: “dietro un figlio testa di c… c’è un padre testa di c…”.

Allora nell’attesa di ritornare a casa e riportare il mio “sangue normanno” nei luoghi d’origine, dove riposare per sempre, quando posso viaggio e mi guardo intorno poiché non ho mai avuto il complesso del “cato”, quello stagno dove crogiolarmi e dire e tutto sotto controllo perché è mio.

Però mi posso incacchiare se leggo in un menu di una catena internazionale pizza mafia? No, se poi organizzo tour e visite guidate in casa mia per i turisti internazionali sui “luoghi della mafia”. Ho reverenza e pudore nel pronunciare invano i nomi degli Eroi, i veri Dottori, coloro che con il sacrificio di sé stessi per perseguire giustizia e di conseguenza quella “normalità” di cui parlavo, mi hanno lasciato nel cuore forti emozioni e grandi insegnamenti.

Io non posso aspettare, mi dispiace e non solo ho il dovere di ambire alla “normalità” ma nelle more di conoscerla, lì, dove la gente fa meno chiacchiere ed è più comunità.

Lo so, mi farò del male, sapendo già della sofferenza personale nel momento in cui ritornerò e mi chiederò perché?

Non mi devo chiedere perché fuori lo spazzino pulisce tutte le strade, un esempio di normalità e qui c’è sempre una “marziana scusante” per cui ciò non può avvenire.

Non mi devo chiedere perché fuori ho una metropolitana e servizi di superficie (treni, tram, autobus, taxi, battelli …idrovolanti) che mi portano da qualunque parte, in qualunque momento e in poco tempo, perché è normale, mentre qui ciò non può avvenire con l’ennesima “scusante marziana”.

Non mi devo chiedere perché lì le auto possano arrivare dove vogliono, trovando parcheggio a pagamento e le isole pedonali sono “isole attrezzate” e qui ho un bollo di circolazione, un pass per attraversare e pass per posteggiare in zone blu e l’unica cosa che hanno in comune con “lì fuori” è il pagamento.

Mi sono ridotto a fotografare questi episodi di “normalità” più che i monumenti e le bellezze panoramiche, poiché per me oggi è questo che mi meraviglia e voglio testimoniare per raccontarlo.

Di contro ormai (questo forse è l’unico neo delle metropoli), provo da esteta e cultore del bello un certo “sussulto” nel vedere rovinate quelle belle viste da fotografia paesaggistica o monumentale, dalla tarchiata e sformata e a volte anche brutta famigliola che viene “dal buco del mondo”. Si anche questo fa parte della maledizione di Steve Jobs che ha dotato il mondo intero di iPhone che permette a tutti di posare togliendo la visuale agli altri davanti a qualcosa che neanche loro sanno cosa cavolo sia, che storia abbia, ma che sarà importante immortalare affinché tornando a casa possa dirsi: “non so che ca… fosse, so soltanto che c’era tantissima gente e pure noi”.

E così tanta bellezza, tanta ricerca delle proporzioni vitruviane finirà mortificata e dimenticata, insieme all’omone con i baffi scuri, il chador o la pelle gialla dell’orientale, nella sua SIM card battezzata: “Viaggio in Europa in sette giorni”.

Un abbraccio, Epruno