«Ehi, Mr. Lennon!», gridò il ragazzo richiamando la sua attenzione, prima di sparargli contro cinque colpi di pistola. Lennon ebbe appena il tempo di fare ancora qualche passo mormorando «I was shot…» “Mi hanno sparato”. Chi glielo portava a Mark David, questo era il nome del ragazzo, ex guardia giurata, con un passato complicato alle spalle da tossicodipendente, a sparare addirittura a John Lennon? Qualcuno dice la lettura di “Il giovane Holden” e il modello del protagonista Holden Caulfield, tanto da fargli affermare: « Sono sicuro che una grossa parte di me sia Holden Caulfield protagonista del libro di Salinger “Il giovane Holden” e una piccola parte di me deve essere il diavolo »
Una cosa era certa: “non stava bene!” Fun dei Beatles e di Lennon in particolare, arrivò a sposare nel 1979 una donna americana di origine giapponese – Gloria Hiroko Abe che gli ricordava Yoko Ono. Col tempo si convinse che Lennon aveva tradito gli ideali della sua generazione e si sentì investito della missione di punirlo.
Gli fu chiesto qualche tempo dopo: “ma perché proprio lui?” Egli rispose: «attraverso le lenti della malattia, mi sembrò l’unico modo per liberarmi dalla depressione cosmica che mi avvolgeva. Ero un nulla totale e il mio unico modo per diventare qualcuno era uccidere l’uomo più famoso del mondo, Lennon» …… «A otto anni ammiravo già i Beatles, come tanti altri ragazzini». Eppure qualcosa avrà pure fatto scattare la molla? «Mi sentivo tradito, ma a un livello puramente idealistico. Vagando per le biblioteche di Honolulu mi imbattei in John Lennon: One Day at the Time. Quel libro mi ferì perché mostrava un parassita che viveva la dolce vita in un elegante appartamento di New York.
Mi sembrava sbagliato che l’artefice di tutte quelle canzoni di pace, amore e fratellanza potesse essere tanto ricco. La cosa che mi faceva imbestialire di più era che lui avesse sfondato, mentre io no. Eravamo come due treni che correvano l’uno contro l’altro sullo stesso binario. Il suo “tutto” e il mio “nulla” hanno finito per scontrarsi frontalmente. Nella cieca rabbia e depressione di allora, quella era l’unica via d’uscita. L’unico modo per vedere la luce alla fine del tunnel era ucciderlo». Chapman si era già recato a New York un’altra volta, in passato, con l’obiettivo di uccidere Lennon, ma desistette dall’intento.
Fu così che l’8 dicembre 1980, Chapman si appostò davanti all’entrata della residenza di Lennon, il palazzo The Dakota in Central Park a Manhattan (New York City) e quando questi uscì gli strinse la mano e si fece firmare un autografo sulla copertina di Double Fantasy, ultimo album di Lennon. Mark rimase in attesa sul posto per altre quattro ore. Alle 22.52, vedendo Lennon rientrare insieme alla moglie Yoko Ono, Chapman lo chiamò, rivolgendosi a lui con un «Ehi, Mr. Lennon!», quindi gli esplose contro cinque colpi di pistola, quattro dei quali colpirono Lennon e uno di questi trapassò l’aorta, ma sono certo che nella mente di Lennon, prima di perdere i sensi, guardando Mark, passò questo pensiero:“You came out from the house to ruin me?”, cioè “niscisti da casa ppi cunsumari a mia?”
I primi poliziotti ad arrivare sul luogo del delitto si accorsero subito che le ferite riportate da Lennon erano molto serie, non potendo aspettare l’arrivo dell’ambulanza, decisero di caricare il corpo di Lennon nell’auto di servizio per condurlo al vicino Roosevelt Hospital, dove John Lennon fu dichiarato morto alle 23.07. Al momento dell’omicidio, Chapman aveva con sé una copia de Il giovane Holden. Dopo aver sparato, rimase impassibile sulla scena del crimine, tirò fuori la sua copia del libro e si mise a leggere fino all’arrivo della polizia. Il custode del Dakota Building, gridò a Chapman: «Lo sai che cosa hai fatto?», al che Chapman rispose con lucida freddezza: «Sì, ho appena sparato a John Lennon».