Carissimi
Ancor più di un ragazzino sognatore o di un adolescente, oppure di uno studente universitario sono qui a questa età matura a chiedermi ancora che ne sarà del mio futuro.
Proprio oggi, mentre tanti hanno smesso di lottare, mentre molti tirano le somme di vite giunte al capolinea lavorativo, detto pensione, non solo vedo personalmente ormai distante questo traguardo poiché non voglio aderire ad alcun compromesso morale (non vedo perché dovrei farlo proprio adesso), ma ho ancora sogni nel cassetto che potranno riempirmi questo stimato ultimo quarto (in piena facoltà mentale) di vita.
Guardandomi indietro trovo tante di quelle soddisfazioni, esperienze o delusioni, da riempire più vite, forse sette (come i gatti), ma sono ancorato molto nel presente e ciò credetemi condiziona tanto il mio umore poiché se c’è una cosa nel quale questo momento storico si caratterizza è proprio “l’indeterminatezza e il precariato”.
Mai come adesso la scarsezza (e/o assenza) di una classe dirigente, in un paese “non paese”, basato sull’arte dell’arrangiarsi e della sopravvivenza, dell’individualismo puro, dell’egoismo, della raccomandazione, delle scorciatoie rende per tutti, qualunque generazione, una vita di incertezze.
L’ho detto mille volte, non siamo un paese serio, ma ciò che fino ad oggi ci ha permesso di andare avanti, fin dal dopo guerra, è stata la capacità di saper sognare, di poter scommettere sul nostro futuro, di avere la speranza di poterci riuscire e di poter “scontare qualunque cambiale avessimo firmato per il nostro futuro”.