Io sono della generazione nella quale ancora si risuolavano le scarpe e pertanto era necessario avere a che fare con una figura ormai in estinzione, “il ciabattino”, al quale si portavano le scarpe buone da riparare e si dava inizio a frequenti pellegrinaggi dovuti a reiterati appuntamenti per il ritiro delle stesse che si concludevano tutti, tranne uno l’ultimo, con la risposta di rito: “Ancora un su pronti!” Credetemi era frustrante l’attesa ed altrettanto scoraggiante, quasi come una bocciatura, la risposta alla domanda: “Su pronti i scarpi?” Eppure ce ne facevamo una ragione e sapevamo attendere, e con l’esperienza imparavamo anche un trucco che avremmo riproposto in altre occasioni nella nostra vita, quello di sederci difronte al ciabattino, nella sua angusta bottega per fargli compagnia mentre lui metteva mani alle nostre scarpe, portando a compimento il lavoro, pur di sentirsi dire “Adesso su pronti!” Giovani, siete abituati troppo bene. Siete cresciuti nel culto dell’usa e getta. Siete cresciuti nell’epoca del “tutto pronto e subito”!
Oggi non siamo più abituati ad aspettare, ciò si manifesta nel lavoro, nei servizi, nelle offerte. Prima ad esempio, se desideravamo una cosa, mettev amo i soldi da parte ed una volta raccolta la cifra, compravamo quanto avevamo sognato, oggi portiamo via il prodotto subito e magari lo cominciamo a pagare in comode rate dopo 6 mesi. Figuratevi se di questi tempi, con gli ipermercati di calzature, un ciabattino avrebbe potuto far concorrenza con il suo costo per le riparazioni, e soprattutto con l’attesa per la consegna. Abbiamo guadagnato tempo, ma ci abbiamo perso in qualità, è ovvio che prima le scarpe venivano risuolate perché partivano da una struttura solida e consistente, oggi è la gomma e la plastica, la finta pelle ad aver soppiantato il tutto.
Oggi affidiamo i nostri piedi e come direbbe qualcuno, di conseguenza il nostro cervello a prodotti immediati, seriali, di scarsa qualità, pur di non sentirci dire “Ancora un su pronti”, pur di fare tutto ed in fretta, ma era in quell’attesa che di fatto sorseggiavamo la vita apprezzandone la qualità, fermandoci in quello sgabello ad ascoltare storie di altra gente, di altra umanità che come noi decideva di aspettare!