Quel giorno l’ascensore salendo non si fermo al piano prescelto, ma continuò a salire, salire, salire ….
E’ così che mi piace ricordarlo.
E’ così in maniera indolore che mi piace pensare alla sua uscita di scena.
L’assenza è un dolore molto forte, ma spesso l’assenza è legata ad un cambiamento, ad una mutazione, ad una crescita.
Siamo abituati ad assistere al deperimento delle cose, ma ci consola il fatto che si possa passare da una situazione ad un’altra soltanto dormendo, nel sonno, serenamente, per risvegliarsi in un’altra condizione.
Era stato un continuo riempimento di nozioni, tanti libri letti, tante storie ascoltate.
Era stata una continua costruzione di principi dettati da sagge filosofie che ci avevano preceduto.
Diventando grandi sentivamo la paura di confrontare il “Peter Pan” che era dentro di noi con la necessità di crescere che la società ci chiedeva.
Per far ciò attendevamo tutte le tappe naturali già percorse da chi ci aveva preceduto, permettendoci il lusso di esser stati figli o addirittura nipoti di altri uomini che erano stati costretti a crescere essendo ancora bambini.
Il peso della responsabilità sulle loro spalle non aveva nulla a che vedere con il peso che noi avremmo dovuto affrontare.
Fu così che non essendo cresciuti dopo il diploma, tentammo di crescere dopo la laurea, ma quel bimbo in noi rimaneva nascosto al buio in uno sgabuzzino, rannicchiato dalla paura di esser scoperto, fin quando ci rendemmo conto che quel bambino nascosto eravamo in molti ad averlo.
Allontanammo allora ulteriormente l’epoca delle grandi responsabilità, il matrimonio, i figli, ma anche allora ci ritrovammo ad essere coetanei di costoro, senza saperlo.
Poi venne il tempo dei dolori e provammo cosa significa la parola distacco quando ci rescissero le radici e capimmo per la prima volta cosa significasse l’assenza, aprendo quella porta.
Da rami diventammo radici per altri rami e scoprimmo che quel bimbo in noi rannicchiato per paura in quell’oscuro sgabuzino era sempre più malinconico ed iniziava anche lui ad avere i capelli bianchi.
Era un bimbo con i capelli bianchi pieno di delusioni poiché non ritrovava nei libri di favole che portava sempre con se, gli eroi che popolavano il mondo odierno.
Finchè un giorno aperto quel buio stanzino, trovammo a terra soltanto i libri delle favole ed allora corremmo per casa alla sua ricerca, ma del bimbo nessuno traccia.
Aprimmo la porta di casa e lo vedemmo lontano nel pianerottolo, era diventato più alto e ad un tratto si volto nei nostri riguardi e con un sorriso accennò un saluto con la mano, mentre stava per entrare nell’ascensore……………
3 Commenti al post "L’Ascensore"
Il tormento della crescita è in fondo il principio della vita di cui è anche fine.
Quando la lettura di dieci righe porta un brivido di emozione … lì è l’intensità del pensiero dell’Autore.
Ma l’ascensore può anche ridiscendere. All’apertura delle porte sta a noi la capacità di vedere che il suo occupante è ancora al suo posto. È vero, tutto si trasforma, ma finché ce n’è la voglia, niente di ciò che ci fa sentire vivi ci abbandona davvero.