Fernando Pessoa chiese gli occhiali e si addormentò
e quelli che scrivevano per lui lo lasciarono solo finalmente solo…
così la pioggia obliqua di Lisbona lo abbandonò
e finalmente la finì di fingere fogli di fare male ai fogli…
e la finì di mascherarsi dietro tanti nomi,
dimenticando Ophelia per cercare un senso che non c’è
e alla fine chiederle “scusa se ho lasciato le tue mani,
ma io dovevo solo scrivere, scrivere e scrivere di me…”
e le lettere d’amore, le lettere d’amore fanno solo ridere:
le lettere d’amore non sarebbero d’amore se non facessero ridere;
anch’io scrivevo un tempo lettere d’amore,
anch’io facevo ridere: le lettere d’amore
quando c’è l’amore, per forza fanno ridere.
E costruì un delirante universo senza amore,
dove tutte le cose hanno stanchezza di esistere e spalancato dolore.
Ma gli sfuggì che il senso delle stelle non è quello di un uomo,
e si rivide nella pena di quel brillare inutile, di quel brillare lontano…
e capì tardi che dentro quel negozio di tabaccheria
c’era più vita di quanta ce ne fosse in tutta la sua poesia;
e che invece di continuare a tormentarsi con un mondo assurdo
basterebbe toccare il corpo di una donna, rispondere a uno sguardo…
e scrivere d’amore, e scrivere d’amore, anche se si fa ridere;
anche quando la guardi,
anche mentre la perdi quello che conta è scrivere;
e non aver paura, non aver mai paura
di essere ridicoli: solo chi non ha scritto mai lettere d’amore fa veramente ridere.
Le lettere d’amore, le lettere d’amore, di un amore invisibile; le lettere d’amore
che avevo cominciato magari senza accorgermi;
le lettere d’amore che avevo immaginato,
ma mi facevan ridere magari fossi in tempo
per potertele scrivere…