Carissimi,

sono entrato questa mattina in un bar, ho chiesto cortesemente un caffè e mi è stato risposto: mi scusi ma ormai se ne parla dopo le elezioni. Preso dai turchi sono andato al supermercato a fare la spesa e giunto al banco salumeria chiedendo del prosciutto cotto, mi è stato risposto, siamo spiacenti ma se ne parla dopo le europee. Lo stesso dal benzinaio, tutto sembra essersi bloccato.

Può essere mai che un paese si blocca in vista delle prossime elezioni che tra l’atro sembrano non affascinare nessuno?

Ma cosa sono queste “europee” per le quali andremo a votare?

Sono forse la coltivazione di un sogno ancora incompiuto, di paesi diversi senza steccati fisici, ideologici e mentali? Abbiamo tutti lo stesso concetto di Europa unita?

Per me, ad esempio, l’Europa è stata sempre quella di giochi senza frontiere, quella di Guido Pancaldi, quella del “feel rouge” ma anche senza Schengen, disposta a giocare insieme e permettere ai giovani di paesi diversi di conoscersi, un po’ come un grande Erasmus ante litteram e anche se le frontiere fisiche c’erano ancora noi sognavamo dei giochi senza frontiere.

Io sono figlio dei tempi in cui “l’Europa” si chiamava CEE ed eravamo in sei, la Germania, la Francia, l’Italia, i Paesi Bassi, il Belgio e il Lussemburgo ed io passavo il mio tempo con la lente d’ingrandimento a cercare questo staterello nella cartina geografica e mi chiedevo ma che ci fa “un villaggio” seduto accanto a degli stati territorialmente più consistenti, poi compresi che i “panni” qualcuno li doveva lavare.

Fui contento quando giunsero nel 1973 la Danimarcal’Irlanda e soprattutto la Gran Bretagna, perché per me a quell’epoca la geografia era sinonimo di calcio e il football in Inghilterra era la terra del mito dei grandi campioni.

Mi sarei accontentato solo di ciò, ma poi nel 1981 giunse la Grecia, la cultura ellenica, italiani e greci, una faccia una razza, poi nel 1986 si sommarono il Portogallo e la Spagna e che fa gli dicevamo no? Dopo la Nina, la Pinta e la Santamaria con il Capitano Cristoforo Colombo parevano male e poi gli spagnoli erano stati secoli in Italia e molte delle nostre parole ci ricordavano nei dialetti la loro lingua.

Per finire nel 1995 convincemmo Finlandia e Svezia, la terra dei sogni e delle ragazze bionde con gli occhi blu, colore del mare e l’Austria, da impero diventata piccina dopo che aveva governato per più di “cinque giornate” Milano e il “Lombardo-Veneto” e poi lasciare quel “purtuso” al centro non era esteticamente bello e se non fosse stato per quegli “scucivoli” degli Svizzeri…

Io come al “sette e mezzo” mi sarei fermato qua, del resto vai a mettere d’accordo questi stati che per secoli si erano fatti la guerra e attraverso il commercio costruito un futuro di pace duraturo.

Ma decisero diversamente e nel 2004 e 2007 allargammo anche ai paesi dell’est.

Certo è una mia convinzione basata sulla simpatia e conoscenza storica che ho per l’Europa occidentale, più che per le culture slave, ma trovavo più funzionale quel tipo di comunità basata su aspetti di mercato, mantenendo all’interno dei confini le loro libertà che un ambizioso progetto politico che mettesse insieme realtà sideralmente diverse aspettandosi che decidessero all’unanimità.

Oggi la rinata egemonia imperialista russa ci rammenta di come fosse disegnata geograficamente l’Europa prima della caduta del muro di Berlino.

Non nascondo inoltre la grande delusione nel parlare di Europa senza Gran Bretagna, pur conoscendo la natura degli inglesi a differenziarsi sul tutto, la moneta, la guida, ma per chi come me aveva studiato inglese a scuola ed era cresciuto sui libri che raccontavano le tradizioni della terra di Albione, era stata una bella conquista poter visitare Londra senza necessariamente rinnovare il passaporto.

Pertanto, abbiamo bloccato qualunque decisione nell’attesa del voto ma sappiamo almeno su cosa andremo a votare e che importanza diamo a questa istituzione? Chiaramente guardando la qualità delle liste elettorali io qualche perplessità la conservo.

Da quando abbiamo creato il Parlamento europeo abbiamo interamente affidato a questo organismo tutte le norme di controllo che dovrebbero aiutarci a tenere il paese sulla retta via eliminando qualunque tentazione, indebitati fino all’osso come siamo.

Quindi il parlamento europeo non è più un cimitero di elefanti o un contentino per trombati, ma dovrebbe essere sede delle migliori menti, risorse umane e, secondo voi, lo hanno capito i vertici della politica italiana? O come sembra sarà l’ennesima occasione persa sacrificata alla continua necessità di contare consensi?

Un abbraccio, Epruno.