Carissimi,

“Nzu”! Suono quasi gutturale che usciva con una smorfia da chi quasi a significarvi che “nenti sacciu e nenti sapia” voleva chiudere al nascere qualunque tipo di conversazione e tu sapevi che anche se ti fossi perso era certamente giunto in Sicilia.

Quella era la terra dipinta come un eterno granaio con il suo giallo predominante, il frastuono delle cicale, il sole caliente, le donne con gli scialli neri oggi assimilabbili a “burqua succinti e peccaminosi” e gli uomini con la coppola che “picca parravanu”, le scritte sul muro che erano come tazebao occidentali che soppiantavano quelle di regime ancora visibili in qualche piccolo centro dell’entroterra inneggianti al “libro e al moschetto” e andavano oltre quelle centenarie del “curri quantu vuoi ca cca t’aspiettu” e da monito ancor più che subliminale ti rammentavano che “cu è orbu e surdu e taci, campa cent’anni in pace”!

Gioco, partita, incontro” diremmo oggi.

Invece oggi in Sicilia si parla, si parla tanto a volte si parla a sproposito a giudicare da quanto non solo rimane registrato grazie alle cimici che per fortuna (a seconda dei casi) non sono più quelle che infestavano i materassi, ma addirittura rimane per sempre nell’etere grazie a quanto si legge e si vede nei “social” (inglesismo che significa “ma i cazzi tua nti po’ fari mai?”).

Si parla a sproposito, perché non si parla con chi si dovrebbe e con chi si potrebbe. Accade così che la moglie sospettosa di tradimento invece di parlare a quattro occhi con il marito, seduti difronte con la vecchia “cucchiara di legno” bene in vista sul tavolino quale monito …… va parra con altre persone ed ecco che si scoperchia un vaso di pandora di gente in tutt’altre vicende affaccendati le quali a buona ragione (e non regione) si chiedono: “ma niscisti da casa ppi cunsumari a mia?” O ancor meglio: “prima di mettere mano o fierru, parramu”.

Ecco, “parramu” (parliamo) ma non a sproposito e fuori luogo, come chi ti vede solo perché scambiate ogni tanto davanti a un caffè quattro convenevoli e crede di sapere tutto della tua vita e sentenzia “e certo, tu SEMPRE ……..”. Credetemi per quel “sempre” se fossi stato una testa calda penso che sarei stato in grado di perdere la mia libertà.

Uno è “ppi i cazzi so” come si dice da queste bande, “avi i so problemi” e deve “contrastare” con il cretino di turno che trova piacevole venirsi a fare “un giro” nella tua vita come se tu non avessi altro tempo da perdere.

Eppure oggi siamo diventati anche questo, a tal punto da farci rimpiangere certi stereotipi del passato, come Don Felice, lo zio di un mio collega che in 5 anni di università non gli sentii mai pronunziare verbo mentre con grande mio imbarazzo mi osservava con quegli occhi scuri seguendo i miei passi.

Oppure come il nonno di un mio amico fraterno che in occasione di un compleanno di quest’ultimo, davanti alla novità del karaoke invitato in occasione del suo turno a cantare, rispose: “e unni simu a questura?

Tempi che furono, viene strano pensare che questa terra all’epoca silente abbia prodotto letterati Nobel eppure anche lì di gente strana si trattava, che so prendiamo Quasimodo con il suo “ognuno sta sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera.” Basta!

Che avrà voluto dire? Tanto! Ma gli sono bastate poche parole centellinate e non come oggi fanno tanti “quaquaraquà” per evocare Don Mariano che parlano, parlano, parlano…….

Si, stiamo cambiando anche noi alla faccia del Gattopardo e questo ci fa paura ammettiamolo, ci stiamo globalizzando nel linguaggio e stiamo perdendo la nostra insularità comportamentale il tutto a danno di coloro che un domani dovranno sbobinarci …….

Un abbraccio, Epruno.