Carissimi

Mi sono chiesto di frequente: “perché si scrive?”

Cosa porta l’individuo a prendere la penna o oggi a sedersi davanti la tastiera e scrivere?

Non è di certo un effetto dei nostri tempi, la necessità di contrastare in un’epoca fortemente mediatica il rischio di isolamento fisico con la necessità di comunicazione, poiché fin da quando l’uomo ha imparato a scrivere egli ha sentito la necessità di lasciare traccia del suo pensiero spesso attraverso opere che hanno attraversato secoli e civiltà rimanendo attuali.

Charles Bukowski

Sono personalmente convinto che ognuno abbia una storia da raccontare che reputa meritevole di esser conosciuta e tramandata, non sempre la propria storia, a volte trattasi della testimonianza di momenti felici da evocare, il più delle volte di dolori da elaborare e spesso non condivisi, ma tante volte la necessità di dire la propria e prendere posizioni in un dibattito che non avverrà mai.

Penso che vi sia una forte necessità di ricostruire le comunità, le piccole cerchie di “gente semplice” nelle quali vivere sentimenti forti e “vecchie abitudini” come la riscoperta del narrare, il riabituarsi all’ascolto, al silenzio mentre qualcuno ci sta parlando, l’abbassare i toni della voce, il non parlarci di sopra. Se a tutto quanto ciò ritroviamo la pazienza dello scoprire cosa di prezioso ha da raccontarci il nostro interlocutore certi che il valore delle affermazioni non sta nella valenza assoluta di ciò che si sta ascoltando, ma dall’importanza che ciò può anche avere per chi ci sta comunicando, solo così possiamo lasciare i giudizi ad un secondo momento, senza necessariamente auto-eleggerci dal nostro scranno a custodi radical-chic della verità.

Ernest Hemingway
Ernest Hemingway

A volte ascolto storie pregne di una forte umanità, di semplicità spesso anche banale, raccontate con tanta partecipazione anche per il solo motivo di aver trovato qualcuno disposto ad ascoltarci, ma che mi danno la scansione di un animo e di una sensibilità apparentemente sepolta dietro una cortina difficilmente valicabile appartenente ad una persona chiusa, timida o sola.

In un mondo dove si costruisce una verità soltanto per avere avuto la forza di gridare più forte di tutti gli altri o per averla urlata da un punto materiale più alto e visibile per tutti gli altri (che so …. Un balcone, un palco) perché cadiamo nell’errore di credere che solo pochi hanno il diritto ad avere una opinione o di provare delle emozioni?

Il foglio bianco per molti è rimasto il modo per vincere determinati complessi e forse si scrive anche perché è rimasto l’unico modo per poter fare un discorso compiuto senza essere interrotti o mantenendo attiva la soglia dell’attenzione.

curzio_malaparte
Curzio Malaparte

Ecco perché non necessariamente tutto ciò che si scrive diventa libro anche se come tale è stato edito per trovare consenso tra gli amici ed i parenti e finire in bella mostra nella nostra libreria e in cospicue copie in un cartone custodito nelle nostre soffitte, cantine o garage e ci deve andare bene se non ci hanno chiesto dei soldi per pubblicarlo.

Scrivere un libro è qualcosa di molto più complesso,impegnativo e che passa da vagli e revisioni, incontri e da un grosso lavoro da parte di una figura preziosa quale quello dell’editor.

Non tutti i diari personali e le memorie (per fortuna) diventano libri ma di contro non è detto che anche i diari personali non abbiano un valore importante anche se non diventeranno opere letterarie, spesso serviranno per comprendere i costumi storici, le abitudini o addirittura conoscere nell’intimo determinati personaggio anche solo nell’intorno familiare.

Quindi anche se non siete grandi narratori o stimati accademici non abbiate paura di esser banali nell’affidarvi al foglio bianco per lasciare traccia del vostro pensiero, abbiate solo l’accortezza di farlo con un corretto linguaggio e dalle nostre parti in italiano.

Un abbraccio, Epruno.