Carissimi

“Ma cu mu purtaru, i muorti? …”

Da queste parti, abbiamo dato ai “morti” (i nostri defunti) anche questa incombenza, di mettere tra i nostri piedi persone indesiderate che ci creano problemi o che ci danno dispiaceri e fastidi.

Purtroppo i morti sono morti e quando noi ne evochiamo la loro figura nelle nostre preghiere sappiamo bene che facciamo riferimento ad assenze che hanno lasciato un vuoto spesso incolmabile nella nostra vita e per la quale cerchiamo lungamente di elaborarne il lutto.

Siamo speciali anche in questo alle nostre latitudini, cercando di tenere in vita tradizioni che consentono almeno per un giorno di ricongiungersi con chi non c’è più, trascorrendo una giornata al cimitero sulla tomba come se costoro fossero ancora vivi, qualcuno addirittura imbandendo un vero e proprio pranzo (oggi usanza scoraggiata dalle norme), chiamando finanche dolci tipici del periodo con appellativi che esorcizzano la morte.

Qui dove le nostre nonne le ricordiamo sempre vestite a nero per il susseguirsi dei vari lutti, non abbiamo mai avuto bisogno di affidarci all’invito di Ugo Foscolo a perpetrare la presenza dei nostri cari che non ci sono più mediante il loro ricordo.

Qui che abbiamo un rapporto particolare con la morte e il mistico religioso a tal punto di vedere nella esposizione dei cenacoli pasquali nelle chiese dei sepolcri, facendo all’anagrafe morire Nostro Signore un giorno prima.

Qui che il lutto e le strisce nere sono state da sempre accettate quali normali e naturali passaggi della nostra esistenza avremmo dovuto ragionare e maturare per tempo quello che molto spesso è stato la perdita del valore dell’esistenza umana, il valore della vita.

Tanto rispetto per i morti e quasi nulla la considerazione per ciò che la vita umana rappresenta, anche attraverso la sua qualità e aspettativa di vita.

Siamo stati la terra dove si sono perpetrati efferati delitti e siamo la terra che convive con tanti morti viventi, trascurandoli e voltandosi dall’altro lato.

Quanti ultimi scansiamo ogni giorno? Quanta falsa partecipazione? Quanta falsa costernazione? E dire che per loro (ancora vivi) potremmo fare qualche cosa.

Dobbiamo necessariamente attendere che la gente muore per poterla ricordare ed onorare.

Dove siamo, dove eravamo quando costoro ci chiedevano silenziosamente aiuto. Dov’era la nostra sensibilità. Siamo strani, abbiamo ben conservato il nostro abito del lutto e la “maschera tragica” pronta a fare il nostro dovere, ma non siamo in grado di vedere per la sua vera ragione la morte perché non siamo in grado di apprezzare il vero valore di una vita.

Il progetto della vita è qualcosa che mi intriga tanto perché ho sempre pensato assurdo e bestiale mettere fine ad una vita (quando sento parlare di omicidi, di incidenti mortali) senza aver pensato per un istante che questa è il risultato di un lungo progetto, nato nella quasi totalità dei casi da un atto d’amore ed atteso per nove mesi, partorito e cresciuto con tanto amore e seguito in tutte le tappe della propria crescita.

Una vita umana non è una fotografia dell’ultimo istante, essa è un album di fotografie di una intera esistenza. Anche dietro alla vita più scellerata ci saranno stati istanti d’amore.

Ecco perché trovo insignificante e spesso di pessimo gusto, le esposizioni di mummie, l’esposizione della morte, di contenitori che furono corpi oggi devastati dal tempo, fatta nei secoli dalle nostre parti.

So di turbare la sensibilità di qualcuno dicendo che anche i cimiteri altro non sono che villaggi di morte il più delle volte maggiormente rappresentate dal ricordo, da foto e da storie nelle lapidi più che dall’ostinazione di preservare ossa raccolte e spesso vilipese nel tempo.

Ecco perché mi sento di amare la vita, non avendo più nulla da fare davanti alla morte, poiché qualunque sia la nostra convinzione religiosa, la vita e la morte sono due condizioni incompatibili di dimensioni assolutamente diverse ed intangibili.

Bisogna pertanto mostrare il nostro affetto e la nostra presenza in vita in quanto dopo, qualunque manifestazione, anche la più sentita non serve a niente se non per fomentare rammarichi di istanti sprecati che sarebbero potuti valorizzarsi accanto alla persona che ci ha voluto bene ed alla quale abbiamo voluto bene e di cui oggi ne celebriamo l’assenza.

Ecco perché più che commemorare per un giorno i defunti (che sono abbondantemente presenti costantemente nel mio cuore e nella mia mente) io celebro per gli ulteriori 364 giorni dell’anno la vita e la disponibilità, senza preconcetti, con approccio di grande apertura verso il mio prossimo, verso qualcosa che è viva e vive nella mia stessa dimensione.

Un abbraccio, Epruno.